“It’s an entire world of just 64 squares. I feel safe in it. I can control it, I can dominate it. And It’s predictable. So, if I get hurt, I only have myself to blame.”
The Queen’s Gambit si è presentata forse un po’ in sordina nel panorama seriale di questo autunno 2020, eppure, dato quanto messo in mostra finora, il drama di Scott Frank e Allan Scott meritava sicuramente una promozione maggiore. Non si può fare a meno, infatti, di lodare un prodotto quasi semplice nella sua proposizione ma che risulta estremamente ben fatto, svettando soprattutto in un mare di prodotti mediocri e sempre più simili li uni con gli altri.
“Doubled Pawns” entra in pianta stabile nell’ennesimo nuovo capitolo della vita di Beth, questa volta sicuramente uno tra i preferiti della ragazza, ormai sempre più immersa nel mondo degli scacchi a livello agonistico. Un episodio che tuttavia pone la lente d’ingrandimento anche sulla figura di Beth adolescente, alle prese con le prime cotte e le prime interazioni con i suoi coetanei.
Ma se c’è una persona che spicca notevolmente in questa terza puntata è sicuramente la figura di Ms. Wheatley che qui inizia la sua trasformazione diventando ufficialmente la cosa più vicina ad una madre che Beth abbia mai avuto. Il passaggio si rivela altamente positivo, considerando che sul finire di “Exchanges” la donna era apparsa fin troppo interessata alla possibilità di fare soldi tramite il talento di Beth piuttosto che all’interesse stesso della ragazza. Un’apparenza che è stata totalmente smentita, rivalutando e ponendo Ms. Wheatley sotto un’altra luce decisamente più materna. Senza contare che le interazioni tra lei e Beth acquistano sempre più spessore, rendendo i loro momenti insieme e i dialoghi un altro punto di forza di questa puntata, per un rapporto in costante crescita e soprattutto necessario per entrambe le donne.
“Creativity and psychosis often go hand in hand. Or, for the matter, genius and madness.”
L’altra faccia della medaglia di questo rapporto con la madre, però, porta Beth dritta verso un oblio fatto di dipendenze. Quello che era iniziato come un modo per alienarsi dalla triste vita dell’orfanotrofio, viene ripreso dalla Beth adolescente a causa dei problemi della signora Wheatley. Ma qui non vi è solo il ritorno alle “pillole verdi”, bensì si viaggia verso un’assuefazione molto più profonda fatta anche di abuso di alcool, qualcosa che non arriva di certo inaspettato per lo spettatore che aveva avuto un primo assaggio della vita di Beth nei primi minuti di “Openings“, quando la protagonista è stata introdotta in una versione adulta prima di portare la narrazione indietro sin dall’origine.
Oltre questi punti cardine che compongono ormai la vita della giovane, ve ne sono alcuni molto più nascosti e profondi, appartenenti all’inconscio, che caratterizzano altrettanto la persona di Beth. La frase riportata ad inizio recensione, detta da una Beth ancora ragazzina durante la sua prima intervista, definisce essenzialmente il legame che la giovane ha con gli scacchi ma anche con la sua stessa vita. Costretta ad un’esistenza sempre in bilico, prima con una madre mentalmente non stabile, poi orfana e costretta alla vita in orfanotrofio, continuando con l’adozione. Beth non ha avuto nessun controllo sulla sua giovane vita, essenzialmente vittima degli eventi, ma la situazione cambia quando pone gli occhi sulla scacchiera. Al tavolo da gioco è lei a comandare, a controllare, a decidere qualsiasi mossa: una stabilità avvolgente e sicura, che si discosta da una vita sempre in bilico.
È per questo, quindi, che la reazione di Beth alla sua prima vera sconfitta in assoluto (l’unica risaliva alle primissime lezioni nello scantinato con Mr. Shaibel) appare così drastica e l’intero mondo sembra collassarle addosso. La reazione di Beth alla sconfitta con Jojen Reed il campione Benny Watts, ma anche alla messa a nudo dei suoi punti deboli da parte di quest’ultimo, sono una destabilizzazione che va oltre il gioco degli scacchi e che ha radici decisamente più profonde. Una sconfitta che tuttavia sembrava inevitabile e che risulta soprattutto molto apprezzabile sia a favore di un’ulteriore crescita personale di Beth, sia a livello narrativo, esplorando così anche la sconfitta. Parte essenziale di ogni competizione, dopotutto.
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.