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Reginald: “Man’s greatest flaw: the illusion of control.”
Ci si avvicina al finale di stagione e The Umbrella Academy si prepara a far convergere i diversi protagonisti in quello che molto probabilmente sarà l’ennesimo momento corale della serie. “The Seven Stages“, episodio che già dal titolo cerca di evidenziare una maggiore importanza di n°5 all’interno della narrazione, si snoda principalmente attorno a tre segmenti narrativi (la quest di n°5 e Luther, la prigionia di Vanya e l’arrivo di Diego all’interno della Commissione) ciascuno dei quali interessante a modo suo e aperto a qualsivoglia esito verrà mostrato nel finale.
L’incontro tra old e young n°5, naturalmente, rappresenta uno dei momenti più alti dell’episodio, all’interno del quale Luther riesce ad inserirsi in maniera perfetta, fungendo da ago della bilancia – prevedibilmente facile da manipolare – in quello che si preannuncia essere lo scontro forse più atteso del momento. Entrambi i personaggi sembrano essere giunti ad un passo dal settimo stadio e sarà molto interessante scoprire quale dei due piani per salvare l’umanità verrà messo in atto nelle due restanti puntate. Unico difetto – che col permesso del grande Stanis La Rochelle ci permettiamo di definire molto italiano – le scoregge no.
Anche l’ingresso di Diego all’interno della Commissione, avvenuto senza un reale consenso dell’interessato ma a quanto pare accettato di buon grado, si inserisce bene all’interno della narrazione, conferendo il giusto quantitativo di grottesco alla già delirante atmosfera generale. The Handler (che, mutilazioni a parte, in qualche modo ricorda il bizzarro Herr Starr di Pip Torrens in Preacher) in seguito al golpe messo a segno grazie all’aiuto di n°5 si trova ora ad avere in mano le redini dell’intera organizzazione. Il colloquio di lavoro/minaccia di morte ai danni di Diego rappresenta la perfetta esemplificazione del grottesco sopracitato ed è inoltre utile a sottolineare la natura solitaria del character, che non manca mai l’occasione per ricordare la sua mancanza di fiducia nei confronti del genere umano (“Where do your loyalties lie, with your family or your principles?” / “With me. I don’t belong to anybody.”). Ciò che avviene dopo non è altro che una naturale conseguenza di questa necessità di vedere se stesso come un’isola, portandolo a pensare per l’ennesima volta di poter essere la soluzione al problema grazie alla possibilità della Commissione di proteggere il continuum temporale, scoprendo poi che alla fine dei giochi “Vanya will always be the bomb“.
Messa da parte temporaneamente la fallimentare fuga d’amore con Sissy, la storyline di Vanya prosegue con l’interrogatorio condotto dall’FBI in seguito all’arresto della ragazza. Interrogatorio che ora sappiamo essere la scintilla per l’ennesima “esplosione” – con conseguente fine dell’umanità – e, ancora una volta, trova le sue fondamenta nei problemi d’infanzia causati dal padre Reginald, in questa occasione messi in scena attraverso il mega-trip con annessa degustazione di cortecce cerebrali che in qualche modo accenderà qualcosa all’interno del piccolo Harlan, in qualche modo connesso a Vanya.
A chiudere il comparto personaggi principali, troviamo infine Allison e Klaus (feat. Ben), che senza alcun indugio si aggiudicano il titolo di personaggi peggio sfruttati in questo secondo arco narrativo. Sebbene le due trame partano da incipit interessanti (i diritti delle persone di colore negli anni ’60 da una parte e il desiderio di salvare una persona amata dagli orrori della guerra in Vietnam dall’altra) l’impressione è vi sia stato un approfondimento a tratti eccessivo se visto in relazione agli effettivi sviluppi delle stesse, messe in secondo piano, giustamente, in favore del tema predominante dell’imminente apocalisse. Le conseguenze sono quindi due: la sensazione che Dave e Raymond siano stati solo meri riempitivi narrativi e quindi puri e semplici ladri di minutaggio e un profondo dispiacere per non aver saputo sfruttare al meglio il personaggio di Robert Sheehan, non a caso uno dei più apprezzati dal pubblico e oggettivamente nato per interpretare ruoli di questo genere.
L’incontro tra old e young n°5, naturalmente, rappresenta uno dei momenti più alti dell’episodio, all’interno del quale Luther riesce ad inserirsi in maniera perfetta, fungendo da ago della bilancia – prevedibilmente facile da manipolare – in quello che si preannuncia essere lo scontro forse più atteso del momento. Entrambi i personaggi sembrano essere giunti ad un passo dal settimo stadio e sarà molto interessante scoprire quale dei due piani per salvare l’umanità verrà messo in atto nelle due restanti puntate. Unico difetto – che col permesso del grande Stanis La Rochelle ci permettiamo di definire molto italiano – le scoregge no.
Anche l’ingresso di Diego all’interno della Commissione, avvenuto senza un reale consenso dell’interessato ma a quanto pare accettato di buon grado, si inserisce bene all’interno della narrazione, conferendo il giusto quantitativo di grottesco alla già delirante atmosfera generale. The Handler (che, mutilazioni a parte, in qualche modo ricorda il bizzarro Herr Starr di Pip Torrens in Preacher) in seguito al golpe messo a segno grazie all’aiuto di n°5 si trova ora ad avere in mano le redini dell’intera organizzazione. Il colloquio di lavoro/minaccia di morte ai danni di Diego rappresenta la perfetta esemplificazione del grottesco sopracitato ed è inoltre utile a sottolineare la natura solitaria del character, che non manca mai l’occasione per ricordare la sua mancanza di fiducia nei confronti del genere umano (“Where do your loyalties lie, with your family or your principles?” / “With me. I don’t belong to anybody.”). Ciò che avviene dopo non è altro che una naturale conseguenza di questa necessità di vedere se stesso come un’isola, portandolo a pensare per l’ennesima volta di poter essere la soluzione al problema grazie alla possibilità della Commissione di proteggere il continuum temporale, scoprendo poi che alla fine dei giochi “Vanya will always be the bomb“.
Messa da parte temporaneamente la fallimentare fuga d’amore con Sissy, la storyline di Vanya prosegue con l’interrogatorio condotto dall’FBI in seguito all’arresto della ragazza. Interrogatorio che ora sappiamo essere la scintilla per l’ennesima “esplosione” – con conseguente fine dell’umanità – e, ancora una volta, trova le sue fondamenta nei problemi d’infanzia causati dal padre Reginald, in questa occasione messi in scena attraverso il mega-trip con annessa degustazione di cortecce cerebrali che in qualche modo accenderà qualcosa all’interno del piccolo Harlan, in qualche modo connesso a Vanya.
A chiudere il comparto personaggi principali, troviamo infine Allison e Klaus (feat. Ben), che senza alcun indugio si aggiudicano il titolo di personaggi peggio sfruttati in questo secondo arco narrativo. Sebbene le due trame partano da incipit interessanti (i diritti delle persone di colore negli anni ’60 da una parte e il desiderio di salvare una persona amata dagli orrori della guerra in Vietnam dall’altra) l’impressione è vi sia stato un approfondimento a tratti eccessivo se visto in relazione agli effettivi sviluppi delle stesse, messe in secondo piano, giustamente, in favore del tema predominante dell’imminente apocalisse. Le conseguenze sono quindi due: la sensazione che Dave e Raymond siano stati solo meri riempitivi narrativi e quindi puri e semplici ladri di minutaggio e un profondo dispiacere per non aver saputo sfruttare al meglio il personaggio di Robert Sheehan, non a caso uno dei più apprezzati dal pubblico e oggettivamente nato per interpretare ruoli di questo genere.
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Senza dubbio un altro ottimo episodio, lontano dalla valutazione massima solo perché mero preludio al vero epicentro stagionale. The Umbrella Academy si conferma un prodotto ben confezionato, in grado di intrattenere in modo leggero senza troppe pretese ma sempre mantenendo un’altissima qualità tecnica. E finché il difetto più grosso sono le scoregge ci si può ritenere più che soddisfatti.
Oga For Oga 2×07 | ND milioni – ND rating |
The Seven Stages 2×08 | ND milioni – ND rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.