Non si tratterà di una continuazione lineare rispetto alla storia di Bandersnatch, ma “Plaything” si può tranquillamente immaginare come un prosieguo di quanto già visto nel film interattivo del 2018. Pochi personaggi riprendono i loro ruoli, ma il fil rouge è rappresentato da Colin Ritman (Will Poulter) e dalla Tuckersoft che si ritrovano tra le mani un nuovo gioco rivoluzionario, un videogioco di simulazione di vita (equiparabile a Tamagotchi e The Sims da cui Brooker ha tratto ispirazione) talmente ben costruito e programmato da dare avvio, con l’inizio del gioco ad una nuova tipologia di forma di vita: i Thronglets.
La puntata unisce punti in comune del passato di Brooker (recensiva giochi per PCZone) a spunti narrativi già visti in Bandersnatch (l’uso dell’LSD come ponte verso la scoperta). L’approccio con il mondo ludico da parte di Black Mirror è cambiata nel corso del tempo e si è passati da storie prettamente horror (“Playtest”, ma anche “USS Callister”) a qualcosa di leggermente più complesso e variegato, come per l’appunto “Plaything”, dove il lato orrorifico ha lasciato spazio a quello distopico-futurista.
Colin Ritman: “You’re looking at the first lifeforms in history whose biology is entirely digital”
SOGNO LUCIDO O VITA REALE?
David Slade (già regista in “Metalhead” e del già citato “Bandersnatch“) torna a collaborare con Brooker, confezionando un episodio forse semplicistico in alcuni punti – per necessità di trama – ma interessante, sia per la costruzione, sia per il solito connubio tra tecnologia e uomo. Ad impreziosire c’è poi la prestazione non solo di Peter Capaldi, ma anche di Lewis Gribben, entrambi per il ruolo di Cameron Walker, un recensore di videogiochi che è entrato in contatto con Colin negli anni ‘90.
Il lato semplicistico ruota attorno ai Thronglets: in primis appare impronosticabile che in tutti gli anni che il computer è dovuto restare in funzione, il gioco non sia mai “saltato” anche a causa dell’evidente dispendio di corrente; in seconda battuta il deus ex machina rappresentato dall’LSD per comprendere il messaggio della popolazione nativa artificiale risulta essere molto alla buona e non volutamente spiegato.
Visto e considerato il finale si potrebbe anche intravedere nell’intera puntata una vera e propria allucinazione da parte di Cameron: frastornato dal costante utilizzo di acidi e alienato da un videogioco, tutta la storia dei Thronglets che vogliono rivoluzionare il genere umano per renderlo libero ed eliminare tutti i conflitti assumerebbe tutt’altro rilievo e peso.
DETTAGLI MIGLIORABILI
Il lato distopico-allucinogeno per quanto convincente, si trova a dover dividere lo spazio con il lato dramma dell’interrogatorio di Cameron. E quindi se da un lato il buon Capaldi tiene banco, dall’altro ci si ritrova a fare i conti con un poliziotto (James Nelson-Joyce) e una psicologa (Michele Austin) costruiti nel peggior modo possibile, tralasciando il livello della recitazione, forse ulteriormente amplificata in negativo dalla bravura del già citato Capaldi.
L’intero scambio di battute assume i tratti della commedia più becera, con il poliziotto che ripete come un disco rotto una sola battuta (“This friend of yours, what was his name? I mean, what was his real name?”) con annessa risposta dell’interrogato (“Lump. That’s what everyone called him./I don’t know. I never asked.”). Saltuariamente la psicologa interviene per rabbonire entrambi e far riprendere il racconto (presentato tramite flashback) e quindi, di fatto, proseguire l’episodio.
Se dal punto di vista della sceneggiatura è riscontrabile un buono spunto narrativo, guardando alla pura e semplice scrittura dei dialoghi è impossibile non sottolineare l’insufficienza del lavoro portato in scena. Si poteva fare decisamente di meglio, soprattutto se si tiene in considerazione sia il tema trattato, sia la nomea dello show in quanto a gestione di determinate tematiche sociali e alla loro presentazione (anche un banale “Common People” si può citare da questo punto di vista).
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“Plaything” è un episodio più che sufficiente, sia ben chiaro: rispetto al lerciume visto in passato si tratta di una vera e propria boccata d’aria fresca. Vuoi per un tema (come il gaming) non così abusato, anche se ben presente in questa stagione, vuoi per il collegamento ad un vecchio lavoro di Black Mirror stesso.
Il codice QR nei titoli di coda, per portare lo spettatore a scaricare il gioco Thronglets, è un plus sicuramente molto carino, considerando anche il fatto che i due progetti si sono influenzati vicendevolmente durante il periodo di produzione.
Ma è anche un evidente tentativo di sfruttare lo show, da parte di Netflix, per spingere l’area Netflix Games (lanciata a novembre 2021). Un discorso laterale alla puntata, chiaramente, che resta di ottimo livello nonostante le evidenti pecche sia in termini di cast, sia in termini di costruzione dei dialoghi.
Il Bless è ancora lontano per Black Mirror.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.