Criminal: UK 1×03 – JayTEMPO DI LETTURA 4 min

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Sul perché del successo e della riuscita di Criminal: UK è presto detto: dialoghi serrati e tenue luci in un’ambientazione tetra e asettica compongono il giusto mix per calare il telespettatore in un gioco psicologico all’ultimo respiro. Perché che ne possa sembrare, dati i lunghi silenzi del terzo indagato – il quale torna ad aggrapparsi a quei No comment che avevamo studiato con Tennant – di tempo per respirare non ce n’è nel commissariato inglese. E’ questa la sensazione emanata dagli incalzanti colpi sferrati dai detective e dagli sguardi fissi degli scrutatori esterni che assistono al pesce nell’acquario che sta per abboccare all’amo.
Ancora una volta, lo spettatore si sente pervadere da questa atmosfera claustrofobica, in uno stanzino dalla quale non si esce. Una sensazione che mette a dura prova i nervi più saldi e che lascia immedesimare perfettamente nel mood dello show, che porta sullo schermo un gioco di ruoli dove ognuno interpreta un personaggio. Proprio così. I detective che abbiamo visto avvicendarsi in questi tre capitoli britannici non hanno fatto altro che inscenare un personaggio al fine di estrapolare quanto più possibile dai silenti ospiti del commissariato.
Ad ognuno il suo metodo: che possa essere una voce grossa, una serie di domande incalzanti l’una dopo l’altra, o l’infimo e torturante silenzio, l’importante è che sia una finzione funzionante. Da questo punto di vista Criminal offre un’analisi fredda e distaccata del lavoro che si svolge in polizia, dove l’indagato non è altro che uno spiedino da infilzare e rigirare in tutti i modi possibili per ricavare le informazioni desiderate, in maniera tale che esse siano frutto di una spontanea ammissione e, pertanto, utilizzabili. Motivo per cui via libera alla fantasia sulle modalità di interrogatorio e per un momento non esiste più la linea che separa l’uomo e il poliziotto: entrambi si mostrano di fronte alla controparte senza formalismi o il contegno che la situazione parrebbe richiedere. Ne è un esempio quest’ultimo episodio: è chiaro che Hugo ha usato la propria storia personale ai fini della confessione di Jay. La storia era vera, la sua spontanea condivisione con il sospettato no. Non si può dire fosse una finzione, ma non si trattava certo di uno sfogo fatto sull’onda delle emozioni, piuttosto un tentativo di smuovere la coscienza dell’altro. Una tattica di interrogatorio.

J: “Like me, you mean?”
H: “Like a lot of people.”

In ogni episodio, sebbene autoconclusivo, Criminal è riuscita ad aprire uno spiraglio sull’umanità. Già di per se l’umanità viene fuori tramite i sospettati, che si rivelano per lo più comunissime persone capaci di sbagliare. Ma è dall’altro lato del tavolo che si è più curiosi di vedere l’umanità, dal lato in cui, per lavoro, si tende a celarla.
E proprio questo terzo episodio vede il fondersi delle due vite del detective Hugo Duffy, quella lavorativa e quella privata. Il confronto nella stanza dell’interrogatorio è intenso e il monologo del personaggio di Hugo arriva così dritto senza filtri da apparire frutto di una sincera apertura nei confronti di un amico, pur non essendo così. Ma è dietro il vetro che si sviluppano le conseguenze più allettanti delle parole del detective Duffy; sono infatti le vicende tra colleghi che rendono i protagonisti più umani di quanto ci si potesse aspettare vedendoli come macchine da guerra sul lavoro.
Le riflessioni che potrebbero scaturire sono diverse, ma volendo arrivare al dunque e tirare le somme alla conclusione della stagione, non si può negare l’originalità del prodotto tra le mille mila anonime serie poliziesche presenti sul mercato. La serie è certamente un crime che propone casi agghiaccianti; è un procedurale che illustra il momento successivo al reato e antecedente al processo; è, perché no, nel suo piccolo, un thriller psicologico che esalta questi giochi di potere tra chi finge o meno una tattica di approccio e chi gli deve resistere: entrambi si muovono sul filo dell’apparenza e chi cede per primo, è fregato.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Monologo detective Duffy
  • Ancora una volta la serie si concentra sulle tecniche di interrogatorio 
  • Ampio spazio alle dinamiche interne al commissariato 
  • Perenne sensazione di claustrofobia che si vive non solo dalla parte dell’indagato, ma anche dall’altra
  • Alla fine dei conti, Criminal si distingue per l’originalità dell’idea
  • La storia raccontata dal detective Duffy, vera e sincera, ma utilizzata solamente ai fini investigativi
  • Forse il caso meno interessante, nonostante la bella tematica
  • Il colpevole risulta poco incisivo e meno ammaliante rispetto ai suoi predecessori
  • L’episodio si è forse troppo concentrato sulle storie interne, con poco spazio e approfondimento della parte crime

 

Criminal: UK termina il suo mini viaggio nell’introspezione umana, che sia essa rivolta ai colpevoli o ai loro inquirenti. Il lavoro fatto su dialoghi e personaggi è immediatamente percepibile: d’altronde si sono spesi tre episodi dietro una vetrata che affaccia su un tavolo di sconosciuti.

 

Stacey 1×02 ND milioni – ND rating
Jay 1×03 ND milioni – ND rating

 

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