“Time travel is real, and so are its consequences. When a terrible time paradox put all of history in peril, an elite team was formed. Their job is to protect history and repair these so-called anachronisms. Unfortunately, this is not that elite team. And yet, this team of misfits and outcasts is determined to fix the history which they have broken. Not because they are heroes, but because they are legends.”
Dalle varie season premiere fino a qui i tre show del flarrowverse hanno avuto prestazioni completamente differenti. Se da un lato Arrow sta cercando egregiamente, seppur con molta fatica, di risollevarsi dopo la sua personalissima crisi di mezz’età e Flash invece arranca inseguendo la celebre “linea comica”, dall’altro si può con un certo stupore prendere atto che, finora, le Leggende hanno mantenuto, sia per quanto riguarda la direzione di stagione, sia per quanto riguarda la natura stessa dello show, il comportamento più coerente. Da questo punto di vista proprio “Return Of The Mack” e “Helen Hunt” confermano in toto la maturità (in senso lato) che questi tre anni hanno fruttato a LoT, in grado ora di destreggiarsi sapientemente tra incursioni storiche caratteristiche ed una evoluzione di trama semplice e lineare, ma con notevoli margini per sorprendere il pubblico.
Difficilmente quanti fossero venuti a conoscenza del ritorno di Damien Darhk prima di questi episodi avrebbero scommesso sull’effettiva bontà dell’operazione. Al personaggio erano difatti imputabili molte responsabilità nel fallimento della IV stagione di Arrow e per di più era già stato riportato in gioco una volta, nella passata stagione. Eppure senza girarci troppo intorno per questa volta tutto sembra funzionare. Funzionare bene, per di più, e per diversi motivi:
- La irriverenza del personaggio mal si addiceva alle avventure dell’Arciere Smeraldo così come rappresentate dalla CW. Una scena come il combattimento finale in “Return Of The Mack” con omonima canzone in sottofondo avrebbe completamente fallito nel clima serioso di Star City. Qui invece trova la sua controparte nell’irriverenza dei protagonisti, la completa e la amplia, dando luogo anche a scontri dialogici più realistici e più serrati.
- Uno dei più grandi errori compiuti dalla serie madre era stato sfruttare la magia di Darhk come continuo deus-ex-machina per contribuire a rendere impari (e quindi più “eroico”, secondo perverse linee di associazione) lo scontro con Oliver Queen. Quanto visto in questi ottanta minuti invece fa ben sperare che la strada intrapresa sia tutt’altra. In un universo dove compaiono uomini nucleari, velocisti, tiranni immortali e strani amuleti d’altronde la magia deve essere presa come possibilità concreta, ma non deve necessariamente sbilanciare le sorti dello scontro da una parte o dall’altra, e il momento molto “potteriano” tra i due studentifuoricorsoadHogwarts e Firestorm ne è la prova definitiva.
- Ultimo, ma forse più importante, è l’effettiva rilevanza che potrebbe avere il personaggio interpretato da Neal McDonough nel prossimo sviluppo della stagione. Come già si scriveva qui, Mallus ha buone possibilità di essere un degno villain (qui addirittura doppiato da John Noble – con una vaga e tenue speranza che venga confermato anche come attore), ma il suo background sembra essere legato a stretto giro con i vari totem di Amaya, Zari e Kuasa. Perché allora non riportare in auge un altro totem bearer che ha già calcato la scena dell’universo CW e con cui il pubblico è già familiare? Ci sarebbero un milione di motivi per non farlo, ma fortunatamente un pizzico di sana incoscienza da parte degli autori ha condotto fino a qui, ed il risultato non è per niente male.
“Look, we’re gonna put Darhk back in the ground where he belongs, but not like this.”
“Not like what?”
“Not like Rip. He lost perspective, and he got his team killed. I’m not going to be that kind of captain, but I am the kind of captain that tells you to clean yourself up.“
Se DD (che ovviamente non sta per DareDevil) e la figlia occupano gran parte della porzione orizzontale di trama, a contorno vi sono i soliti graditi divertissment in giro per la storia e per il tempio che gli autori si concedono. La Londra vittoriana dell’ottocento ha sicuramente il suo fascino – come suggerito dal sagace climax enunciato da Sara (“opium dens and low-cut corsets“), Nate (“Arthur Conan Doyle and the rolling fog“) e l’immancabile Mick (“Syphilis, whores and vampires“) – ma a sbancare il botteghino è indubbiamente la Hollywood delle prime decadi del novecento.
Chiudendo entrambi gli occhi sullo scempio storico-fattuale compiuto nei confronti dell’Iliade, l’idea alla base è estremamente buona, perché permette a uno show che ha come pretesto narrativo i viaggi nel tempo di sollevare una questione abbastanza radicale. Si può affermare con certezza che gli uomini della contemporaneità siano molto diversi da quelli di tremila anni fa? O forse, non è più ragionevole supporre che in realtà poco sia cambiato e che le stesse emozioni e sentimenti e desideri fondamentali che animavano le gesta degli eroi omerici siano le stesse che animano tutt’ora una faida tra grandi produttori, una lite tra vicini, la vita di tutti i giorni?
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Phone Home 3×04 | 1.38 milioni – 0.4 rating |
Return Of The Mack 3×05 | 1.52 milioni – 0.5 rating |
Helen Hunt 3×06 | 1.53 milioni – 0.5 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.