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Django 1×05 – ChambersburgTEMPO DI LETTURA 5 min

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Django 1x05 RecensioneCon immensa fatica si è giunti al giro di boa per Django, la miniserie italo-francese che ha preso il western per reinventare un prodotto moderno. Una notizia importante è il cambio del testimone alla regia, con il britannico David Evans subentrato alla bravissima Francesca Comencini. Una discontinuità percepibile anche alla visione, con il risultato di un episodio ancor meno ambizioso dei precedenti. La fotografia non osa mai e le inquadrature sono piuttosto scolastiche, non risaltando, a differenza delle puntate precedenti, la bravura degli attori.
Un netto miglioramento, invece, si è visto nella colonna sonora, con i Mokadelic che da un pezzo hanno abbandonato sonorità poco pertinenti con il contesto dello show. La trama continua ad avanzare a passi minuscoli, ma ciò diventa un problema nel momento in cui dopo cinque episodi non si è ancora riuscito a far empatizzare lo spettatore con almeno un personaggio.

CONTROVERSIE DAL PASSATO


L’aspetto più interessante di Django sono gli antefatti. La serie co-prodotta da Sky e Canal+ è un classico racconto in medias res. Ad ogni episodio si stanno snocciolando piccoli dettagli sul passato dei protagonisti, che si stanno rivelando tutti connessi tra di loro. Probabilmente una scelta fatta con lo scopo di fidelizzare lo spettatore che vuole scoprire cosa è accaduto ai personaggi per arrivare alla situazione di odio divampante in cui ci si trova ora. New Babylon pare infatti al centro di una controversia legale. La cittadina era una terra appartenente alla famiglia Thurmann, presso cui era schiavizzato John.
Sono frequenti infatti i flashback in cui si vedono John e Elizabeth bambini crescere insieme, finché non si è arrivati a uno snodo narrativo che ha cambiato le carte in tavola. Probabilmente questo punto clou è stato mostrato proprio in “Chambersburg”, esattamente a metà serie. John e Elizabeth rimangono infatti sgomenti a guardare qualcosa mentre rumori molesti lasciano intendere allo spettatore quello che potrebbe essere un adulterio. Da qui dovrebbe venir semplice unire i puntini con il “ricatto” di cui Elizabeth accusa John per capire come questo ricordo abbia sancito forse la fine di un’innocente amicizia, e l’inizio di una vera e propria guerra tra città limitrofe.

PADRI VS FIGLI


Un altro dei temi maggiormente portati avanti dal prodotto di Fasoli e Ravagli è il rapporto padri/figli. Ciò che innova una tematica vista ormai in mille salse è, infatti, il contesto western. Questo dà la possibilità di giocare con situazioni impensabili al giorno d’oggi, da cui possono nascere personaggi originali nella caratterizzazione. Da un lato c’è Julian, un padre di famiglia con un passato a dir poco drammatico e su cui, di puntata in puntata, viene rincarata la dose. Aggiungendo, infatti, pesi da novanta per quanto riguarda traumi, tragedie e ricordi dolorosi. Una scelta di scrittura che rende difficile l’empatizzazione perché lo spettatore non può provare che pena e commiserazione per un personaggio che, in teoria, dà il nome allo show e dovrebbe esserne protagonista.
Parallelamente c’è John, che a dispetto di un’apparente genuinità, non fa altro che compiere scelte quantomeno discutibili. Viene fin troppo semplice allo spettatore assecondare la villain Elizabeth a causa dell’ambiguità di ogni decisione presa dal fondatore di New Babylon. La nuova generazione è invece rappresentata da Seymour e Sarah. Da un lato il personaggio di Lisa Vicari, puntata dopo puntata, continua a rosicchiare lo status quo di protagonista, mentre tocca stavolta al figlio maggiore di John portare avanti la baracca in “Chambersburg”. Gli equilibri potrebbero forse finalmente cambiare, grazie al lavoro psicologico svolto dal personaggio di Noomi Rapace, capace di attirare a sé sul finale di puntata il primogenito del suo acerrimo rivale.

PERCHÈ DJANGO?


Giunti a metà stagione c’è da porsi una domanda. Va bene la citazione con la bara nel pilot, va bene il cameo di Franco Nero, ma tolto questo che è semplice fumo negli occhi, perché chiamare questa miniserie con il nome di quello che forse si può considerare uno dei primi franchise del cinema italiano? Non a caso nel paragrafo precedente il personaggio di Matthias Schoenaerts è stato citato con il nome Julian e non Django. Perché quel personaggio potrebbe semplicemente chiamarsi in qualsiasi modo, non avendo alcun tratto significativo che richiami la caratterizzazione di un personaggio che si trova nell’immaginario collettivo.
In maniera analoga col Joker di Todd Phillips. Un film che avrebbe potuto chiamarsi Arthur, non avendo nulla oltre il trucco da pagliaccio a richiamare la nemesi di Batman. Si è atteso per cinque episodi ma è ormai chiaro che lo show va in tale direzione, con il personaggio che dà il titolo alla serie che non fa null’altro che cercare di strappare qualche dialogo alla sua perduta figlia per cercare di ricucire un rapporto.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Le scene domestiche di Elizabeth con suo figlio
  • Seymour che scompiglia le carte in tavola (e prova a dare un po’ di brio)
  • Il cameo della settimana di Vinicio Marchioni
  • I flashback (che infatti esulano dal contesto western)
  • Immobilismo permanente di Julian da fin troppe puntate
  • Un ritmo difficile da digerire
  • Non si riesce a empatizzare con alcun personaggio perché tutti i protagonisti sono definiti solo su una dimensione
  • Il cambio passo di regia influisce negativamente

 

Per ben quattro episodi si è rimasti in attesa di una svolta significativa, capace di dare uno scossone all’inerzia dello show. Nemmeno stavolta è arrivata e Django sembra galleggiare da un punto A a un punto B, trascinato dalle azioni di Elizabeth e deus ex machina come la scoperta del petrolio. Chissà che il processo a John Ellis non possa significare qualcosa per gli spettatori appassionati di legal drama, perché tanto di western da queste parti non se ne vede più.

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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.

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