Dopo il rapimento del Gigante ai danni della giovane Sarah, ecco che giunge l’occasione per Django di svestire i panni del dramma storico e indossare cappello, poncho (magari!) e stivali per ricordare a tutti che ciò che si sta vedendo è dovrebbe essere un western. Secondo cambio di regia, con Enrico Maria Artale (Romulus) a prendere le redini. Un cambiamento in positivo, che riesce a portare qualche miglioramento rispetto al lavoro del rispettabile, ma insufficiente, collega britannico David Evans.
“Tobacco Tin” prende ciò che stava iniziando a funzionare negli episodi precedenti, ovvero tutti gli elementi dell’ambito western, e li sviluppa. Tuttavia, anche stavolta non mancano i soliti flashback ad appesantire il discorso, oltre a rendere tutti i personaggi fin troppo collegati gli uni con gli altri. Assodato che Django ha una struttura narrativa che si configura come medias res di una storia molto più estesa, adesso gli antefatti sono veramente troppi e continuano a riscrivere la storia puntata dopo puntata.
STALLO, RISCATTO E WESTERN VERO
Ci sono voluti otto episodi ma finalmente si è visto uno stallo alla messicana. Certo, nelle idee degli autori Django voleva essere un pretesto per reinventare il genere western adattandolo alle dinamiche odierne, considerando temi come il #MeToo che hanno ormai pervaso qualsiasi produzione audiovisiva. Non è necessariamente un male, purché funzioni. Le innovazioni nei generi esistono e devono esistere per permettere al cinema e alla televisione di continuare a sopravvivere, tuttavia ci si dimentica che il topos di genere esiste anche perché è efficace. Va bene lo stravolgere i dogmi, ma cambiare “tanto per” non è una soluzione migliore di un cliché qualsiasi.
In ogni caso, finalmente grazie al Gigante, interpretato dal Bloater di The Last Of Us, Adam Basil, ecco che si hanno minuti significativi di azione. Riscatto, sparatorie, stalli, tutto ciò che si sarebbe voluto vedere in ogni episodio di Django, e non solo a due puntate dal termine.
MALEDETTI FLASHBACK
Tornando alle note dolenti, anche “Tobacco Tin” risulta infarcito di flashback. Se questo tipo di soluzione poteva risultare efficace e funzionale nei primi episodi, per contestualizzare i personaggi e gli antefatti, ora la situazione sta divenendo insostenibile. La narrazione prosegue praticamente su due binari paralleli, con la differenza che la storyline nel passato già si sa dove andrà a parare. Anzi, l’uso spropositato di sequenze nel passato producono un effetto negativo, portando la vicenda nel presente a sembrare un intermezzo all’interno di una storia più grande.
Episodio dopo episodio, lo spettatore non fa altro che unire i puntini mentre osserva un plot abbastanza didascalico. Nella pratica tutti conoscono tutti, essendo che ogni personaggio aveva avuto a che fare con gli altri già prima degli avvenimenti del pilot. Si perde quindi l’opportunità di sfruttare un altro stratagemma narrativo del western, che è quello dello straniero che arriva in città. L’ennesima occasione persa in uno show che ormai si trascina in una trama lineare e incapace di creare twist a causa della mancanza di empatia tra personaggi e spettatore.
LA NASCITA DI NEW BABYLON
Volendo dare qualche merito alla porzione di trama nel passato, c’è stato l’effettivo chiarimento della disputa relativa l’eredità del terreno su cui si erge New Babylon. Un bisogno che probabilmente nessuno spettatore sentiva, andando a sottolineare e dettagliare qualsiasi passaggio con il risultato di rendere ancor meno importante la trama principale su cui si articola la serie di Fasoli e Ravagli. Nella serialità contemporanea ci si è probabilmente dimenticati il fascino dello “show don’t tell“. Non tutto dev’essere spiegato, lo spettatore non dev’essere imboccato e dev’essere lasciato a pensare. Quando ciò non avviene lo spettatore si impigrisce, l’attenzione cala e tutto diventa più difficile.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Fortunatamente, a differenza di fin troppi episodi precedenti, ci sono degli elementi western a salvare il giudizio complessivo di “Tobacco Tin”, che altrimenti sarebbe stato orientato verso l’insufficienza. Un pretesto per vedere Julian/Django in azione e dare un briciolo di dignità al personaggio.
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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.