I videogiocatori lo sapranno già ma anche dal trailer della prossima puntata appare chiaro: (breve) salto temporale e netto cambio di location sono alle porte.
Nel videogioco della Naughty Dog il tempo e i diversi spostamenti venivano etichettati con il passare delle stagioni, il tutto non chiarendo volutamente né i giorni/mesi necessari per arrivare dal punto A al punto B, né le difficoltà trovate (o meno) lungo il viaggio. Scelte comunque comprensibili visto che le valli del Nord America sono per lo più inabitate e nel pieno di una post-apocalisse il calendario non ha alcuna utilità.
Per Neil Druckmann (anche per una questione di tempistiche del videogioco ma probabilmente per una scelta di scrittura che facilitava il tutto) il cambio di stagione era un modo per dare al videogiocatore un’indicazione del tempo trascorso ma anche per segnare un netto cambio di percorso. E, esattamente come il videogioco in cui Summer/Estate rappresenta circa la metà del percorso, anche nella trasposizione HBO questo segna il giro di boa tra la prima e la seconda parte. “Endure And Survive” è l’equinozio d’autunno.
Kathleen: “Well, kids die, Henry. They die all the time.”
È ESATTAMENTE COME IL VIDEOGIOCO
Perché cambiare qualcosa che già funziona? Domanda legittima a cui si potrebbe rispondere con due scuole di pensiero: la prima a favore del cambiamento vede con piacere delle novità che non limitino il lavoro di attori e sceneggiatori nel mero copia/incolla; la seconda invece ritiene la trasposizione non pedissequa una blasfemia che garantisce le fiamme dell’inferno agli autori di questa scelta, in questo caso Mazin e Druckmann. Come spesso accade, non è tutto bianco e nero ed il grigio è tutto sommato un bel colore che funziona in tutte le occasioni.
Certo è che The Last Of Us ha delle scene praticamente perfette che non possono non essere riproposte. La morte di Sam ed Henry, in tutta la sua drammaticità, è uno di questi momenti che valgono di fatto il prezzo del biglietto. Sia chi ha già vissuto la scena nel proprio divano di casa con il joystick in mano, sia chi la vede per la prima volta non potrà non essere colpito dalla velocità e dal peso di queste duplici morti. Morti che fanno soffrire per la crudeltà ma soprattutto per la doppia scelta di Henry che risponde direttamente alla domanda di Kathleen “did you ever stop to think that maybe he was supposed to die?“.
NON È AFFATTO COME IL VIDEOGIOCO
Più si va avanti con la stagione e più si constata un approccio di Craig Mazin e Neil Druckmann vagamente diverso, ma decisamente più ponderato, conscio di un pubblico diverso e con un appeal più drammatico e meno action. Infatti in “Long, Long Time” si è preferito saltare tutta la fuga con Bill (specialmente la scena a testa in giù che sarebbe stata piuttosto interessante da riproporre) per affondare la penna nella drammatizzazione e nell’umanità di due personaggi che nel videogioco o non apparivano (Frank) o non venivano caratterizzati tanto quanto è stato fatto nel terzo episodio.
Come appurato dalla scorsa puntata, lo stesso approccio è stato utilizzato nei confronti di Sarah, degli Hunters che ora hanno una gerarchia e non sono semplicemente un gruppo di uomini che cercano di uccidere Joel ed Ellie, e ora anche di Henry e Sam, ma specialmente di quest’ultimo.
Henry: “My name’s Henry. That’s my brother, Sam. I’m the most wanted man in Kansas City.“
La storia dei due fratelli, pur terminando come già detto nello stesso tragico modo, ha però un interessante twist con il cambiamento relativo a Sam che in occasione di questa trasposizione HBO è diventato sordomuto e più piccolo rispetto alla controparte videoludica.
Se ad un primo impatto si può considerare negativamente questo cambiamento in quanto visto come l’ennesimo tentativo di rendere un prodotto televisivo più inclusivo soltanto per potersene fregiare e non per migliorare il prodotto in sè, durante il podcast HBO’s The Last Of Us Podcast è stato lo stesso Mazin a spiegare il perché e, onestamente, ha senso ma purtroppo senza la sua spiegazione non se ne percepisce totalmente la motivazione, ed è un peccato.
Druckmann aveva ideato Sam ed Henry come diretti omologhi di Joel ed Ellie, rendendoli di fatto uguali in moltissimi aspetti, che poi è anche il motivo per cui Joel e Henry riescono a “connettere” su diversi livelli. All’origine del “cambiamento” di Sam c’è una scelta che arriva direttamente come conseguenza di questa similarità che, a livello visivo e di sceneggiatura, era troppo da poter giustificare. Se da un lato si può capire la scelta, sfortunatamente c’è troppo poco tempo per approfondire l’impatto dell’handicap di Sam che, tra le altre cose, è stato ringiovanito semplicemente per una difficoltà nel trovare un attore sordomuto che potesse interpretarlo.
La loquacità di Ellie è sicuramente complementare al mutismo di Sam, e funziona, così come Henry è convincente per la sua colpevolezza mentre parla con Joel. A livello visivo, l’handicap portato in scena non è né un’aggravante, né un miglioramento rispetto al videogioco e questo è il punto che va tenuto in considerazione per analizzare se sia una scelta utile o meno alla trama e all’impatto scenico. E la risposta è no, anche con la risposta di Craig Mazin.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Si, è un Thank Them All e non un Bless. Sì, magari è un voto un po’ stretto ma la puntata pur essendo estremamente godibile soffre per un paio di elementi (l’eccessiva cattiveria di Kathleen è ingiustificabile, proiettili infiniti per Joel, il vecchio col fucile che non si arrende) che possono essere perdonati solo se si chiude un occhio sul realismo del tutto, realismo che però è alla base di The Last Of Us e pertanto pesa sulla considerazione finale di un episodio ottimo ma non impeccabile.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.