The Last Of Us torna questa settimana con un episodio più breve rispetto al solito, 45 minuti totali di cui forse 15 percepiti in virtù del consueto storytelling a dir poco mesmerizzante, e stavolta i due protagonisti devono affrontare il pericolo sicuramente più grande presente all’interno di un mondo devastato da malattia, morte e distruzione: l’uomo.
Joel ed Ellie continuano il loro viaggio on the road in direzione Wyoming alla ricerca di Tommy, attraversando le ormai verdeggianti strade del Missouri, e per la prima volta dovranno fare i conti con uno dei nemici più ostici anche della versione videoludica: gli hunters, qui un po’ rielaborati rispetto al materiale originale, e trasformati in un manipolo di presunti rivoltosi stabilitosi tra le rovine della città di Kansas City (non più Pittsburgh). Manipolo di sopravvissuti che in qualche modo è riuscito a prendere il controllo della QZ locale, sgominando le forze della FEDRA che normalmente presidierebbero la suddetta zona di quarantena.
In questo quarto episodio vengono nuovamente apportate alcune modifiche rispetto al corrispettivo videoludico ma, esattamente com’è stato per lo stupendo episodio che lo ha preceduto, anche in questo caso si tratta di cambiamenti che hanno lo scopo di ampliare e arricchire il già impeccabile materiale di partenza, aggiungendo qualcosa al background di personaggi che nel videogioco venivano esplorati diversamente o in modo meno approfondito. Ma soprattutto adattando l’opera ad un medium completamente differente e che quindi necessita di espedienti alternativi per poter funzionare al meglio.
L’AMORE COME BENE DI LUSSO
Com’era già successo nell’episodio precedente, i primi minuti di puntata vengono utilizzati per un fan service funzionale allo sviluppo del rapporto tra Joel ed Ellie. Dopo il siparietto sulla rivista hard, identico al videogioco, fa la sua comparsa anche quel maledetto libro di barzellette che avrà sicuramente perseguitato tutti quei giocatori sempre a caccia del platino, sia per i brividi provati ascoltando le tristi freddure lette da Ellie, sia per le varie condizioni richieste per l’attivazione di suddetti siparietti e quindi l’ottenimento del relativo trofeo.
PTSD a parte, il modo in cui questo elemento viene inserito all’interno della narrazione è qualcosa che trascende i confini della perfezione. Le freddure di Ellie, fin da subito mostrate in tutto il loro imbarazzo, diventano qui un pretesto per sottolineare un cambiamento profondo nel rapporto tra i due protagonisti, in particolare nel modo in cui Joel guarda alla ragazzina.
Fin dalle primissime battute, con la frase già vista all’interno del trailer, il personaggio di Pedro Pascal ci tiene a mettere in chiaro quale sia il ruolo di Ellie in questo viaggio: “You’re cargo. And I made a promise to Tess“. Una semplice merce di scambio, da portare a destinazione, così da onorare una promessa fatta a una persona cara. Parole che, però, perderanno progressivamente di significato man mano che ci si avvicina alla fine dell’episodio.
Il rapporto tra Joel ed Ellie viene costruito a piccoli passi, tra risate e sguardi complici, ma soprattutto con il primo che si sforza, per la prima volta, di essere un po’ più umano, avendo visibilmente difficoltà a causa della sua cronica stitichezza emotiva. Conseguenza, naturalmente, di una vita passata a lottare per la propria vita, senza mai avere il lusso di potersi abbandonare completamente a un altro essere umano, per l’ovvia paura di perderlo da un momento all’altro.
Joel: “When we were talking about hurting people, what did you mean it wasn’t your first time?”
Ellie: “I don’t want to talk about it.”
Joel: “Alright. You don’t have to. I’m just saying, it isn’t fair, your age, having to deal with all of this.”
Ellie: “So it gets easier when you get older?”
Joel: “No, not really. But still…“
Bella Ramsey regala al pubblico la migliore interpretazione vista finora all’interno della serie. La Ellie del videogioco prende sempre più forma man mano che si va avanti nella storia, e ogni scambio di battute con Joel, breve o lungo che sia, è semplicemente intriso di assoluta genuinità e tenerezza. La chimica tra i due attori è innegabile, e la sequenza in cui finalmente l’uomo decide di affidare la pistola alla ragazzina supera abbondantemente quella originale (che avviene in momenti e modi abbastanza diversi) elevandosi senza alcun dubbio a scena madre dell’intero episodio.
Sequenza che si arricchisce ulteriormente di significato poiché preceduta da un altro momento molto intenso. Mediante una messa in scena molto più tragica rispetto alla controparte videoludica, Craig Mazin decide di sottolineare il lato più umano del “nemico”, mostrando allo spettatore la natura ambivalente dell’essere umano alle prese con la lotta per la sopravvivenza. Colui che un secondo prima stava per togliere la vita ad uno sconosciuto senza farsi troppe remore, si ritrova così, in seguito all’intervento di Ellie, ad implorare per la sua vita invocando il nome della madre, rivelando la sua reale natura di ragazzino spaventato, ormai cosciente del fatto che da lì a poco andrà incontro al proprio destino. Una scena da brividi, resa ancor più intensa dal particolare della paralisi alle gambe e dalla straordinaria regia di Jeremy Webb, che indugia in più di un’occasione sullo sguardo pietrificato di Bella Ramsey, amplificandone ulteriormente l’effetto drammatico.
Per fortuna, c’è spazio anche per un breve, ma significativo, momento di allegria, scaturito proprio grazie al suddetto libro di barzellette nei minuti finali dell’episodio. La risata di Joel, forse la prima da quando è scoppiata la pandemia, sancisce ufficialmente l’inizio di qualcosa che trascende il semplice rapporto di merce/corriere millantato ad inizio episodio. Un breve momento di leggerezza e spensieratezza che, in un mondo come questo, vale più di un qualsiasi incarico portato a termine.
Piccola nota a margine: la barzelletta che fa ridere Joel, in originale “Did you know diarrhea is hereditary? It runs in your jeans” (battuta che gioca sull’assonanza tra jeans e genes=geni), è stata trasposta nei sottotitoli italiani come: “Lo sai perché le diarree non suonano più insieme? Perché si sono sciolte.”
COMINCIA L’ERA DEL POST-THE LAST OF US
Come accennato poc’anzi, questo quarto episodio rielabora parzialmente il materiale originale, mantenendo comunque intatto il nucleo centrale del racconto riguardante la parabola di Joel ed Ellie. Com’era facilmente prevedibile, fanno la loro comparsa personaggi costruiti ad hoc esclusivamente per la serie, così da offrire allo spettatore delle coordinate specifiche con cui orientarsi all’interno di uno scenario che, se riproposto esattamente come nel videogioco, avrebbe soltanto portato a scontri casuali tra Joel e orde di hunters, invalidando così il realismo di fondo che gli autori vogliono trasmettere al loro pubblico.
Con buona pace di tutti quelli che hanno da ridire in merito alle novità rispetto al videogioco, alcune dinamiche, come appunto le uccisioni stealth di decine e decine di nemici per mano di un superuomo ultracinquantenne, non potrebbero mai funzionare se trasposte pedissequamente sul medium televisivo.
E proprio per ovviare a tutto ciò, viene introdotta la figura di Kathleen, leader di questo gruppo di sopravvissuti/rivoltosi e apparentemente accecata dal desiderio di vendetta in seguito all’uccisione del fratello per mano di un uomo di nome Henry. Desiderio che, tra l’altro, la porta ad ignorare bellamente un pavimento “palpitante” quantomeno sospetto, anteponendo i suoi bisogni personali alla sicurezza dell’intera comunità. Per il momento si tratta di un personaggio appena abbozzato e, a dirla tutta, anche poco interessante nella sua (forse voluta) anonimia scenica.
Infine, l’introduzione di Henry – e del piccolo Sam – viene realizzata in maniera impeccabile. Il suo nome viene nominato diverse volte, ma sempre in modo vago per solleticare la curiosità dello spettatore, in un crescendo continuo che culmina nell’incontro finale con Joel ed Ellie. Un contatto che differisce sensibilmente rispetto a quello mostrato nel videogioco, ma che non perde nulla in termini di impatto emotivo sullo spettatore.
Il risultato, in linea con quanto visto finora, è sicuramente molto positivo, e se questo quarto appuntamento vi sembrerà più fiacco rispetto ai precedenti, è soltanto perché dopo i primi tre episodi l’asticella si è alzata così tanto da aver settato un nuovo standard qualitativo. Motivo per cui al termine di questa prima stagione, probabilmente, si andrà a imporre un nuovo canone anche per i futuri adattamenti da altre saghe videoludiche, che avranno l’onere di uscire in quello che, di diritto, può già essere chiamato il “post-The Last Of Us”. E che si spera possa finalmente segnare la scomparsa di adattamenti imbarazzanti del calibro di Tomb Raider, Doom o l’intera saga di Resident Evil, che hanno contribuito, nel primo decennio degli anni Duemila, a distruggere i sogni e le speranze di milioni di videogiocatori impazienti di ritrovare i propri beniamini sul grande e sul piccolo schermo.
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Che la storia di The Last Of Us si prestasse per sua natura ad un adattamento televisivo era abbastanza evidente, ma compiere un’opera di trasposizione come quella che Druckmann e Mazin stanno regalando al proprio pubblico non era certo impresa facile, nemmeno con un materiale di partenza di questo calibro. La valutazione questa settimana scende di un gradino, e non per demerito, ma per semplice sfortuna. La sfortuna di arrivare dopo un capolavoro come “Long, Long Time“.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.