The Last Of Us 2×01 – Future DaysTEMPO DI LETTURA 6 min

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Recensione The Last Of Us 2x01La civiltà non è un luogo. È una finzione condivisa, una fragile messinscena di sicurezza costruita per illudere chi sopravvive che esista ancora qualcosa per cui vivere. Ma in un mondo in cui i mostri non si annidano soltanto oltre le recinzioni, bensì dentro le case e persino nei legami più profondi, cosa distingue davvero l’uomo dal mostro?
The Last Of Us torna con una stagione che, sin dal primo episodio, rifiuta la linearità del racconto eroico e scardina ogni certezza morale rimasta in piedi dopo il finale della prima stagione. La scelta compiuta da Joel nel laboratorio di Salt Lake City non è più una cicatrice sommersa: è diventata un’infezione silenziosa, una crepa che si allarga nei suoi rapporti e nella sua identità, e che, esattamente come fa il cordyceps con i suoi ospiti, si insinua lentamente tra le pareti della sua mente.

LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA


L’episodio, significativamente intitolato Future Days, si apre infatti riproponendo l’ultima scena della stagione precedente: il momento in cui Joel mente a Ellie, giurando che quanto accaduto nell’ospedale sia la pura verità. Una menzogna che, cinque anni dopo, ha assunto il peso di un’intera esistenza vissuta nell’equilibrio precario tra affetto e senso di colpa. Joel è sopravvissuto, sì, ma a quale prezzo? E soprattutto: è ancora l’uomo che credeva di essere?
A differenza dell’esordio adrenalinico della prima stagione, “Future Days” si muove in una direzione più silenziosa e domestica, ma non per questo meno densa di tensione. Jackson, il piccolo avamposto civile dove vivono Joel ed Ellie, è una comunità che funziona. Si costruiscono case, si tengono riunioni cittadine, si celebrano feste con musica dal vivo. Ma sotto questa superficie di apparente quiete si muove un’inquietudine sottile, come se ogni gesto quotidiano fosse solo un modo per prendere fiato prima che ricominci la tempesta. Il senso di minaccia è costante, ma non proviene — almeno per ora — dai clicker o dagli infetti, bensì dalle dinamiche relazionali, dalle parole taciute, dai sentimenti mal gestiti e dalle verità nascoste.

IL DILEMMA DEL CARRELLO


Il cuore pulsante dell’episodio risiede infatti nello scollamento emotivo tra Joel ed Ellie, due personaggi che hanno condiviso tutto, ma che ora sembrano incapaci di rivolgersi la parola senza lasciarsi trafiggere dal passato. Ellie, diventata una giovane donna di diciannove anni, ha ormai capito la portata del tradimento subito. La sua rabbia, seppur inespressa a parole, è visibile in ogni sguardo, ogni gesto, ogni distanza imposta. Joel, dal canto suo, si rifugia nella rimozione, incapace di articolare una colpa che lo definisce e lo consuma.
Il percorso che sta tentando — andando persino in terapia dalla psicoterapeuta Gail, interpretata da Catherine O’Hara — si infrange contro il muro dell’omertà. Non si può guarire ciò che non si ha il coraggio di nominare. E così, nel momento più vulnerabile dell’episodio, quando Gail lo incalza a confessare ciò che teme di dire, Joel ne lascia emergere solo un frammento: “I saved her”. Una frase che suona tanto come giustificazione quanto come condanna.
Il monologo silenzioso del volto di Pedro Pascal — un’espressione incrinata, uno sguardo che sfugge, una lacrima trattenuta — è tra le sequenze più potenti dell’intero episodio. Joel non è più solo l’eroe imperfetto. È un uomo che, per amore, ha ucciso decine di persone innocenti. Un uomo che, per paura di perdere una figlia, ha annientato il futuro dell’umanità.

L’AMORE AI TEMPI DEL CORDYCEPS


A controbilanciare questo duetto interrotto tra Joel ed Ellie, l’episodio introduce con decisione nuovi personaggi che arricchiscono la complessità della storia. Su tutti spicca Dina, interpretata da Isabela Merced, figura centrale nella nuova dimensione affettiva di Ellie. Il loro rapporto, ancora in fase di esplorazione, è raccontato con delicatezza, attraverso gesti quotidiani, battute sussurrate, contatti apparentemente casuali. Il momento del bacio durante il ballo di Capodanno segna una svolta non solo narrativa, ma emotiva: è la prova che Ellie può ancora aprirsi, amare, sperare. Eppure, anche questo barlume di felicità viene incrinato dalla tensione latente con Joel, che interviene con brutalità quando un uomo rivolge un insulto omofobo alle due ragazze. Il suo gesto, apparentemente protettivo, è in realtà un’esplosione impulsiva che Ellie rifiuta con durezza urlandogli in faccia: “I don’t need your fucking help!”.
L’eroe che arriva in groppa al suo destriero per salvare la situazione non è più il benvenuto. Perché il prezzo di quel salvataggio, in passato, è stato troppo alto.
Non meno importante è l’introduzione di Abby, personaggio chiave che irrompe nella narrazione con un giuramento di vendetta nei confronti di Joel pronunciato nelle prime battute dell’episodio. Il volto e la postura di Kaitlyn Dever tradiscono una determinazione che travalica la razionalità: Abby non è una semplice antagonista, ma un’ossessione incarnata, un’eco del passato che sta per riversarsi sul presente di Joel con forza inarrestabile.

GIUSTIZIA KARMICA


Tecnicamente, l’episodio è una lezione di regia misurata e scrittura stratificata. Craig Mazin sceglie di rallentare il ritmo per costruire atmosfere, inserendo elementi visivi inquietanti che anticipano il ritorno del pericolo biologico. Ma il vero orrore, ancora una volta, è umano. È negli sguardi sfuggenti, nelle verità non dette, nelle promesse tradite. È nella possibilità che l’uomo più amorevole sia anche quello più pericoloso.
Il confronto con gli altri personaggi serve esclusivamente a illuminare la figura di Joel da diverse angolazioni. Dina, con la sua spontaneità e la sua apertura emotiva, è l’antitesi di Joel: è la possibilità di un amore che non nasce dalla paura, ma dalla condivisione. Perfino Tommy, fratello e confidente, comincia a intravedere le crepe in quella narrazione eroica che Joel ha costruito attorno a sé, mentre Abby, introdotta con l’inesorabilità di una conseguenza, è la reazione naturale al crimine, la forma più pura di giustizia karmica.
La regia, precisa e misurata, accompagna questa discesa nell’oscurità con inquadrature claustrofobiche, come quella in cui Joel si osserva allo specchio mentre la luce disegna un’ombra deformata sulla parete, quasi a suggerire una mostruosità interiore che prende forma. Il momento più evocativo arriva nel finale, con l’inquadratura dei tubi dell’acqua, dove si intravedono spore invisibili in movimento: un’immagine duplice, che da un lato richiama il ritorno della minaccia biologica e dall’altro allude alla colpa di Joel, un’infezione silenziosa che scorre sotto la superficie della comunità.

 

THUMBS UP 👍 THUMBS DOWN 👎
  • Pedro Pascal è un Joel assolutamente perfetto
  • Joel: l’anti-eroe per eccellenza
  • Brava anche Bella Ramsey
  • Dina e Abby come polarità morali contrapposte
  • Potente uso simbolico delle immagini
  • Regia sobria e inquieta, perfetta per il tono dell’episodio
  • Nulla di importante da segnalare, ma sicuramente nei prossimi episodi, conoscendo gli sviluppi del videogioco, la qualità è destinata a salire

 

“Future Days” è una premiere coraggiosa, crepuscolare e intimista. Un episodio che preferisce scavare nella psicologia dei suoi protagonisti piuttosto che affidarsi al colpo di scena. Il viaggio è appena iniziato, ma la mappa è già macchiata di sangue e verità taciute.

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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