The Last Of Us 1×09 – Look For The LightTEMPO DI LETTURA 9 min

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Recensione The Last Of Us 1x09“Look For The Light”, titolo che riprende quello del pilot “When You’re Lost In The Darkness“, completando così il motto delle Luci impresso anche sui muri del QZ di Boston, chiude splendidamente questa prima parte di The Last Of Us, regalando al suo pubblico l’episodio finora più fedele alla controparte videoludica.
Il cambiamento più grande, che poi in realtà si tratterebbe di un’aggiunta, riguarda il flashback su Anna, la madre di Ellie – interpretata da Ashley Johnson, attrice che ha prestato voce e movimenti a Ellie nel videogioco – attraverso il quale allo spettatore viene dato qualche indizio circa l’immunità della ragazzina al cordyceps.
Per il resto la narrazione abbraccia la trama del videogioco, saltando naturalmente tutte le parti più action/survival che precedono l’arrivo dei due protagonisti all’interno della struttura delle Luci, ma non per questo finendo per risultare frettolosa come invece era stato per il precedente episodio. Uno degli epiloghi più intensi nella storia dei videogiochi ha finalmente trovato il modo di arrivare anche a chi non ha mai giocato il titolo su consolle e, grazie anche alla qualità incredibile messa a disposizione da HBO, il destino dei futuri adattamenti televisivi da opere videoludiche potrebbe finalmente migliorare rispetto a quanto visto (e sopportato) in passato.

ANNA E JOEL: AMORE E BUGIE


Sebbene la breve parentesi dedicata ad Anna rappresenti in primo luogo un modo per dare qualche vaga risposta circa l’immunità di Ellie, sarebbe quantomeno ingenuo pensare che Druckmann e Mazin non abbiano approfittato della situazione per inserire parallelismi e immagini simboliche utili a comprendere, in un secondo momento, le decisioni prese da Joel.
In entrambi i casi, l’istinto di protezione genitoriale prende la meglio sulla razionalità e, esattamente come ha fatto Anna con Marlène nel momento in cui le ha consegnato la bambina, assicurandole di aver tagliato il cordone ombelicale prima di essere stata infetta pur non essendone sicura, anche Joel mente a Ellie seguendo il suo cuore. Il breve momento di realizzazione del protagonista, che in macchina sulla via del ritorno chiude gli occhi per un secondo, non fa altro che rendere ancor più potente il gesto di estremo egoismo di Joel, che di fatto baratta la possibile salvezza dell’umanità in virtù del legame oramai indissolubile creatosi nel corso di questa avventura con Ellie.
L’episodio inizia e si conclude con una bugia. Bugia che, in entrambi i casi, mette di fronte lo spettatore a una scelta morale: è giusto anteporre i propri sentimenti a quelli degli altri? O, nel caso specifico di Joel, a quelli dell’intera umanità?
Naturalmente la risposta più razionale sarebbe un secco NO. Un dilemma del carrello ferroviario portato su scala globale, si potrebbe dire. E allora, l’amore per una persona può davvero giustificare la totale indifferenza nei confronti del resto del genere umano? Beh, di fatto non esiste risposta che non porti con sé una moltitudine infinita di implicazioni morali, a prescindere dalla supposta razionalità nascosta dietro alla decisione presa.

NON CE N’È CORDYCEPPI!


Volendo però mettersi nei panni di Joel, considerate le basi scientifiche ben poco solide su cui si basa la soluzione proposta da Marlène e colleghi, forse “il metodo Liam Neeson” non è poi così sbagliato. O quantomeno esagerato. In primis, la possibile cura si basa su un assunto quantomeno traballante: per farla breve, essendo il cordyceps parte integrante del cervello di Ellie sin dalla nascita, esso innescherebbe una reazione chimica tale da far “credere” al fungo, inteso qui come mente alveare, che la bambina faccia parte della “famiglia cordyceps“, rendendola quindi immune perché “mascherata” da infetta. Teoria che un po’ cozza con quanto visto finora, considerato che clicker e bloater non sembrano essere d’accordo con le teorie dell’espertone delle Luci, ma soprattutto perché il fatto che questo sistema funzioni con Ellie non significa necessariamente che funzionerà con altri individui semplicemente moltiplicando le cellule in laboratorio. Inoltre, si tratta di una “mezza cura“, perché sì, in questo modo si potrebbe (almeno in teoria) scongiurare il pericolo di mutare in uno degli infetti una volta morsi, ma nulla vieterebbe agli infetti in stadi più avanzati (oramai irrecuperabili) di squartare vive eventuali prede.
Si tratta naturalmente di dubbi basati su informazioni molto approssimative, ma che comunque aiutano a “giustificare” ulteriormente il comportamento di Joel. Avrebbe davvero senso “curare” un ristretto numero di sopravvissuti, sacrificando la vita di una ragazzina, potenzialmente l’unica immune, uccidendola basandosi su una teoria raffazzonata e basata sul nulla poiché senza precedenti, tenendo conto che, in ogni caso, milioni di infetti resterebbero comunque un pericolo sempre presente e difficilmente arginabile dal genere umano?
Sempre tenendo a mente, inoltre, che medicina e scienza, giunti a questo punto, non godono di certo della stessa considerazione positiva che potrebbero avere in un mondo non ancora distrutto da una pandemia globale. Basti pensare all’ondata di cospirazionisti decerebrati spuntata fuori durante la pandemia di Covid per capire a cosa ci si sta riferendo. E pensate che in quel caso si trattava semplicemente di un’influenza con implicazioni più gravi in soggetti a rischio, immaginate cosa potrebbe succedere in presenza di un’epidemia di questa portata e gravità.

JOEL WICK


The Last Of Us è senza dubbio il miglior adattamento videoludico di sempre. Questo ormai dovrebbe essere chiaro.
Eppure, essendo chi scrive un platinatore seriale che oramai conosce il videogioco (quantomeno la prima parte) alla perfezione, specialmente in modalità realismo dove la parola d’ordine è “stealth” e dove mattoni, bottiglie e frecce sono gli unici alleati affidabili, non poteva mancare un capitolo dedicato al “videogiocatore frustrato”.
In che senso frustrato? Beh, premettendo che pur giustificando ogni scelta artistica presa per evitare che The Last Of Us diventasse un “John Wick: Pandemic Edition”, visto che Joel nel videogioco è letteralmente un cinquantenne invincibile che da solo accoppa centinaia di persone, talvolta utilizzando soltanto la forza bruta, è anche giusto lamentarsi (goliardicamente) per la semplicità con cui i nostri protagonisti affrontano ogni pericolo come se nulla fosse quando invece nella controparte videoludica le stesse azioni hanno richiesto ben più di quaranta minuti per essere risolte. Senza contare poi le differenze rispetto al cammino che ha portato i protagonisti a finire sotto la custodia delle Luci, nel videogioco costellato da dungeon pullulanti di clicker, bloater e runner, nonché un quasi annegamento con annesso massaggio cardiaco su una Ellie a un passo dalla luce.
Soprassedendo dunque sulla facilità con cui il Joel televisivo riesce a irrompere nella sala operatoria, è interessante osservare la costruzione dell’intera sequenza che vede Joel alle prese con le Luci. Innanzitutto, fin dal momento in cui il protagonista viene scortato dalle due guardie, si può notare il momento in cui l’uomo osserva la mappa dell’ospedale, acquisendo l’informazione circa la posizione del reparto pediatrico e quindi dando inizio al metodico piano di sterminio delle Luci. Da qui in poi, la regia indugia su ogni singolo proiettile sparato da Joel, quasi a voler tenere il conto delle vittime del massacro, a discapito dell’intera umanità e della sola possibilità di tornare ad un’ipotetica normalità.

You’d just come after her.

Ed esattamente come accadeva nel videogioco, nel quale tra l’altro il giocatore viveva l’esperienza in prima persona, la sensazione generale è quella di assistere a un massacro “sbagliato”, fondato sull’affetto, questo sì, ma pur sempre disumano se si pensa alla nonchalance con la quale decine di esseri umani vengono giustiziati solo perché determinati a salvare l’umanità dall’estinzione. Esseri umani, tra l’altro, decisamente meno preparati rispetto ai soldati addestrati e armati fino ai denti presenti nel livello finale del gioco.
Ma tornando al momento topico, la sequenza con protagonista Joel abbandona i connotati di semplice intermezzo action prima del finale, trasformandosi invece in una sequenza estremamente potente che, di fatto, non è altro che una successione di esecuzioni a sangue freddo, ai danni, addirittura, di persone disarmate o che già avevano deposto le armi in segno di resa.
La razza umana ha avuto centinaia di “ultime” possibilità, e Joel non è disposto a sacrificare la sua attuale unica ragione di vita per una possibile opportunità di salvezza che l’essere umano presto proverà di non aver meritato. E nel corso della sparatoria sembra proprio essere questo pensiero a muovere le sua azioni, oltre che il senso di protezione nei confronti di una ragazzina a cui non è stata data alcuna scelta in merito al suo destino.
Sul personaggio di Joel, o meglio sulla definizione del suo rapporto con Ellie e delle motivazioni alla base della carneficina finale, si potrebbe muovere giusto una piccola critica: nonostante non si percepisca la stessa fretta avvertita nell’ottavo episodio, ci sono stati sicuramente dei problemi nella gestione del minutaggio. In particolar modo, si sarebbe potuto dedicare qualche minuto aggiuntivo al momento della “rivelazione” di Marléne circa il destino di Ellie, immediata come nel videogioco, ma proprio per questo forse meno adatta al medium televisivo. La decisione di Joel, proprio a causa di questa fretta, risulta così un po’ meno “credibile” rispetto al videogioco, sebbene restituisca la stessa intensità a livello emotivo.
Infine, e questo è forse il pregio più grande dell’episodio, il modo in cui è stata girata la sequenza finale resta esattamente lo stesso visto nella controparte videoludica, alternando in maniera impeccabile presente e passato allo scopo di confondere inizialmente lo spettatore, portandolo a pensare che alla fine Joel abbia accolto la richiesta di Marléne, solo per scoprire lentamente ciò che davvero è accaduto al termine della sua personale missione di estrazione.
Un finale che colpisce allo stomaco esattamente come nel videogioco, e che chiude magnificamente il quasi perfetto cammino stagionale di questa prima parte di The Last Of Us.

Ellie: “Swear me that everything you said about the fireflies is true.
Joel: “I swear.
Ellie: “Ok.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • L’adattamento da videogioco oggettivamente migliore visto finora, non occorre aggiungere altro
  • Un paio di episodi in più avrebbero fatto comodo 

 

The Last Of Us termina qui il suo percorso stagionale settando un nuovo standard per i futuri adattamenti videoludici e, in generale, per le serie a tema distopico/post-apocalittico. Un finale quasi perfetto, com’era facile prevedere, e che trova nella trasposizione televisiva un successo meritato dovuto, soprattutto, a Pedro Pascal e Bella Ramsey, impeccabili nella loro rappresentazione di Joel ed Ellie. Ora non resta che attendere la seconda parte e sperare che l’opera di adattamento segua gli standard elevatissimi messi in scena in questa prima stagione.

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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