The Penguin 1×08 – A Great Or Little ThingTEMPO DI LETTURA 8 min

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Recensione 1x08 The PenguinL’universo narrativo di The Penguin, nato dal successo di The Batman di Matt Reeves, si distingue per una delle rappresentazioni più complesse, profonde e inquietanti di Oswald Cobb, alias il Pinguino, che, attraverso la magistrale interpretazione di Colin Farrell, si trasforma in una figura dal fascino perverso e dalla crudeltà implacabile. Farrell riesce a fondere con straordinaria abilità le versioni più celebri e contrastanti del personaggio, passando dal mostro grottesco e caricaturale dipinto da Tim Burton in Batman Returns all’emarginato tragico e profondamente umano tracciato da Bruce Timm in Batman: The Animated Series. In questa reinterpretazione, Cobb non è soltanto un villain ma un antieroe che, attraverso una presenza magnetica e stratificata, riesce a incarnare allo stesso tempo il lato oscuro e attrattivo del potere, la rabbia ferina di chi è stato emarginato, ma anche la crudeltà spietata di chi è disposto a sacrificare qualsiasi cosa pur di raggiungere la propria ambizione, trasformando la sua ascesa nel cuore stesso della narrazione.

UN VIAGGIO NELLA PSICHE DI GOTHAM


La regia e la fotografia di The Penguin sono essenziali nel plasmare l’atmosfera cupa e decadente di Gotham, rimanendo fedeli alla visione di Matt Reeves. La città, segnata dai devastanti eventi scatenati dall’Enigmista, si trasforma in un personaggio a sé stante, in cui ogni vicolo e ogni edificio raccontano storie di corruzione e disperazione. La fotografia, con le sue luci al neon, i chiaroscuri marcati e le tonalità fredde, amplifica il senso di oppressione e minaccia che permea la metropoli, mentre la regia costruisce un ambiente visivamente inquietante.
Gotham City
, ben oltre il ruolo di mero sfondo, si erge come un’entità viva la cui decadenza e tumulto riflettono una psiche collettiva segnata da secoli di autodistruzione, corruzione e disperata ricerca di redenzione; una città che si consuma nel tentativo di contenere e sfuggire a sé stessa, mentre la criminalità organizzata, scossa e confusa, sembra incapace di mantenere il controllo su un terreno che sembra essersi sgretolato sotto i colpi di una guerra senza quartiere.
In questo scenario di caos e vuoto di potere, Oz è deciso a fare suo ciò che resta, intraprendendo un percorso che lo vede come una figura manipolatrice, pronta a piegare chiunque gli si avvicini alle sue egoistiche esigenze. Sin dal primo episodio, il personaggio emerge nella sua ambiguità, un lupo mascherato da agnello, capace di celare la sua natura spietata dietro una facciata di riverenza nei confronti dei potenti, solo per colpirli con freddezza al momento più opportuno, lasciando dietro di sé una scia di devastazione che si rivela parte integrante del suo stesso essere.
Questa dualità, che pervade ogni sua azione, trova una chiara espressione nei rapporti con i principali personaggi che incrociano la sua strada, figure che, ciascuna a suo modo, fungono da specchi deformanti delle sue molteplici sfaccettature. Ogni interazione con Oz, infatti, rivela una nuova dimensione della sua natura ambigua e spietata: Francis Cobb, Sofia Falcone e Vic si trasformano così in singoli capitoli di un’ascesa al potere che, seppur affascinante e complessa, è destinata a sfociare inevitabilmente nell’autodistruzione. Ogni personaggio che incrocia la sua via diventa il riflesso di un aspetto della sua anima tormentata, un tassello che, nel suo incontro con Oz, contribuisce a svelare la mostruosità intrinseca di un uomo che, pur cercando di imporsi come una figura dominante, sembra essere irrimediabilmente prigioniero della sua stessa ambizione.

GOTHAM, CITTÀ SENZA EROI


L’arco narrativo della serie ruota intorno ai rapporti conflittuali che Oz intreccia con altri personaggi chiave, ognuno dei quali serve a rivelare aspetti diversi della sua personalità. Francis Cobb, Sofia Falcone e Vic diventano, infatti, non solo ostacoli da superare, ma anche specchi deformanti delle sue molteplici sfaccettature, tre lati del triangolo di Oswald: il potere, la lealtà e l’ossessione familiare.

  • SOFIA FALCONE: IL POTERE

La Sofia Falcone di Cristin Milioti è sicuramente una delle antagoniste più temibili della serie, un personaggio che all’inizio sembra poter essere controllato dalle bugie e dalle manipolazioni di Oz, ma che progressivamente diventa uno degli ostacoli più formidabili al suo dominio. A tal proposito, l’arco narrativo di Oswald Cobb trova un significativo parallelismo tra l’inizio e la fine della serie, rivelando la sua evoluzione come stratega del crimine.
All’inizio, l’omicidio di Alberto, compiuto in preda a un raptus di rabbia, segna un momento di perdita di controllo: un atto impulsivo che lo espone alla vendetta dei Falcone e che lo incatena al suo passato di insicurezze. Al contrario, nella decisione finale di far arrestare Sofia invece di ucciderla, Oz dimostra di aver raggiunto un nuovo livello di consapevolezza. Non più governato dall’istinto, sceglie una mossa calcolata che cementa il suo dominio su Gotham: Oswald è ora in grado di giocare “il gioco del potere” con freddezza e determinazione, scegliendo il percorso che gli consente di mantenere il controllo e di danneggiare i suoi nemici in modo più scaltro e vantaggioso.
Il confronto finale tra Oz e Sofia si risolve quindi in un atto che non è solo crudeltà, ma anche una chiara affermazione del dominio del Pinguino. Invece di ucciderla, la condanna a una prigionia che per Sofia è una sorte peggiore della morte e la perdita di ogni speranza di riscatto simboleggiano per Oz il potere che ora è in grado di esercitare, non solo sugli altri, ma anche su se stesso, un potere che riflette la sua capacità di distruggere non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, chiunque osi mettersi sulla sua strada.

  • VIC: LA LEALTÀ

La relazione tra Oz e Vic è senza dubbio uno degli aspetti più dolorosi e devastanti della serie. Vic, un giovane cresciuto nelle fredde strade di Gotham, trova in Oz un mentore, una figura che gli offre una speranza in un mondo segnato dalla violenza e dalla solitudine. La sua devozione nei confronti di Oswald cresce in modo incondizionato, trasformandosi in una lealtà cieca che lo rende vulnerabile agli ingranaggi del potere del Pinguino. Tuttavia, la brutalità di Oz emerge con una freddezza glaciale nel momento in cui, pur avendo costruito un legame apparentemente solido, decide di eliminare Vic senza esitazioni, strangolandolo con la stessa spietatezza che lo ha sempre contraddistinto. Questo atto, privo di qualsiasi rimorso, svela in modo inequivocabile come, per Oswald, ogni legame umano sia semplicemente un mezzo per consolidare e alimentare la propria brama di potere, dove la lealtà altrui diventa sacrificabile in nome del proprio dominio.
La morte di Vic, consumata in un’atmosfera di surreale tranquillità, si erge come una delle scene più strazianti dell’intera serie: Oz, strangolando il ragazzo dopo averlo lodato, lo annienta riducendolo a mera pedina sacrificabile nel suo gioco di potere. Questo momento, tragicamente significativo, non solo accentua la disumanità di Oswald, ma sollecita una riflessione più profonda sulla crudeltà che permea il suo dominio, in cui la sofferenza e la morte sembrano rientrare in un piano più ampio di controllo assoluto, in cui ogni vita è solo un mezzo per un fine. Vic, l’individuo più innocente e puro tra i suoi sottoposti, è condannato a pagare il prezzo più alto, lasciando lo spettatore con un senso di impotenza e ingiustizia che persiste ben oltre il termine della sequenza.

  • FRANCIS COBB: L’OSSESSIONE FAMILIARE

L’arco narrativo di Francis, madre di Oswald, però, è forse il più inquietante. Il rapporto morboso tra i due getta luce sulle origini del Pinguino, sulle sue insicurezze e sulla sua visione distorta dell’amore familiare. Francis Cobb incarna la conflittualità dell’uomo e della madre. La sua figura malata, che si avvia verso la demenza, non perde mai la schiettezza e l’umorismo provocatorio che ha trasmesso al figlio, rappresentando una relazione tossica e ossessiva che si manifesta nella violenza con cui il protagonista ha conquistato l’amore materno. Questo rapporto, per quanto doloroso e carico di risentimento, è anche l’espressione di una dipendenza affettiva che Oz tenta di sfuggire, ma che continua a definirlo.
L’amore che Oz nutre per sua madre, però, è tutt’altro che un sentimento di affetto genuino. La sua relazione con Francis non è solo un legame di dipendenza emotiva, ma una manifestazione del suo egoismo e del suo bisogno di controllo. Oz tiene la madre in vita, non per compassione o per la speranza di un vero legame, ma per una spinta possessiva, per poterle mostrare la persona che è diventato ora, al comando, come la figura di potere che ha sempre voluto essere.
L’atto di tenerla in vita, come un vegetale, non è solo una tortura psicologica che infligge alla madre, ma anche un modo per punirla per avergli negato, in un certo senso, l’affetto che cercava da bambino. Con una crudeltà sotterranea, Oz mantiene Francis in vita nonostante la sua richiesta esplicita di non farlo, mettendo in evidenza un amore materno distorto che non rispetta i desideri o il benessere dell’altro, ma si impone come un bisogno insaziabile e malato. Un amore che non riconosce il vero affetto, ma solo il possesso e la manipolazione.

 

👍 THUMBS UP 👍 👎 THUMBS DOWN 👎
  • Interpretazione magistrale di Colin Farrell
  • Narrazione intensa e stratificata
  • Approfondimento psicologico dei personaggi
  • Regia e fotografia impeccabili
  • Finale sorprendente e memorabile
  • Niente di significativo da segnalare

 

In un panorama televisivo spesso dominato da antieroi complessi e sfaccettati, The Penguin emerge come un’opera che eleva la figura di Oswald Cobb, trasformandolo in un simbolo inquietante e carismatico del caos urbano di Gotham. La serie scava nei meandri della criminalità e della psiche di un uomo disposto a tutto pur di conquistare il potere e, attraverso una narrazione brutale, arricchita da interpretazioni magnetiche e una messa in scena visivamente straordinaria, la serie ridefinisce il confine tra mostruosità e umanità in un mondo dove le sfumature di grigio prevalgono sul bianco e nero.

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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