Certamente la questione COVID avrà influenzato in qualche modo il lavoro di produzione, forse esiste del materiale tagliato che avrebbe potuto fare da collante ai vari piani narrativi della stagione in maniera più efficace, o forse più semplicemente si è cercato di ovviare al problema di una storia oggettivamente debole rispetto alle precedenti infarcendo il prodotto con facce conosciute al pubblico, personalità didascaliche facilmente riconoscibili e una scena post-credits con annesso (abbastanza inutile) easter egg. Una mossa che di certo porterebbe ad ottimi risultati se il protagonista della storia avesse un mantello o indossasse le mutande sopra i pantaloni, ma che nel caso di Fargo, invece, si risolve in un colossale nulla di fatto dal titolo “Storia Americana”.
DOV’È FINITA ETHERILDA SMUTNY?
Nella prima recensione stagionale si era deciso, in virtù dell’esser cauti che è insito in ogni recensore, per un Thank Them All più prudente, motivando la scelta con tutta una serie di preoccupazioni che, purtroppo, sono diventate sempre più concrete puntata dopo puntata. In merito al tema del conflitto ideologico, inizialmente raccontato come se si trattasse dell’elemento chiave del racconto, si era detto: “Un’ottima premessa dovrà portare necessariamente allo sviluppo di un più ampio racconto“. Al termine di quest’ultimo episodio occorrerebbe però fare un’ulteriore precisazione: un’ottima premessa dovrà portare necessariamente allo sviluppo di un più ampio racconto, a patto che il racconto sia effettivamente legato alla premessa.
Il personaggio di Ethelrida, ragazza liceale di colore con il ruolo di narratore fuori campo – a lei infatti il compito di chiudere la narrazione con quel “My name is Ethelrida Pearl Smutny. This is my history report.” che chiude il cerchio aperto nella premiere stagionale – doveva essere il consueto collegamento tra mondo criminale e società civile, un ponte tra due mondi molto diversi che però mostravano le stesse barriere ideologiche, un’occasione per riflettere su un problema ancora attuale utilizzando il linguaggio tipico di Fargo.
La sensazione però, giunti alla fine del racconto, è quella di aver assistito ad un bel gangster movie, reso inizialmente interessante dalla combinazione tra antologia e black comedy tipica della serie ma tradito proprio da questo particolare schema ricorrente, entro il quale la narrazione ha finito per smarrirsi. Ethelrida resta così intrappolata all’interno di una storia che la tiene ai margini, che indugia maggiormente sul lato criminale delle vicende e con il suo personale happy ending raggiunto nel precedente episodio, ciò che resta allo spettatore in questo “Storia Americana” è la resa dei conti finale tra le due famiglie. Indubbiamente troppo poco se si parla di un season finale di Fargo.
TUTTA COLPA DI ORAETTA
Un’ulteriore conferma della mancanza di mordente di questa quarta stagione di Fargo arriva immediatamente dopo lo slide show iniziale “In Memoriam” con tutti i caduti della serie, al termine del quale difficilmente lo spettatore riuscirà a provare effettivamente nostalgia o malinconia nei confronti dei personaggi morti fino a quel momento (magari un pochino per Doctor Senator, che comunque sembra essere morto dieci anni fa). Ciò mostra come lo show, nonostante tutte le buone intenzioni, non sia mai riuscito a creare un vero legame tra characters e spettatore oppure, come nel caso di Ethelrida o Rabbi, abbia creato inizialmente un legame per poi relegare i due ai margini della narrazione.
In questo finale restano così cinque personaggi senza un finale: la prima è proprio Ethelrida, al quale viene dato solo il compito di chiudere il cerchio; il secondo è Ebal (un grandissimo Francesco Acquaroli), al quale probabilmente spetterà il ruolo di futuro capo famiglia; poi Loy, che siccome è Chris Rock deve morire per ultimo; Jotso, vera vittima dei classici fraintendimenti a catena tipici di Fargo; e infine Oraetta, senza alcun dubbio uno dei personaggi più grotteschi della serie, soprattutto grazie all’interpretazione straordinaria di Jessie Buckley. Se personaggi come Ebal e Jotso terminano il proprio percorso con esiti lineari e scontati (ma “giusti” in relazione al ruolo ricoperto da entrambi), discorso diverso va fatto per Loy e Oraetta, ai quali spetta invece un finale meno telefonato.
L’inaspettato utilizzo dell’infermiera killer come agente del caos all’interno della trama di Jotso è uno dei punti a favore dell’episodio, a maggior ragione se a giovarne, anche in termini di teatralità, è proprio la donna, decisa a non nascondere la propria follia perfino negli ultimi secondi di vita. Un finale azzeccatissimo e che fortunatamente riesce a rendere onore ad uno dei personaggi meglio scritti della stagione. Sull’alto fronte invece – il fronte Chris Rock – sebbene si tratti di un finale meno telefonato rispetto ad altri, il problema è da ravvisare nella costruzione vera e propria della sequenza. Nulla da dire in merito all’atmosfera o al colpo di scena finale che vede il ritorno a sorpresa di Zelmare, sesto personaggio in cerca di una conclusione, ma ben poco curata la reazione di Satchel alla vista di suo padre moribondo. Una non-reazione che indebolisce l’impatto emotivo del momento lasciando quantomeno perplessi e che appare ancor più immotivata in virtù della rivelazione post-credits in merito alla sua “vera identità”.
E ALLA FINE ARRIVA MILLIGAN
Concludiamo con una piccola nota a margine riguardo la brevissima scena post-credits che probabilmente in pochissimi, solo quelli che non erano materialmente vicini allo schermo e quindi impossibilitati a chiudere immediatamente il player, avranno visto e che finalmente conferma la teoria che circola su internet ormai da qualche tempo secondo cui Satchel sarebbe in realtà un giovanissimo Mike Milligan, uno dei protagonisti della seconda stagione di Fargo. Un’idea stupenda, quella di creare una connessione all’interno dell’antologia, un po’ meno intelligente la scelta di non aggiungere alla sequenza qualche informazione più esplicita e utile a rinfrescare la memoria dello spettatore di vecchia data dello show.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Se si trattasse di un giudizio puramente estetico, questa quarta stagione di Fargo si chiuderebbe con un voto in zona verde. Nulla si può dire in merito alla qualità del prodotto, tanto meno riguardo le interpretazioni dei singoli attori. Purtroppo ad uno show serve anche personalità, si potrebbe dire un’anima. Qui invece l’impressione è che si sia scelta la strada più facile, affidando tutto ai “grandi nomi” e all’apparenza piuttosto che al contenuto.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.