“Logic dictates that in every fight there is a winner and a loser. But this is a history report. And what does history tell us? Peace don’t last for long.”
A più di tre anni dalla conclusione della terza stagione, Fargo torna a raccontare una delle sue avvincenti “True Story“, questa volta portando lo spettatore nel Missouri di inizio Novecento, più precisamente a Kansas City, nel bel mezzo di una faida tra famiglie rivali che va avanti da ben cinquant’anni e che ciclicamente conduce sempre alla medesima conclusione: la rottura dell’equilibrio stabilito da parte di una delle due fazioni.
A seguito di due grandi migrazioni in territorio americano, quella degli afroamericani del Sud in fuga da Jim Crow e quella degli italiani – più in generale dei paesi dell’Europa meridionale – nelle città del nord come New York e Chicago, le famiglie Fadda e Cannon Limited si trovano al centro di una disputa per il controllo dell’economia sommersa di Kansas City tra immissione e distribuzione della droga sul mercato, arrivando come già avvenne in passato, ad una situazione di tensione insostenibile e al conseguente “rito” che prevede lo scambio dei rispettivi primogeniti. Una premessa senza dubbio particolare e che contribuisce a dare quel qualcosa in più ad un contesto oramai strautilizzato, quello delle lotte tra gangster di inizio Novecento, già visto e rivisto in TV e quindi condannato al quasi automatico accostamento ad altri grandi nomi contemporanei quali Boardwalk Empire e Peaky Blinders, giusto per citarne due a caso.
Fortunatamente, Fargo ha sempre dimostrato di non temere alcun tipo di confronto, regalando al suo pubblico tre stagioni di pittoresche disavventure, spesso al limite del grottesco, contraddistinte da una scrittura vivace e mai scontata e da un cast sempre di altissimo livello. Tutte componenti già presenti all’interno di questa premiere stagionale e che, grazie alla mano di Noah Hawley (Legion), contribuiscono alla creazione di un episodio quasi perfetto, rallentato forse in maniera un po’ improvvisa negli ultimi venti minuti, ma soltanto per un’ovvia esigenza di introdurre la consueta “famiglia normale” che in un modo o nell’altro vedrà i suoi membri in mezzo a faccende ben più grandi di loro.
La lista dei volti conosciuti in questa quarta stagione è forse la più lunga vista finora: Chris Rock, Timothy Olyphant (Santa Clarita Diet), Jason Schwartzman, Amber Midthunder (Legion), Jessie Buckley (Chernobyl), Salvatore Esposito (Gomorra), Tommaso Ragno (Il Miracolo, Baby), Francesco Acquaroli (Suburra), Gaetano Bruno (1992–1993–1994). Un cast con molti “big” e forse in generale fin troppo ampio, che si spera non vada ad intaccare la trama a causa di un’eccessiva frammentazione narrativa dovuta alla necessità di introdurre e sviluppare i diversi character in scena. Per il momento la situazione è ancora controllata, ma all’appello mancano ancora diversi nomi tra quelli elencati e, sebbene Fargo sia sinonimo di garanzia, sarebbe davvero triste se a causa di questa zavorra la trama non decollasse nello stesso modo delle precedenti stagioni.
“The problem was the only thing worse than a disreputable negro was an upstanding one.”
Un’ottima premessa, ad ogni modo, dovrà portare necessariamente allo sviluppo di un più ampio racconto. Quella che inizialmente sembra soltanto un’originale trovata per mettere lo spettatore di fronte al più classico dei conflitti tra famiglie malavitose, diventa un semplice pretesto per porre l’accento sulla cronica incapacità dell’essere umano di imparare dai propri errori, di liberarsi dalle proprie contraddizioni e pregiudizi.
Sebbene l’ambientazione dipinga una società vecchia ormai di settant’anni fa, i principali conflitti ideologici – immigrazione e razzismo dilagante – risultano essere gli stessi al centro dell’attuale dibattito politico americano e,grazie all’inserimento di Ethelrida, giovane liceale di colore che assume il ruolo di narratore fuori campo, lo spettatore riesce a viaggiare tra le maglie del tempo vestendo alla perfezione i panni dei protagonisti ed entrando nelle loro menti, esplorandone dubbi e paure ed empatizzando con loro in maniera del tutto immediata. E Hawley in questo si conferma un maestro. L’intero saggio d’apertura risulta scritto in maniera impeccabile, l’alternanza tra semplice analisi storica e pensieri pungenti della ragazza, consapevole del suo status ma non per questo disposta a indorare la pillola o porgere l’altra guancia, rende tutta la sequenza introduttiva estremamente coinvolgente, creando inoltre un legame immediato con lo spettatore grazie alla rabbia che traspare dalle parole della ragazza.
Una menzione particolare, infine, va fatta alla sequenza del ferimento di Donatello Fadda: un piccolo capolavoro di insensatezza che nel giro di tre minuti scarsi riesce a spiazzare lo spettatore bombardandolo prima con sequenze a ralenti ad altissima tensione, poi con scorregge del tutto fuori luogo che per un attimo lasciano gridare al cinepanettone ed infine con quel colpo al collo inaspettato giunto proprio nel momento in cui lo spettatore è più vulnerabile a causa della precedente flautolenza. Una pepita d’oro, un capolavoro di tre minuti che, come direbbe il buon Duccio Patané, lo puoi mandare a un festival.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Un inizio senza dubbio convincente e che non tradisce le altissime aspettative spettatoriali. Un’ambientazione molto suggestiva e un cast pieno di facce conosciute, per di più nelle sapienti mani di Noah Hawley, ci fanno ben sperare circa il prosieguo della stagione e anche se vorremmo benedire questo primo episodio, preferiamo contenere l’eccitazione tenendoci sul gradino immediatamente più basso del podio, in attesa quantomeno di aver visto il secondo, uscito in concomitanza con questo “Welcome To The Alternate Economy”, e al termine del quale speriamo di poter vedere fugato ogni nostro dubbio in merito a questo promettente avvio stagionale.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.