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E se The Walking Dead fosse ambientato durante la Rivoluzione francese? Sicuramente una bella idea, tanto che Netflix ha deciso di farci una serie in lingua francese proprio per solleticare l’interesse dei suoi milioni di abbonati europei.
Una volta appurato, come evidente sin dal pilot, che lo show non ha pretese di fedeltà storica, bisogna riconoscere che l’idea alla base della sceneggiatura è veramente ottima: unire il genere storico con l’horror classico pieno di zombie è veramente peculiare, con una rivisitazione delle motivazioni socio-politiche alla base della rivolta del 1789 che sicuramente è una scelta coraggiosa e alquanto peculiare.
Certo sono evidenti diverse problematiche di fondo che non sono state risolte con il passare degli episodi, soprattutto per quanto riguarda il cast non proprio eccelso per usare un eufemismo e la costruzione “a cazzo di cane” dei personaggi, superficiali e poco approfonditi.
Non si capisce poi la motivazione dietro il basso minutaggio riservato a Madeleine, evidente personaggio chiave dell’intera storia, sicuramente fondamentale per il season finale, ma un maggior utilizzo del character avrebbe giovato alla storia, visto che nessuno dei personaggi principali riesce veramente a bucare lo schermo e catturare l’attenzione degli spettatori.
Infatti nonostante i tanti spunti storici, i complotti e le diverse sottotrame, la natura quasi soap-operistica dello show è sempre in agguato e si radicalizza nel DNA della serie, andando irrimediabilmente a tarpare le ali a un prodotto che se realizzato meglio poteva essere veramente egregio.
Inoltre il villan di turno è macchiettistico in modo esagerato e sembra essere stato scritto da un autore sedicenne alla sua prima produzione, senza contare le dubbie scelte autoriali, con soluzioni semplicistiche e repentini cambi narrativi, spesso ingiustificati, come ad esempio la fulminea alleanza tra la Fratellanza e la nobiltà ribelle guidata da Elise.
Tuttavia nonostante questi problemi non di poco conto, la serie francese è godibile per lo spettatore e si lascia guardare anche con un certo interesse, per un binge-watching sicuramente alimentato da una buona dose di scene action e fiumi di sangue, sia rosso che blu, che sicuramente rappresentano un gradito elemento per gli amanti del genere splatter.
Il finale di puntata, con il numero degli zombie che inizia ad aumentare proporzionalmente al numero delle vittime, lascia presagire un grande massacro nei prossimi episodi, sicuramente una svolta per cui i tempi sono maturi e che sarà inevitabilmente una gioia per gli occhi degli spettatori, senza contare la cattura di Elise, alle prese con la scelta di divenire o meno una nobile zombie.
Al di là delle scelte narrative, rimane la sensazione che si potesse fare di più con un’idea di partenza vincente posta alla base dello show, tuttavia non è certo la prima volta che la società di Palo Alto sacrifica la qualità a scapito di una visione meno impegnativa e rivolta a un pubblico mainstream e La Révolution ne rappresenta l’ennesimo esempio.
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Un buon episodio per la serie francese di casa Netflix, che sulla falsariga dei precedenti conferma tutti gli elementi positivi visti ma anche quelli negativi, confermando la sua natura di prodotto televisivo non impegnato ma sicuramente perfetto per un binge-watching rapido e soddisfacente. Visti i diversi difetti del comparto tecnico e le carenze di sceneggiatura, la valutazione non può che essere sufficiente, ma nulla di più. Negli ultimi due episodi non sembra realistico un cambio di rotta e non ci si aspetta grossi salti qualitativi, ma visto la godibilità della visione non è necessariamente un male.
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Venera due antiche divinità: Sergio Leone e Gian Maria Volontè.
Lostiano intransigente, zerocalcariano, il suo spirito guida è un mix tra Alessandro Barbero e Franco Battiato.