SPADE LUCENTI, CAVALLI AL GALOPPO
Già dai primi minuti di girato la serie Netflix si è posta con un chiaro intento di puro intrattenimento, tralasciando volutamente qualsiasi profondità storica che, diversamente, avrebbe certamente impedito la piena libertà narrativa e frenato la fantasia degli autori, obbligati altrimenti a rendere conto all’illustre passato francese.
La completa noncuranza dei fatti storici non disturba affatto, tutt’altro. La serie sorvola qualsiasi analisi socio-politica, a favore di un ritmo narrativo spedito e goliardico che permette allo spettatore di giocare una partita a scacchi senza sviluppare alcun ragionamento interiore, che non trova ne La Révolution la sede giusta in cui germogliare.
CARRI STRIDENTI, QUA E LA’ QUALCHE SCHIOPPO
Il palese abbandono a qualsiasi pretesa educativa o riflessiva è la chiave vincente di una serie che non può certo essere criticata per quello che non è.
Quello che invece regala la serie sono quaranta minuti di azione, tensione, scontri e duelli all’ultima testa mozzata. Il ritmo incalzante della narrazione, dettato da una serie di piani sequenza dinamici e palpitanti, offre allo spettatore un momento di puro intrattenimento seriale, che riunisce l’eleganza di una serie tv in costume e la ripugnante minaccia di un’apocalisse zombie in un modo così disinvolto e naturale da non apparire poi così kitsch.
Dei pregi della serie l’indubbio portavoce è Donatien de Montargis, il personaggio più accattivante della serie. Il giovane conte è un villain squisitamente viscido e riprovevole, da suscitare non solo l’immediata antipatia da antagonista, ma un sensibile disgusto per il disprezzo e la crudeltà ostentati, in netto contrasto con quei caratteri così delicati e nobili che lo rendono elegante e armonioso persino durante un pasto consistente.
LUNGO LA SENNA C’E’ ORMAI CHI COMBATTE
Sottovalutato e deriso da tutti coloro che lo chiamavano l’infermo, Donatien è forse l’unico personaggio con un minimo di caratterizzazione che va oltre lo stereotipo del cattivo, contrariamente a tutti gli altri personaggi totalmente privi di spessore.
L’enorme difetto della serie è proprio la pessima scrittura di dialoghi e personaggi. Elise de Montargis è il primo su tutti: un character disegnato sull’onda della banalità e della scontatezza, con delle battute talmente imbarazzanti da rendere l’apocalisse zombie l’aspetto più credibile e meno fantasioso della serie. Il fiero discorso in cui la giovane de Montargis rinuncia alla sua discendenza rivendicandosi come ragazza del popolo non solo è troppo melenso e scontato, ma è del tutto privo di significato perché Elise tra il popolo non ci è mai stata.
Le medesime considerazioni possono essere estese a Joseph Guillotin, un personaggio presentato come protagonista ma con un ruolo del tutto marginale -se non persino inutile- durante gli otto episodi della stagione. L’unica informazione assimilata è che si tratta di un medico dall’animo nobile, dedito allo studio e alla scienza, senza che emerga nulla più che permetta di empatizzare con il giovane dottore.
IL RE TENTENNA MA LA GENTE SI BATTE
Volendo tirare un po’ le somme, appaiono chiari i pregi e i difetti di questa prima stagione de La Révolution, che mette al primo posto una storia fantasiosa e originale, del tutto godibile nelle sue scene di combattimento e di sangue e nei suoi interrogativi rimasti ancora irrisolti (chi è Madeleine? chi è Nais? chi è il paziente zero?) buttati lì per un palese rinnovo di stagione. Al contempo, originalità, azione e mistery vengono ammazzati da personaggi banali, luoghi comuni e discutibili scelte stilistiche, una su tutte: perché il re di Francia parla come Robocop?
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Lunatica, brutta, cinefila e mancina. Tutte le serie tv sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.