Questa seconda stagione ha una scusante che non potrà essere tenuta in considerazione nel momento in cui si andrà a valutarne la qualità, rispetto a quanto invece fatto con la prima.
Con il primo ciclo narrativo, infatti, si era rimasti sulla sufficienza consci del fatto che il prodotto doveva probabilmente carburare, puntava forse più al flebile colpo di scena piuttosto che ad una narrazione concreta e rigida. Questo seconda stagione non può avvalersi di queste giustifiche proprio per il fatto che, trattandosi di un secondo ciclo narrativo, l’obbiettivo doveva essere quello di sedimentare la storia nella mente dello spettatore; puntare a collegamenti importanti; e, soprattutto, diluire le tempistiche del racconto, una cosa che Biohackers ha dimostrato fin da subito di non essere in grado di fare.
Un fallimento sotto tutti i punti di vista, nel complesso, visto che la stagione si è aperta con un salto temporale di tre mesi e la necessità per Mia (e lo spettatore insieme a lei) di ricostruire avvenimenti, fazioni, posizioni ideologiche e pensieri. Un lavoro durato svariate puntate e mai effettivamente concluso fino a “Erinnerung”, puntata in cui la narrazione chiude il cerchio ed espone cosa effettivamente sia accaduto a Mia e a quali esperimenti sia stata sottoposta. Tutto, terribilmente, troppo tardi.
DIALOGHI E POCO ALTRO
La puntata nemmeno mette in mostra la verve di un episodio “ponte” soffermandosi (e lasciando presupporre) su di un finale che potrebbe essere definitivo:
- Il Barone tragicamente reso indisposto e la cui eredità viene raccolta dai figli;
- Niklas da personaggio co-protagonista si è completamente involuto in questa seconda stagione, scomparendo di scena e dalla sceneggiatura;
- Chen-Lu ed Ole non pervenuti;
- Jasper il fidanzato apprensivo;
- professoressa Lorenz deus-ex-machina fino a quando rimane in gioco, poi viene uccisa in una scena talmente veloce da risultare paradossale;
- finale meschino per lo spettatore che si ritrova con un nulla di fatto sotto gli occhi e la sensazione di aver perso tempo per due anni di fila.
La serie, in questa seconda stagione, ha tentato un suo personale approccio per portare sullo schermo un dibattito filosofico tra kantiani ed utilitaristi, portando lo spettatore a chiedersi se per il bene di molti sarebbe giusto sacrificare (consciamente) un individuo (nello specifico caso, Mia). Questo è anche il tema di questo ultimo episodio, ma si tratta di un fuoco di paglia che anima i dialoghi e nulla più risultando più strafottenza che reale interesse per declinare il concetto in una così particolare narrazione.
UN APPELLO FALLITO
Bisogna poi doverosamente affrontare la scena emblematica, per l’eccessiva velocità della narrazione, che riguarda l’uccisione della professoressa Lorenz che, in una sequenza totalmente lasciata al caso e tagliata fuori da ogni contesto, durante un dialogo con Mia, viene colpita da un proiettile e muore. Proiettile sparato da chi? Da dove? Come mai era appostato lì? Quale è la reazione a tutto ciò? Domande su domande che si sedimentano, prendono la polvere e non vengono prese in considerazione perché poco dopo la puntata si chiude con Mia pronta a seguire le orme del padre, mentre sale su di un minivan in pieno stile hippie.
Insomma, Biohackers fallisce l’appello e si ritrova con una seconda stagione (partita anche discretamente) con le stesse problematiche della prima mettendo in mostra, da parte della produzione e della sceneggiatura, un certo disinteresse nel dare risposte allo spettatore e nel concludere determinate sottotrame (Homo Deus resta una mina vagante mai affrontata degnamente). Difficile dire, oggi, se la serie tedesca di Netflix verrà rinnovata per un terzo ciclo, tuttavia la sensazione è che se anche dovesse accadere ci si ritroverebbe di fronte ad un prodotto totalmente impalpabile, interessante dal punto di vista concettuale ma privato di verve e dalla sceneggiatura non costruita per poter dare solide risposte e punti di riferimento al pubblico. Un bel fastidio.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Non c’è scusante che regga: Biohackers si conquista una insufficienza presentando un altro finale impalpabile. Peccato perché dopo 12 episodi sarebbe stato interessante vedere le cose chiudersi (anche solo momentaneamente) in maniera diversa.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.