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Ogni esperienza vissuta, bella, brutta o catastrofica che sia, serve a qualcosa, o così mi piace credere. La vita è fatta di questo, di alti e bassi, di sorrisi e lacrime, di bocconi amari e dolci (o agrodolci). Da ogni esperienza, anche quella che ci può sembrare insignificante, ne usciamo con qualcosa in più.
Ogni cosa ha la sua utilità nella vita di una persona, che sia una
delusione amorosa, una bella giornata passata con la famiglia o un brutto litigio con un caro amico. Mi piace pensare che tutto accada per una ragione, e non parlo di destino o fato. Mi piace pensare che anche il tempo passato a cazzeggiare, a far nulla, quello che mio padre definirebbe “tempo sprecato”, abbia la sua utilità. Ci sono delle cose a cui io, però, non riesco a dare un senso, come ad esempio l’omofobia, le zanzare e Pretty Little Liars. Difficilmente penso di aver buttato tempo della mia vita (per i motivi sovracitati), ma questa serie tv riesce a far vacillare la mia sicurezza sul senso delle cose. Non so esattamente come faccia, ma ci riesce. Eppure un tempo PLL mi appassionava, finivo un episodio e non vedevo l’ora di iniziare il seguente. Adesso faccio addirittura fatica a ricordare cosa ci trovassi di così entusiasmante. Ho vaghi ricordi di me, al telefono con la mia migliore amica, a commentare con una certa apprensione gli episodi, a fare congetture su congetture in perfetto stile “nerd sfigata”. Adesso l’unica cosa che mi chiedo a fine episodio è: “Perché?!?!?!”.
Ogni cosa ha la sua utilità nella vita di una persona, che sia una
delusione amorosa, una bella giornata passata con la famiglia o un brutto litigio con un caro amico. Mi piace pensare che tutto accada per una ragione, e non parlo di destino o fato. Mi piace pensare che anche il tempo passato a cazzeggiare, a far nulla, quello che mio padre definirebbe “tempo sprecato”, abbia la sua utilità. Ci sono delle cose a cui io, però, non riesco a dare un senso, come ad esempio l’omofobia, le zanzare e Pretty Little Liars. Difficilmente penso di aver buttato tempo della mia vita (per i motivi sovracitati), ma questa serie tv riesce a far vacillare la mia sicurezza sul senso delle cose. Non so esattamente come faccia, ma ci riesce. Eppure un tempo PLL mi appassionava, finivo un episodio e non vedevo l’ora di iniziare il seguente. Adesso faccio addirittura fatica a ricordare cosa ci trovassi di così entusiasmante. Ho vaghi ricordi di me, al telefono con la mia migliore amica, a commentare con una certa apprensione gli episodi, a fare congetture su congetture in perfetto stile “nerd sfigata”. Adesso l’unica cosa che mi chiedo a fine episodio è: “Perché?!?!?!”.
Questa terza puntata della quarta stagione è stata una delusione su tutti i fronti. Anzi, non so nemmeno se definirla una delusione, perché per disilluderti prima devi illuderti e io, ormai, ho perso le speranze, ho gettato la spugna, “sul ponte sventola bandiera bianca”, come direbbe Franco Battiato. I primi due episodi sono serviti a qualcosa, quantomeno a informarci della passione che la cara Marlene nutre nei confronti di maiali e uccelli, questo terzo episodio, invece, a cosa è servito? Si accettano suggerimenti perché io non riesco a capirlo.La trama orizzontale è ferma da… nemmeno mi ricordo più quando c’è stato l’ultimo passo avanti decisivo nelle indagini delle nostre care piccole idiote bugiarde. Non so se gli autori erano ubriachi o se hanno fumato rosmarino per tutto il tempo, ma vi rendete conto che intascano fior fior di quattrini per partorire spazzatura?! E dire che c’è gente talentuosa e preparata che non trova un lavoro per dimostrare il loro talento. Comunque se c’è una cosa certa in “piellelle” è che il quartetto delle meraviglie è il quartetto di amiche con meno istinto di sopravvivenza dell’intero mondo telefilmico. Aria, Hannah ed Emily vanno a trovare un tizio molto creepy che a quanto pare crea statue e maschere per vivere (e che ovviamente vive/lavora in un posto sperduto in mezzo a un bosco), logicamente di notte (perché è evidente che sono tutte vampire e possono lasciare Rosewood solo di notte) e quando questo amabile tizio, che si sarà sniffato chili di argilla a giudicare dallo sguardo da pazzo, apre la porta e le invita a entrare loro mica scappano a gambe levate, no, loro entrano! Purtroppo era totalmente innocuo, fuori di testa sì, ma non ha torto loro un capello, al massimo ha sporcato un po’ quelli di Emily. Dico purtroppo non perché desideri vederle morte, ma perché se lui avesse cercato di ucciderle/rapirle/murarle vive avrebbe dato una scossa a un episodio il cui picco massimo di azione è stata Aria che si guarda un film in bianco e nero con il suo nuovo boyfriend. Sul divano. Anche voi avete riso, vero? La piccola Montgomery proprio non ne può fare a meno, i ragazzi vanno e vengono ma i divani sono sempre là, pronti a confortare lei e ad annoiare noi. Quando dice di non gradire le cose noiose, era chiaramente una battuta per farci ridere, perché lei è stata fidanzata con la noia per tre stagioni.
Questo episodio, comunque, sembrava incentrato sulle madri, madri che non apparivano da tempo, come Ella Montgomery che riceve la proposta dal suo (toy) boy di andare con lui per quasi un anno e si lascia convincere dalla figlia a seguire il suo cuore. Non so esattamente come giudicare la scelta, ma la trovo una mossa un po’ azzardata. Lascia ben due figli adolescenti con il padre, che non si è mostrato certo affidabile, per continuare a vivere sulla nuvoletta rosa dell’amore. A quaranta/cinquant’anni ci si può permettere una cosa del genere? Evidentemente nella vita telefilmica sì!Ashley Marin, la bella mamma di Hannah, nasconde qualcosa. Non so cos’avesse in mente di fare in quel bagno, ma aveva uno sguardo inquietante. Ma, visti i precedenti di PLL, scommetto che è una di quelle situazioni “tutto fumo e niente arrosto”, perché lo schema utilizzato è sempre lo stesso: propinarci due o tre episodi in cui si sospetta di qualcuno, che viene poi prosciolto da tutte le accuse qualche tempo dopo e il gioco ricomincia. Pam Fields, la mamma della dolce quanto stupida Emily, viene contattata dai Servizi Sociali per, immagino, sospetta violenza domestica. C’è lo zampino di A., ovviamente, perché ormai qualsiasi cosa succede alle nostre bugiardelle o ai loro familiari/amici/fidanzati/animali domestici è opera di A.
L’altra madre presa in considerazione è quella di Toby, morta suicida, o forse no. Spunto che potrebbe essere interessante, ma voi ci credete che la situazione verrà sviluppata e appronfondita, non dico perfettamente, ma almeno in modo decente e sufficientemente esaustivo? Lascio a voi posteri l’ardua sentenza, perché io ormai mi sono lasciata prendere dallo sconforto più totale. Dopotutto la gita di Spencer e Toby, che giocano a fare gli “spy kids”, non ha portato niente di nuovo. Si era già capito che si trattava di un omicidio mascherato da suicidio. Così come sapevamo già che il Radley era un posto losco e inquietante.
PRO:
- Niente animali morti o uccelli parlanti. Già temevo che, al posto della solita sigla “got a secret, can you keep it?” avremmo sentito le ragazze intonare in coro “Nella vecchia fattoria ia ia oh!”
- I Servizi Sociali che contattano la famiglia Fields. Zampino o non zampino di A. sono dell’opinione che la patria potestà dei genitori delle nostre Liars vada messa in discussione. Sembrano tutto, fuorché (bravi) genitori.
CONTRO:
- Spencer che continua ad avere i prosciutti sugli occhi per quanto riguarda la posizione di Melissa e si lascia sfuggire l’occasione per estorcerle qualcosa, qualsiasi cosa!
- L’assenza di Mona.
- Aria di nuovo sul divano.
- Ashley Marin.
- La noia totale e la sensazione di aver buttato nel water 40 minuti del mio tempo.
Mi sembra anche inutile scrivere una conclusione, perché ho già detto abbastanza. Questo terzo episodio è stato addirittura peggio dei precedenti. Questa quarta stagione è iniziata nel peggiore dei modi e non resta che chiedersi come andrà a finire perché lo sappiamo bene, al peggio, purtroppo, non c’è mai fine e PLL ne è la prova.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.