Black Mirror 6×02 – Loch HenryTEMPO DI LETTURA 5 min

/
4
(1)

“For your film. Mum.”

Dopo una quinta stagione che con la tecnologia aveva decisamente fallito, presentando una serie di plot pressoché imbarazzanti, Black Mirror in questa stagione ha fatto un passo indietro cercando di ripartire dalle proprie basi. Alcuni episodi prendono in considerazione l’argomento “tecnologia” solo per vie traverse, ma il tema principale risulta lampante: l’animo umano, le sue pulsioni, le sue voglie ed i suoi desideri più reconditi e abbietti.
In “Loch Henry” la tecnologia si circoscrive ai VHS gelosamente custoditi in casa McCardle e che saranno fondamentali per il plot twist principale dello show. Ma è lo sguardo alla società odierna, così vero e disincantato, a trasmettere allo spettatore la sensazione di guardare un episodio delle primissime stagioni. O almeno questa è la sensazione in apparenza.
L’oggetto dell’episodio sono i documentari crime e il desiderio da parte del pubblico di sbirciare in maniera perversa dalla finestra le storie più scabrose e cariche di sangue che ci sono in circolazione. La produzione di questa tipologia di documentari (diventati poi anche podcast) è cresciuta in maniera esponenziale, come un fiume in piena ha travolto un pubblico sempre più predisposto. Una richiesta onnipresente che rivela una chiara evoluzione della “tv del dolore” che da sempre caratterizza l’uomo e la sua innata ricerca di dolore nella vita altrui per qualsivoglia motivo. Una forma d’intrattenimento “nuova”, ma che riprende strutture già note, che Brooker cerca di analizzare parlando di un vero e proprio “making of” di uno di questi documentari.

LA TV DEL DOLORE… IN STREAMING!


Davis McCardle con la fidanzata Pia Koreshi si ritrovano nella città natale di lui in Scozia, Loch Henry, per girare un documentario su un collezionista di uova. Giungendo notizia della presenza di un serial killer nella piccola cittadina negli anni ’90, Pia convince Davis a cambiare soggetto narrativo per poter dare sia alla madre la possibilità di raccontare la sua verità (il serial killer sarebbe la causa della morte del padre di Davis); sia per permettere a Loch Henry di tornare a vivere sfruttando un po’ di quel turismo tipico delle location dove i serial killer hanno vissuto e “lavorato”. Tutta finzione, questa cosa non accadrebbe nella realtà.
La stranezza della madre di Davis, Janet, viene giustificata dalla narrazione dalla totale solitudine della donna e dall’essersi ritrovata a crescere un figlio senza il supporto di un marito. Uno sguardo che, durante una seconda visione dell’episodio, cambia radicalmente: molti dei dialoghi con cui Janet si intrattiene insieme a Davis o Pia sono agghiaccianti e rivelatori.
Il serial killer, Iain Adair, sarebbe stata una semplice copertura per i due veri macabri aguzzini che rapirono e torturarono svariati turisti negli anni ’90: gli insospettabili coniugi McCardle, lei tranquilla casalinga, lui poliziotto della cittadina.
La percezione che la figura della madre nascondesse qualcosa c’era stata fin dai primi dialoghi, così come la possibilità che Iain Adair (lo “scemo” del paese) fosse soltanto parte di un meccanismo ben più grosso. Di per sé, quindi, le rivelazioni ed i plot twist risultano grossolani, così come alcuni sviluppi narrativi necessari (l’incidente in auto per portare al dialogo Davis e Richard). Da annotare poi che la morte di Pia aggiunge molto poco alla storia preso come fatto in sé. Certo: il fatto che Janet non trovi più la ragazza la spinge a rivelare tutto al figlio e al suicidio, ma si tratta di un’altra forzatura per una storia che aveva ormai una sola strada da percorrere e si è ritrovata a gestire determinate dinamiche forzandone la mano.

15 MINUTI DI FAMA


La situazione si ribalta sull’ignaro Davis, a questo punto: da semplice regista di un documentario sulla sua città natale diventa protagonista (suo malgrado) delle pesanti rivelazioni riguardanti la sua famiglia e delle scabrosi passioni dei propri genitori. Un documentario che approda su Streamberry (la Netflix dell’universo narrativo di Brooker) diventando una vera e propria hit, vincendo anche ai BAFTA (battendo un documentario incentrato su San Junipero).
Un finale dolceamaro in puro stile Black Mirror che profuma di passato: è chiaro che non si sta parlando, qualitativamente, di un “Be Right Back” (per esempio), ma il ritorno al passato ed il clima di tensione molto meglio costruito rispetto a un “Crocodile” è abbastanza netto.
Bisogna fare comunque i conti con una nota di trasformismo all’interno di questa stagione di Black Mirror, meno devota alle tematiche tecnologiche, come si scriveva in apertura di recensione. Ma se si riesce a superare questo (non insormontabile) scoglio, “Loch Henry” può essere tranquillamente vista come un’ottima puntata crime-thriller, con i suoi pregi e i suoi difetti.

EASTER EGG


La puntata, come le altre, cela molti collegamenti alle altre puntate dello show:

  • all’interno della scatola dei ricordi della madre di Stuart ci sono svariati giornali che raccontano della vicenda del serial killer della città e sulla prima pagina di uno di questi giornali c’è un articolo riguardante Michael Smart, personaggio che comparirà in “Demon 79”;
  • sul pc di Davis ci sono diversi sticker che richiamano episodi passati dello show tra cui “The Waldo Moment”, “Arkangel” e “White Bear”;
  • nell’ufficio della casa di produzione a cui Davis e Pia cercano di “vendere” il loro documentario su Loch Henry compare un poster riguardante il film girato sulla storia del Primo Ministro Michael Callow (“The National Anthem”). Sempre Callow viene menzionato tra i vari titoli di giornale (“Whatever Happened to Michael Callow? Now He Runs a Zoo!”) che compaiono nel trailer del nuovo documentario Loch Henry che viene mostrato negli ultimi minuti dell’episodio. Tra gli articoli compare anche un “nuovo cane robot della polizia di Londra” identico ai robot di “Metalhead” e un “turista americano trovato morto nella sede della SaitoGemu (“Playtest”);
  • come si scriveva nei precedenti paragrafi, ai BAFTA “Loch Henry” vince nella categoria dei documentari battendo Euthanasia: Inside Project Junipero.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Sam Miller alla regia: il suo passato in Luther si vede decisamente tanto
  • Ottima interpretazione generale, in particolar modo di Monica Dolan
  • Storia crime-thriller con crescente clima di tensione
  • Il finale dolce amaro
  • Il sacrificio della madre per il figlio (per il “suo film”) ed i macabri sorrisi che rivolge alle fotografie del marito, quasi a voler ricordare i bei tempi che furono
  • Lo sguardo alla società odierna tipica di Black Mirror: la perversa passione per i documentari thriller, specie se si tratta di una storia realmente accaduta
  • Plot twist a volte prevedibili
  • Sviluppi di trama grossolani da un certo punto di vista

 

“Tratto da una storia realmente accaduta”, la frase che aumenta il desiderio di chiunque nel vedere un determinato prodotto. E Charlie Brooker non è da meno.

Quanto ti è piaciuta la puntata?

4

Nessun voto per ora

Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

Precedente

Spin-Off 2×32 – La fine di un’era: i finali di Succession, Ted Lasso, Barry, Flash, Mrs. Maisel | bonus Zerocalcare

Prossima

Black Mirror 6×03 – Beyond The Sea

error: Nice try :) Abbiamo disabilitato il tasto destro e la copiatura per proteggere il frutto del nostro duro lavoro.