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The Midnight Club 1×10 – MidnightTEMPO DI LETTURA 4 min

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The Midnight Club 1x10 recensioneSi conclude The Midnight Club, il nuovo esperimento teen-drama a tinte horror di Mike Flanagan, riuscito, purtroppo, solo a metà. Il finale di stagione, infatti, risulta oltremodo anticlimatico, schiacciando sullo sfondo la componente mystery-horror.
Anche Bly Manor a suo tempo aveva leggermente deluso le aspettative del pubblico, ponendosi più come una storia d’amore che non una storia dell’orrore. In questo caso The Midnight Club è una storia di accettazione e consapevolezza.
Se si volesse fare un paragone azzardato, si potrebbe affermare che The Midnight Club sia un Dead Poets Society con malati terminali (con tutto il rispetto per la bellezza mastodontica del film): un prodotto coming of age, dove alcuni ragazzi parlano, si confrontano, litigano, si sfogano, esorcizzano le proprie paure e prendono coscienza della propria condizione.
Sarebbe tutto stupendo se Mike Flanagan e Leah Fong non avessero introdotto anche una storia esoterica di antichi rituali e sette misteriose. Una storyline sviluppata malissimo, funzionale solo a tenere alta la curiosità del pubblico, ma che si perde in un bicchiere d’acqua. Anzi, un bicchiere di tè.

SHASTA ALIAS JULIA JAYNE


Lo scorso episodio si era concluso con un ottimo plot-twist in cui Shasta (a.k.a. Julia Jayne) aveva metaforicamente pugnalato Ilonka alle spalle, sfruttando la sua amicizia con lei per dare nuova vita al rituale di Regina Ballard.
Un rituale nel quale Shasta credeva ciecamente e che aveva appreso, come si scopre nel flashback ad inizio episodio, direttamente da Regina. La verità dietro la scomparsa di Julia Jayne è presto detta: la ragazza si era recata in visita alla Ballard per conoscere il reale potere di Brightcliffe. Un potere in realtà inesistente, dato l’errore nella diagnosi della malattia di Julia e la sua recidiva in età adulta.
Dopo aver passato dieci episodi a raccogliere un pezzo di puzzle dopo l’altro e aver racimolato briciole di misteri, il pubblico si trova di fronte ad una realtà ancora più cruda e dilaniante: non esiste nessuna forza sovrannaturale a manovrare le fila del racconto, ma è tutto solo suggestione. Che è anche la morale finale della serie, se si vuole essere precisi.
Pur essendoci molte zone grigie, la storia di Mike Flanagan non si vuole focalizzare su un arcano rituale come elisir di lunga vita, ma vuole dare spazio alle paure e speranze di un gruppo di adolescenti con i mesi contati. Non c’è scampo né alla morte, né alla casualità del destino.

L’ULTIMA FASE DEL DOLORE


Nel 1969 la psichiatra svizzera Elizabeth Kübler-Ross ha individuato cinque fasi del dolore: negazione, rabbia, contrattazione, depressione ed, infine, l’accettazione. I protagonisti di The Midnight Club attraversano o hanno attraversato tutte queste cinque fasi, trovandosi, in questo ultimo episodio, nello stadio dell’accettazione.
Gli incontri notturni in biblioteca sono serviti ai ragazzi per darsi supporto morale, per traslare la propria sofferenza e le proprie paure sotto forma di horror stories, mixando una buona dose di creatività con scampoli del proprio passato. Il racconto onirico, dunque, diventa un veicolo simbolico per raggiungere l’ultima fase, quella più agognata, ma anche difficile: accettare la propria condanna a morte e fare pace con il senso di impotenza e l’impossibilità di cambiare le cose.
Il pubblico assiste inerme al dolore di Ilonka nel venire a conoscenza di non essere la prescelta, ma anche nello scoprire come i racconti di Shasta altro non fossero che puro fanatismo e fumo negli occhi. La ragazza, arrivata a Brightcliffe spinta da speranza ed ottimismo, deve invece convivere con una triste e subdola realtà che non può essere modificata.
Alla fine dell’episodio, però, la tristezza e la rabbia lasciano spazio ad una tranquillità dolce-amara, dove tutti i ragazzi rimasti a Brightcliffe decidono di godersi il loro tempo su questa Terra, seppur breve ed effimero.

TANTO POTENZIALE SPRECATO


Se The Midnight Club fosse semplicemente una storia di sofferenza, di catarsi e di accettazione, probabilmente avrebbe sempre raggiunto il massimo dei voti.
Gli episodi sono intensi, ricchi di dialoghi (come lo è stato Midnight Mass), la regia e la fotografia danzano assieme all’unisono ed il giovane cast brilla di luce propria, pur non essendo famoso.
Il problema subentra quando in una trama del genere si è voluto introdurre a forza la componente sovrannaturale. Alla fine dell’ultimo episodio il pubblico capisce che la storyline del rituale è stata funzionale per smantellare una visione sbagliata del destino. Nonostante la tristezza ed il dolore che ne conseguono, distruggere le speranze di Ilonka è servito ai ragazzi per maturare e scendere a patti con la propria condizione.
Non si può dire la stessa cosa della trama riguardante i fantasmi visti da Ilonka e Kevin: un inutile contorno di cui non si capisce il senso e che serve solo da traino per un’ipotetica stagione (come il cliffhanger finale del tatuaggio della dottoressa Stanton).

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Comparto tecnico
  • Il cliff-hanger finale, anche se abbastanza criptico
  • Finale anticlimatico
  • Pessima gestione della componente mystery-horror
  • Tantissime domande e pochissime risposte
  • Il senso dei fantasmi ed il fatto che solo Ilonka e Kevin possano vederli?

 

Un finale troppo anticlimatico e la componente mystery-horror usata solo come specchio per le allodole tarpano le ali alla nuova creatura di Flanagan. Peccato perché il potenziale c’era, così come il comparto tecnico e le ottime performance del giovane cast.
The Midnight Club rimane semplicemente un toccante e crudo spiegone sulla morte e su come fare pace con essa.

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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.

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