Dopo una series premiere sufficiente ma che non ha convinto fino in fondo nessuno, la serie di Guillermo Del Toro dal titolo lunghissimo e dall’acronimo ancora più impronunciabile (GDTCOC) riesce nel difficile intento di risollevare le speranze e le aspettative del pubblico con una puntata che non sembrava promettere bene ma che si è rivelata una piacevole sorpresa.
Premettendo che questa serie che dovrebbe presentare storie brevi scritte dallo stesso Del Toro in realtà ne conta solamente due su otto con la firma del regista, questo “Graveyard Rats” fa parte di quella maggioranza di racconti brevi che non è scritto dal Guillermone nazionale ma arriva direttamente da Henry Kuttner, scrittore prolifico che sarà forse più noto al pubblico per essere uno degli scrittori che ha alimentato il culto ed il mito di Cthulhu e che ha pubblicato questa storia breve sul magazine Weird Tales nel Marzo del 1936.
Alla regia dell’episodio c’è Vincenzo Natali, a quanto pare in pieno spolvero in questo momento visto che è stato anche il regista dei primi due episodi della nuova serie Amazon Prime Video, The Peripheral.
UN PASSO IN AVANTI
La sensazione che “Graveyard Rats” sia un episodio migliore del precedente c’è, forse è merito della storia (un po’ più ansiogena), forse è merito della regia (non malvagia), forse è merito di un approccio generale più votato alla claustrofobia e a quella mancanza di una via d’uscita, piuttosto che a qualcos’altro.
Essendo una storia breve è importante essere chirurgici nelle frasi e nelle scelte, c’è poco tempo per far empatizzare il pubblico con il protagonista e c’è un timer che costringe tutto e tutti a sorvolare su certi dettagli. In tal senso la mancanza di co-protagonisti dell’episodio aiuta in quanto David Hewlett ha tutta l’attenzione su di sé e si ha la possibilità di conoscerlo più a fondo, comprendere le sue difficoltà e, tutto sommato, immedesimarsi in lui. E questo è sicuramente un qualcosa che non si era potuto sperimentare in precedenza.
NON C’È UN LIETO FINE
Se si prova a cercare un collegamento o qualcosa in comune tra questi primi due episodi, la risposta è una sola: il protagonista muore sempre. Non esiste un finale positivo per questo inizio di stagione e sarà interessante constatare se anche i successivi capitoli della serie procederanno su questo filone oppure saranno diversi, per ora sembra che la ripetuta morte del protagonista sia tutto ciò che lega gli episodi.
Scavando un po’ più a fondo, si potrà constatare come in realtà però ci sia anche dell’altro in comune, tipo il sesso del protagonista (maschile) ma anche (e soprattutto) la tematica dell’avidità che trasforma i protagonisti in un riflesso di loro stessi. Era il caso di Nick in “Lot 36” ed è anche il caso di Marron in questo “Graveyard Rats”: la ricerca di soldi, smaniosa e continua soprattutto per una generale necessità di fondo, si trasforma in una condanna nel momento in cui l’avidità supera la mera necessità.
Marron, per esempio, poteva scegliere di accontentarsi di alcuni gioielli e della spada invece che staccare la collana dallo scheletro, avrebbe avuto la possibilità di salvarsi in qualche modo ed invece il “non accontentarsi” si è trasformato in una condanna a morte per mano del “soprannaturale”.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“Graveyard Rats” non sarà di certo un capolavoro ma stranamente, è un secondo episodio che funziona molto meglio del primo. Si respirano un po’ di atmosfere horror ma non ha mai veramente quel DNA da storia dell’orrore che magari si pensava di guardare. E per certi versi è anche meglio così.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.