Arrivati quasi al giro di boa per la serie antologica firmata Guillermo Del Toro, è già tempo di conclusioni. Lo spettatore attento e appassionato avrà ormai capito che l’esperimento audace di creare un involucro, o meglio un cabinet, al cui interno inserire storie, stili, regie e immaginari totalmente diversi tra loro, può risultare disorientate. Stessa cosa, come già detto, fa sì che nella stessa serie convivano un piccolo capolavoro e un flop senza speranza.
“The Viewing”, firmato dal regista greco-canadese Panos Cosmatos (regista di Mandy), si colloca nel mezzo tra un capolavoro e un flop ed è la classica opera che lo spettatore deve vedere più di una volta o digerire con calma, al fine di apprezzare e cogliere tutti i significati più profondi. Non è un prodotto con una matrice puramente horror e non si vedono scene spooky se non negli ultimi quindici minuti: l’ episodio non ha niente a che vedere con gli horror canonici, ma si è capito che di canonico in questa serie non c’è nulla. Cosmatos dimostra uno stile molto personale e traghetta lo spettatore nel suo mondo immaginifico dove il passato, con un occhio strizzato alle atmosfere vintage, e il futuro, si mescolano senza soluzione di continuità. Come sempre intrigante, e avvolta nel mistero, la presentazione di Del Toro, che questa volta tira fuori dal cabinet una misteriosa statuetta con le corna dalle sembianze non terrestri.
L’ARROGANZA DEL MECENATE
Cosa succede quando un ricchissimo uomo d’affari che tratta le persone come pezzi da collezione invita gente a casa sua per un simposio?
È una sera qualunque del 1979 e l’ astrofisica Charlotte, il sensitivo Targ, il compositore Randall e lo scrittore Guy, eccellenze nei loro campi, accettano incuriositi un invito per un incontro e si recano nella stratosferica magione di Lionel Lassater (Peter Weller, Robocop), magnate e sperimentatore di droghe pesanti. Oltre al novello mecenate li attende la Dottoressa Zahra, braccio destro di Lassater e sua personalissima guida nell’uso di sostanze stupefacenti. I due conoscono benissimo i loro ospiti e ne celebrano successi e talenti omaggiandoli con le loro cose preferite. Il quartetto infatti, giunto a casa di Lassater viene fatto accomodare in una stanza dove vengono serviti alcolici e droghe a piacimento e dove si inizia a intavolare un dialogo surreale e ricco di tensione che spazia dalla creatività alla tecnologia: da subito, si intuiscono le personalità dei personaggi presentati, stimolati dalle domande di Lassater. Qual è il vero motivo di questa visita? È chiaro che Lassater voglia qualcosa dai quattro ospiti, qualcosa che va oltre le sue capacità e che oltrepassa le ambizioni umane, in una pretesa piena di arroganza di sfidare il paranormale.
“Cosa accade quando il collezionista diventa collezione? Quando un cercatore di tesori trova qualcuno con una volontà e una fame molto più vorace della sua?”
CLAUSTROFOBIA
“The Viewing” si sviluppa per trentacinque dei suoi cinquanta minuti totali in un solo ambiente, ovvero la stanza dove Lassater ospita per la serata i suoi nuovi quattro oggetti da collezione, Charlotte, Targ, Randall e Guy. L’arredamento della sala fa intendere che il proprietario di casa non ha badato a spese per la sua magione e può permettersi di acquistare e collezionare oggetti e sofisticatezze che nel 1979 sono da considerarsi tecnologicamente all’avanguardia. La stanza è delimitata da porte di metallo automatiche e dalle fessure dei divani fuoriescono dei comandi che Lassater preme qualora voglia riprodurre dei suoni.
Il regista anche attraverso questi dettagli riesce a trasmettere allo spettatore un sentore di distopia, nonostante il racconto sia ambientato nel passato. Lo spazio chiuso e angusto dove si svolge l’azione è un aspetto stilistico da non trascurare. La sensazione di claustrofobia non è solo una condizione fisica ma soprattutto psicologica, infatti i personaggi della storia, compreso Lassater, sono intrappolati nel loro ego e nella loro hubris. Soltanto due tra i quattro ospiti dimostrano invece umiltà e apertura mentale mettendosi in salvo dall’angoscioso spazio chiuso.
LO STILE
Non si può non tenere conto dello stile parlando di questo episodio, che diventa imprescindibile dalla narrazione. La palette di colori vintage e la fotografia volutamente retrò, somigliano alle immagini sature che si ricordano la mattina dopo aver fatto un incubo notturno. L’effetto è senza dubbio studiato a tavolino e riesce con successo a imprimersi nella testa dello spettatore. Cosmatos non ha paura di usare con spregiudicatezza il suo stile, che risulta, non entrando nel merito del gusto personale, inconfondibile. In tal senso, fino ad adesso il settimo episodio è senza dubbio quello in cui la mano del regista è più riconoscibile.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Il racconto di Cosmatos ha una struttura abbastanza semplice: c’è un cattivo, dei personaggi che abboccano alle sue trame malvagie; i migliori di loro sopravvivono i peggiori soccombono; il male vince e si dirama minaccioso in un mondo che silenzioso lo aspetta.
C’è un oggetto misterioso che, però, è l’aspetto centrale dell’episodio, dimostrando che a volte il peccato di avidità, in questo caso avidità di sapere, porta l’essere umano verso la fine inesorabile. Cosmatos confeziona un prodotto partendo dalle più antiche e universali caratteristiche umane, si pensi alla storia di Adamo ed Eva, ma crea un oggetto nuovo dallo stile personale e unico.
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Vivo a Milano, ma sono una romana doc, guardo tante serie tv e film e nel mio tempo libero lavoro, faccio sport e viaggio tanto.
Mi piacciono molto i cani e amo le mezze stagioni, anche se non ci sono più.