Sweet Tooth 2×03 – Chicken Or Egg?TEMPO DI LETTURA 6 min

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Recensione Sweet Tooth 2x03Sweet Tooth è una serie a cui, fin dalla sua primissima messa in onda, piace sfidare le etichette di genere, eludendo qualsivoglia genere di definizione preconfezionata o incapsulamento in categorie compartimentate specifiche. Classificata principalmente come fantasy drama, questa produzione televisiva ha dimostrato nel tempo di riuscire ad andare oltre i confini del singolo genere. La serie certamente segue molti schemi tipici del filone post-apocalittico, ma lo fa mescolando a essi elementi narrativi innovativi e personaggi senza dubbio in grado di rimanere nella mente dello spettatore, riuscendo in questo modo a elevarsi rispetto al prodotto distopico classico preconfezionato a cui purtroppo il pubblico si è abituato negli ultimi anni.
In questo episodio, la sceneggiatura è stata affidata a Oanh Ly, conosciuta principalmente per il suo lavoro di scrittura e montaggio in più di quaranta episodi di Criminal Minds e per aver contribuito anche a diverse puntate di The Chilling Adventures of Sabrina e Black Box; mentre la regia è stata curata da Carol Banker, il cui nome probabilmente non farà suonare alcun campanello, ma che in realtà può vantare collaborazioni molto importanti, in particolare come supervisore alla sceneggiatura in diversi film di Kevin Smith, quali Clerks e Dogma, ma anche in diverse produzioni televisive mainstream come American Horror Story, Glee e X-Files.

ESCHIMESI IMMORTALI


Gillian Washington had a curious mind. She often wondered: ‘How did we get here?’, ‘Where did we come from?’, ‘What came first, the chicken or the egg?’. How far would she go before curiosity got the best of her?

Questo terzo appuntamento stagionale si apre con un flashback che introduce la genetista Gillian Washington di Fort Smith, ponendo un’intrigante domanda: “Quali potrebbero essere i benefici di invecchiare senza malattie?”. È evidente che il Progetto Midnight Sun, del quale è responsabile, avrà un ruolo significativo nelle vicende che seguiranno, tuttavia, per il momento, la narrazione preferisce concentrarsi maggiormente sul presente, indugiando sui dettagli e sullo sviluppo della situazione e focalizzandosi invece sul percorso intrapreso dai vari protagonisti.
Ancora imprigionata, Wendy si trova a faticare nel mantenere il controllo sugli altri bambini, i quali iniziano a provare gelosia nei confronti di Gus, poiché lui può vagare liberamente al di fuori della prigione in cui sono rinchiusi. Tuttavia, Gus ha discusso col Dr. Singh di quanto sta accadendo, fornendo informazioni all’uomo, visibilmente disperato, ed elaborando un piano per arrivare a sintetizzare finalmente una possibile cura. Il tutto, naturalmente, tenendo bene a mente le implicazioni morali delle sue decisioni e delle azioni compiute per tenere in vita la moglie malata.
I due finiscono così a Fort Smith, dove finalmente arriva qualche risposta in merito all’origine degli ibridi e al ruolo della madre di Gus nell’intera vicenda. All’interno del laboratorio di ricerca, si aprono così nuovi orizzonti sulla figura della dottoressa Gertrude Miller, la madre di Gus, alla guida di una squadra di scienziati incaricata di svelare i misteri di un villaggio nell’Artico scoperto da un dottore inglese ad inizio Novecento dove, apparentemente, le malattie sembrerebbero non esistere e, all’interno del quale, i suoi abitanti vivrebbero oltre cent’anni.
Tuttavia, queste rivelazioni, portano con loro anche una minaccia inaspettata: gli ibridi, che fino ad ora erano stati rappresentati solo come innocui bambini, mostrano qui il loro lato più oscuro. In particolare, un ibrido uomo-coccodrillo, Peter, sentitosi minacciato dalla presenza dei Last Men, mostra la sua ferocia addentando senza pietà la gamba di uno di loro.
Questo cambiamento di tono è molto ben integrato all’interno della puntata, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo della violenza, sempre giustificato quando presente ma mai esagerato o forzato nella messa in scena. In generale, l’episodio offre una buona dose di suspense e di colpi di scena, mantenendo lo spettatore sempre incollato allo schermo grazie a una trama che continua a svilupparsi – almeno per il momento – in maniera coerente, e al cui interno i personaggi continuano a crescere ed evolversi in modo molto interessante.

DOOMSDAY


Mentre la trama principale riguardante la quest di Gus al fianco del Dr. Singh si sviluppa, altre sottotrame si snodano all’interno dell’episodio, in particolare focalizzandosi sulle avventure di Becky e della coppia Jepp/Aimee, i quali cercano di tirare avanti in questo mondo post-apocalittico, focalizzandosi sui propri obiettivi nel tentativo di non perdere quell’ultimo briciolo di speranza rimasto nei loro cuori.
Becky, determinata a ritrovare i suoi amici, e in particolare Gus, si ritrova inaspettatamente a entrare a far parte di una carovana di sopravvissuti. Uno dei ragazzi, Jordan, si rivela essere il figlio di un Last Man, ucciso proprio dall’Animal Army che in passato era sotto il controllo della ragazza, e mostra fin da subito il desiderio di seguire le orme del padre.
Questo particolare segmento rappresenta il classico scenario in cui una persona buona finisce col seguire la strada sbagliata per via del contesto distopico che lo circonda, a riprova del fatto che l’essere umano, molte volte, è soltanto il prodotto dell’ambiente in cui vive e delle persone che gli stanno accanto.
Nel frattempo, Aimee e Jepp si dirigono verso Factory Town alla ricerca di alcuni alleati di quest’ultimo, i fratelli Hickey, per poi scoprire che questi sono stati uccisi poco prima da una variante del virus: Doomsday. Interessante l’arrivo di Abbot, in viaggio con il suo esercito per far visita a tutte le città possibili allo scopo di attrarre a sé nuovi adepti, con la promessa di un vaccino in grado di curare la malattia che ha messo il mondo in ginocchio. La dimostrazione dei poteri di questa nuova cura (tra l’altro fasulla) ottenuta attraverso il sacrificio di bambini ibridi, solleva quindi questioni etiche e morali sulle decisioni prese in nome della scienza e della sopravvivenza dell’essere umano a discapito di qualsiasi altra specie diversa dalla sua. Il pubblico viene quindi spinto a considerare i limiti della ricerca medica e le conseguenze delle azioni che vengono intraprese in nome del progresso.
Sweet Tooth riesce a combinare le trame dei suoi personaggi con riflessioni profonde sulla condizione umana, sull’etica scientifica e sulla continua ricerca della speranza in un mondo devastato e proiettato verso la sua fine. Mentre lo spettatore segue le avventure di Gus, Becky, Jepp e colleghi, si trova così immerso in una storia avvincente che lo spinge a esaminare le proprie convinzioni, i propri valori e la responsabilità nei confronti degli altri abitanti del pianeta. Il confine tra bene e male, tra ricerca della cura e sfruttamento dei più vulnerabili, diventa sempre più sfumato e, attraverso gli occhi e le storie dei protagonisti, il pubblico a casa sarà così costretto a confrontarsi con queste complessità e con delle questioni ambientate sì un contesto fantastico, ma molto più vicine alla realtà di quanto si potrebbe pensare.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Contesto post-apocalittico particolare
  • Spazio ai flashback
  • Il discorso di Abbot e il balletto
  • La telefonata finale (classico cliffhanger alla Netflix)
  • Una serie un po’ particolare che potrebbe non piacere a tutti, specialmente al pubblico mainstream

 

Sweet Tooth è una serie televisiva che senza dubbio sa come creare un universo narrativo intrigante e tenere lo spettatore incollato allo schermo. Tuttavia, è importante sottolineare come alcune delle sue peculiarità potrebbero non essere apprezzate da tutti, a seconda del gusto personale. Malgrado questo, la serie merita sicuramente una menzione speciale per la sua capacità di narrare in modo coinvolgente e di bilanciare diversi generi e, benché non ci si trovi di fronte a un capolavoro, la serie presenta una storia avvincente in un mondo post-apocalittico unico nel suo genere e un discreto lavoro di storytelling in grado di intrattenere ed emozionare lo spettatore in virtù della sapiente commistione dei vari generi messi in scena.

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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