Il finale di stagione (omonimo) di The Bear non poteva essere un episodio qualunque ed infatti non lo è in alcun modo.
La puntata, diretta dal creatore e showrunner Christopher Storer ma scritta da Kelly Galuska (nota per essere produttrice e sceneggiatrice di BoJack Horseman e di altri cartoni animati come Archer, Big Mouth ed il nuovo Human Resources) non è facilissima da analizzare perché ha fondamentalmente tre parti e l’ultima, inaspettata, è anche quella più difficile da digerire. Oltre che essere anche il motivo per cui questa recensione arriva così in ritardo rispetto alle altre. Perché chi scrive queste righe ha dovuto lasciar sedimentare alcune emozioni che inizialmente avevano portato ad una recensione ben più negativa del season finale.
D’altronde la valutazione della puntata deve risentire ovviamente dell’intero arco narrativo messo in mostra durante la stagione, con le diverse evoluzioni dei personaggi, la loro crescita, i loro errori e più in generale un certo ottimismo ed una serie di successi che non sono consoni alle sfortune che fanno parte del DNA dei vari character.
Quindi, sotto questo punto di vista, specialmente come finale, serviva un colpo molto forte che rimettesse tutto in discussione e, secondo Christopher Storer, a subirlo doveva essere proprio Carmen “Carmy” Berzatto perchè è l’unico che non si è evoluto.
Carmy: “I failed you guys and this is not gonna happen again.
[…] I wasn’t here. Right? What the fuck was I thinking? Like I was gonna be in a relationship? I’m a fuckin’… I’m a fuckin’ psycho. That’s why. That’s why I’m good at what I do. That’s how I operate. I am the best because I didn’t have any of this fuckin’ bullshit, right? I could, I could focus and I could concentrate and I had a routine and-and I had fuckin’ cell reception and…
I don’t need to provide amusement or enjoyment. I don’t need to receive any amusement or enjoyment. I’m completely fine with that. Because no amount of good is worth how terrible this feels. It’s just a complete waste of fuckin’ time.”
Claire: “I’m really sorry you feel that way, Carm.”
Carmy: “Claire?“
UN FINALE DA ASSAPORARE FREDDO
Quando si fa riferimento alla suddivisione in tre parti della puntata si può notare come le prime due parti siano estremamente dinamiche e ansiolitiche, seguite poi da un rallentamento netto che ammazza il ritmo e rilascia tutta la propria stanchezza. Fondamentalmente due terzi dell’episodio sono equiparabili ad una corsa in cui c’è lo sprint iniziale, una certa sovrabbondanza di adrenalina (i primi 12 minuti di piano sequenza) a cui poi segue una presa di coscienza, un cambio di passo che arriva nel momento in cui il cuore sta pompando troppo (i successivi 10 minuti). E poi c’è ovviamente la fine della corsa e tutta l’analisi che ne consegue, tra errori da evitare, festeggiamenti ed un enorme “col senno di poi” che colpisce praticamente chiunque.
“The Bear” è esattamente diviso così, con le prime due parti che terminano precisamente a metà dell’episodio e la riflessione, che dura 20 lunghissimi minuti, è come un pugno sullo stomaco che mette sotto un’altra prospettiva i vari successi visti in precedenza durante la serata d’apertura del The Bear. Una serata palesemente ricca di imprevisti e difficoltà in cui però tutti i personaggi riescono ad aiutarsi a vicenda, anche cambiando ruoli (vedasi un Richie in stato di grazia che sostituisce Sydney nel suo momento più buio), ad eccezione di Carmy che subisce il contrappasso dovuto ad una serie di scelte sbagliate a cui si aggiunge un tempismo sbagliatissimo (e molto hollywoodiano) ovviamente costruito ad hoc per peggiorare la sua situazione.
I PRIMI 12 MINUTI DI PIANO SEQUENZA
Come già scritto nella recensione di “Review” l’anno scorso, la 1×07 è un capolavoro della televisione che andrebbe mostrato ed analizzato nelle scuole di cinema di tutto il mondo. Ben 18 minuti di piano sequenza su 20 che compongono l’intera puntata, girati solamente quattro volte in totale (e di cui è stato scelto il terzo take): un capolavoro inaspettato che è stato giustamente nominato come Outstanding Directing For A Comedy Series.
Arrivati al season finale, e con questo benchmark pregresso, si deve ammettere che l’assenza di un piano sequenza si era fatta sentire, anche se probabilmente non c’è mai stata l’occasione giusta per proporlo. Finora.
“The Bear” è il momento che tanto si aspettava e, con ben 12 minuti densissimi e coadiuvati da una colonna sonora che è praticamente come un protagonista aggiunto, Christopher Storer sorprende ancora una volta con un bellissimo piano sequenza che getta luce sulle diverse realtà che simultaneamente coesistono all’interno di ogni ristorante, tra cucina e la sala. La soundtrack, come già detto, amplifica il tutto enfatizzando un clima disteso e rilassato tra i tavoli mentre il ticchettio dell’orologio unito agli ordini che continuano ad essere emessi dalla macchina generano un’atmosfera diametralmente opposta.
Non si può diventare un ristorante stellato da un giorno all’altro, c’è del lavoro da fare, dei nuovi ritmi da seguire e, fondamentalmente, c’è bisogno di evolversi e adattarsi ad un nuovo livello ben più complesso. Se questa 2° stagione di The Bear è stata all’insegna di questa necessità di migliorare l’intero team per essere pronti alla nuova sfida e Carmy ha lavorato per supportare tutti in questo processo, è proprio quest’ultimo che non ha compiuto questo processo evolutivo rimanendo indietro.
E la cella frigorifera è il reminder più grosso che si porterà appresso, più tutto quello che è accaduto al suo interno.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Pur non avendo ancora ricevuto un rinnovo ufficiale, è impossibile folle pensare che la qualità sciorinata dalla serie anche in questa stagione (combinata ad una generale lode del pubblico) venga gettata alle ortiche da FX/Hulu/Disney, anche alla luce delle 13 candidature ricevute agli Emmys (che però si riferiscono alla 1° stagione). E questo episodio, così come l’intera stagione, merita il massimo dei voti sia per la qualità confermata dalla recitazione e dal comparto tecnico, sia per la storia e le emozioni fatte provare.
Era molto facile poter disattendere tutte le aspettative costruite nella 1° stagione ed invece è arrivata con somma gioia una riconferma. Bravi tutti.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.