Il 14 maggio è approdato su Amazon Prime Video l’adattamento dell’omonimo romanzo di Colson Whitehead uscito nel 2016 ed in Italia più noto con il titolo La Ferrovia Sotterranea. Dopo Them e Antebellum, Amazon si aggiudica un’altra storia di schiavitù e razzismo. Curata, prodotta e diretta dal regista Barry Jenkins, assurto agli onori della cronaca per aver girato Moonlight, film che gli è valso diverse statuette, inclusa quella per Miglior Film.
“The first and last thing my mama gave me was apologies.“
IL TRIO PERFETTO
Dietro a The Underground Railroad ci sono tre grandi nomi: Colson Whitehead, Barry Jenkins e Amazon.
Colson Whitehead è l’autore dell’omonimo romanzo con il quale si è aggiudicato il primo Pulitzer della sua carriera. A curare l’adattamento è il regista Barry Jenkins che, come già accennato, nel 2017 ha vinto l’Oscar come Miglior Film per Moonlight. Dietro al progetto c’è Amazon Prime Video che si è aggiunta al progetto dopo che Jenkins, già nel 2016, aveva espresso la volontà di lavorare all’adattamento del libro.
In questi 5 anni, oltre alla pandemia che ha trascinato per un anno le riprese, ci sono stati degli ostacoli che hanno portato il regista a rinunciare all’idea. Il motivo principale risiede in alcune critiche di persone che non volevano un altro prodotto televisivo sulla schiavitù, tema – per alcuni – sfruttato a fine d’intrattenimento.
The Underground Railroad, infatti, è una storia su due schiavi neri di una piantagione del Sud che tentano di scappare tramite una ferrovia sotterranea costruita e gestita da neri per aiutare gli schiavi a scappare.
Un misto tra storia e fantasia, difatti non esisteva nessuna ferrovia adibita a questo compito, ma – alla fine del ‘700, quando il Nord America abolì la schiavitù – la Ferrovia Sotterranea era il nome di una fitta rete di collegamenti che aiutavano gli schiavi a scappare dal Sud fino al Nord o, meglio ancora, fino al Canada dove non solo la schiavitù era stata abolita, ma i cacciatori di taglia non avevano giurisdizione.
La Ferrovia non era altro che una struttura omogenea di persone nere o alleati bianchi che offrivano un nascondiglio, delle provviste e le indicazioni per arrivare alla tappa successiva correndo il minor numero di pericoli possibili, fino a raggiungere il confine.
LA PIANTAGIONE
Cora è schiava nella stessa piantagione da quando è nata, rimasta sola dopo che la madre l’ha abbandonata per scappare.
Scappare dalla propria condizione di schiava è quasi impossibile, e la ragazza inoltre è rimasta traumatizzata dalla separazione con la madre che l’ha lasciata nella piantagione, a causa della difficoltà duplicata del fuggire con una bambina piccola.
Scappare non è una passeggiata per molteplici motivi: la piantagione è sorvegliata, ogni abitante bianco che abita vicino è ben felice di unirsi alle ricerche e, come se non fosse abbastanza, era comune chiedere aiuto a cacciatori di taglie che, in cambio di denaro, riportavano dal padrone chi era riuscito ad allontanarsi abbastanza dalla piantagione.
La regia di Jenkins è lineare e pulita, ed opta per il modo più veloce e d’effetto per far capire perché non in molti provavano a scappare e perché Cora e Caesar decidono che è arrivato il momento.
Quando Cora è ancora indecisa se accettare o meno l’offerta di Caesar, Big John è stato appena catturato dal cacciatore di taglie che lo riporta, rinchiuso in una gabbia, da Terrance.
La punizione di John diventa un teatrino per i bianchi mentre banchettano e un monito per gli altri schiavi. Jenkins decide di mostrare tutto, nella maniera più cruda possibile, quali fossero i trattamenti riservati ai neri.
Nella scena più d’impatto (oltre a quella dello stupro di Caesar e Mabel, costretti a far sesso per dar vita ad altri schiavi), John viene frustato e gli viene dato fuoco quando è ancora vivo e cosciente.
GOOD LUCK
È dopo la tortura di John – avvenimento crudo, ma necessario – che i due protagonisti assieme a Lovey tentano la fuga.
Il minutaggio di questo primo capitolo è bilanciato nel modo giusto, non si trascina in altre violenze che avrebbero potuto appesantire la narrazione.
Gli ultimi minuti son tutti dedicati all’arrivo alla ferrovia. La bravura di Thuso Mbedu (che interpreta Cora) è innegabile già dalle prime riprese a lei dedicate, ma nell’ultima scena mentre esamina i binari da il meglio di se, in una scena delicata – che potrebbe sembrare innocua – ma estremamente potente.
Cora non ha mai lasciato la piantagione, tutto quel che conosce è legato solamente ad essa. Cora non ha mai visto un treno né una stazione.
UN OTTIMO PILOT
Tirando le somme finali, “Chapter One: Georgia” è un ottimo pilot. Non è difficile immaginare che il lavoro che ci sia dietro è frutto di anni di riflessione sull’opera originaria di Withehead che, per il momento, non delude le aspettative anche dei sostenitori della fedeltà dell’adattamento a qualsiasi costo.
Jenkins alla regia si conferma essere un nome da tenere d’occhio grazie al suo stile asciutto quando serve, ma che si prende anche i suoi momenti per far apprezzare ogni aspetto tecnico della puntata. Dall’ambientazione – terribile, ma estremamente curata – alla fotografia che passa dai toni freddi e caldi a seconda dell’occasione.
L’impatto visivo notevole è accompagnato da una colonna sonora e da un comparto sonoro di tutto rispetto.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Il pilot di The Underground Railroad si conferma l’inizio di un’ottima serie.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.