A poco più di un anno di distanza dal suo esordio ufficiale, torna la serie spin-off di Vikings ed è un ritorno in pompa magna dato che, appena tre giorni dopo il rilascio di questa seconda stagione, Vikings: Valhalla è già schizzata al secondo posto nella Top 10 delle serie più viste su Netflix (o, almeno, in quella italiana).
Otto nuovi episodi che compongono il secondo blocco di un ordine di 24 puntate (per ora). La serie di Jeb Stuart, infatti, sin dal suo annuncio era stata preventivata per un totale di 24 episodi divisi ufficialmente in tre stagioni con i rinnovi arrivati lo scorso marzo per un secondo e terzo ciclo.
Un premessa, questa, fondamentale per approcciarsi alla stagione corrente dato che, con una terza già in cantiere, l’aria di “incompiuto” potrebbe essere dietro l’angolo, con i primi due episodi che si sono presentati con una calma fin troppo anacronistica per una serie stile Vikings.
DESTINI AL BIVIO
Con la season premiere intitolata “The Web Of Fate” era logico aspettarsi una ragnatela di elementi confezionati per segnare la strada dei personaggi. Certo, a fine episodio il trio protagonista si dirige ognuno verso il proprio destino ma non si può fare a meno di constatare una costruzione un po’ povera di tali dinamiche. Il tutto pur apprezzando di gran lunga la rapidità con cui le strade di Harald, Leif e Freydis si sono divise senza perdersi in inutili lungaggini. Soprattutto, risulta ben gestito l’addio tra Harald e Freydis che, senza lasciare spazio al melodramma, accettano la separazione ognuno in favore di un destino più grande da rincorrere.
Ma se il trio è apparso un po’ in secondo piano, il primo episodio ha sicuramente tracciato in modo più netto la ragnatela politica che contraddistinguerà la stagione.
A Kattegat si assiste all’ennesimo ribaltamento di fronte con Olaf che si ritrova tutore del nuovo re. Un intreccio che, per quanto semplicistico a livello narrativo, funziona a dovere per muovere velocemente i fili della storia. É innegabile, infatti, che un personaggio centrale come Olag non potesse essere relegato al ruolo di prigioniero, tanto meno che mantenere un villain del suo calibro a Kattegat riscuote molto più interesse rispetto al personaggio di Forkbeard, character potente e carismatico ma meno adatto a quegli sporchi giochetti tipici di Olaf, così come la taglia messa su Harald ha dimostrato.
Intanto con l’assenza di re Canute, Londra diventa il campo perfetto per i giochi di potere di Godwin, agevolato anche da una Emma un po’ sottotono che si spera riprenderà presto in mano le redini degli intrighi di corte.
WELCOME TO CAMELOT JOMSBORG
Dopo una partenza come detto un po’ in sordina per il trio protagonista, “Towers Of Faith” si concentra maggiormente su Harald, Leif e Freydis mentre mantengono un certo stallo le trame di Londra e Kattegat, sempre impegnate in schemi politici per ora ancora in fase di progettazione.
Tre personaggi che vanno a formare due filoni narrativi differenti ottenendo, almeno per ora, risultati opposti sia rispetto la scorsa stagione che alle aspettative.
L’accoppiata Harald – Leif era quella che lo scorso anno aveva funzionato maggiormente, dando vita ad un duo capace di mettere in scena sia momenti esaltanti sul campo di battaglia, sia momenti più introspettivi. Questo secondo episodio, invece, presenta due personaggi ovviamente differenti rispetto al passato ma non in senso prettamente positivo. Harald si ritrova troppo intestardito nel voler raggiungere il suo scopo tanto da perdere qualsiasi appiglio razionale; Leif sembra scivolare invece verso una sorta di depressione che non può di certo far bene all’intero assetto narrativo: l’uso di droghe per sfuggire alla realtà in questo episodio rimanda pericolosamente alle stesse dinamiche che avevano portato Ragnar sulla via delle allucinazioni prima e dello sfascio poi. Con la storyline di Costantinopoli all’orizzonte si spera che questi due character possano ristabilire un buon equilibrio e riacquistare la verve perduta.
Ma se la trama con forse più aspettative si è rivelata più debole, al contrario quella apparentemente meno interessante (seguendo la logica di quanto visto nella scorsa stagione) si è presentata in maniera molto più intrigante.
Merito di questo salto di qualità va dato sicuramente alla nuova “spalla” a livello scenico di Freydis. Bradley James che per anni ha interpretato King Arthur nella serie Merlin, cambia schieramento e passa a quello vichingo vestendo i panni di Lord Harekr. Un personaggio controverso che non si stenta a credere potrebbe nascondere molto più che semplici buone intenzioni nel suo villaggio di Jomsborg. Elemento che fa sicuramente ben sperare per una storyline più dinamica e intrigante per Freydis.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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La seconda stagione di Vikings: Valhalla riparte con un approccio pacato misurando con attenzione fatti e personaggi. Un inizio accettabile per rientrare nel mood vichingo ma che nelle prossime puntate deve riacquistarne anche il carattere.
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.