Al secondo episodio delle seconda parte della quinta e ultima stagione parte la guerra tra i fratelli (e sorella) Dutton, dove i “buoni” decidono di vendicare la morte del patriarca John Dutton, il grande assente che aleggia comunque in ogni secondo di questi episodi, arrivando anche nel lontano Texas. Non potrà che finire in una strage, ma è realmente questo il centro della narrazione della serie?
LA SCELTA DI SHERIDAN
Lo shock di dover rinunciare alla presenza di Kevin Costner per questi ultimi episodi poteva distruggere completamente la serie.
In parte questo è sicuramente successo, come si diceva nello scorso episodio. La mancanza di John è profonda e tutti, incluso lo spettatore, spera che da un momento all’altro compaia, anche solo come fantasma, con magari qualche frase d’effetto, utile a trafiggere le anime in pena di tutti gli altri personaggi.
Perché questo sono in realtà ed è forse questa la scelta più sensata che Sheridan poteva fare: concentrare l’attenzione non tanto sulla trama (che ha un andamento inevitabile e tragico soprattutto per Beth e Jamie) quanto riflettere su un mondo senza John e quello che rappresenta.
In questo situazione di emergenza non programmata dall’inizio (l’addio di Kevin Costner), Sheridan decide di soffermarsi tanto su cosa rappresenti essere un cowboy nel 2024, in mondo che va da tutt’altra parte.
TRA 20 ANNI NON CI SARA’ TUTTO QUESTO
Ritirarsi in Texas sarà la soluzione? Se si guarda a Sheridan, che ha comprato realmente il ranch 6666, sembra la soluzione migliore, se non l’unica. Il mondo non è più adatto ai cowboy. Nessuno li apprezza tranne nel Texas dove anche i poliziotti ringraziano chi cura le mandrie infinite di animali al pascolo.
Beth è la prima che vede questa soluzione. Quella giusta da fare a Rip e alla loro storia. Rip lo intuisce ma non vuole verbalizzarlo, perché gli sembrerebbe essere un tradimento verso John e verso se stesso. Colui che non è mai uscito dal Montana, come tanti mandriani come lui.
I campi temporanei che seguono i pascoli, pieni di pericoli inaspettati (serpenti dove normalmente non si pensa di trovarli) che sembrano essere ostili ma solo in superfici. Sotto, tutto è giusto e perfetto per chi vuole essere quello che è.
Il dialogo di Rip con Piper (alzi la mano chi non è stato d’accordo con lo stupore di Beth nel vederla comparire in casa Dutton?) spiega cosa vuol dire tutto questo. La tristezza di Piper che da donna di questo mondo moderno riconosce il valore di quella vita così fuori tempo è tale che mostra la vera poetica di Sheridan: tutto ciò che si allontana dall’essenza della natura profonda, umana e non, non ha senso e va lasciato a chi vi ci si vuole perdere.
Quindi forse lasciare tutto quello che è diventato un peso (il ranch che da il titolo alla serie) e ricominciare con le cose che contano non è una cosa da codardi. E’ solo un male necessario per andare veramente avanti.
UN EQUILIBRIO INSTABILE
Lasciando perdere il sadismo che Beth mette nell0 schiaffeggiare il fratello (ridotto troppo ad una macchietta dalla storia rispetto a cosa poteva rappresentare nell’economia della serie ma utile al fan-service “malato” della serie), l’episodio presenta un minutaggio assai anticonvenzionale. Per tanti minuti vengono seguite le vicende quasi banali dei mandriani. Nelle ultime stagioni erano solo parentesi senza senso e procuravano solo fastidio. Stavolta quella sensazione viene mitigata (non tolta completamente, va detto) dal nuovo senso che gli viene attribuito e difficile non provare quel coinvolgimento nostalgico che è assolutamente voluto dallo sceneggiatore.
Pertanto l’episodio cerca di rimanere in equilibrio e miracolosamente ci riesce perché da un lato da al pubblico ciò che vuole (il sangue di Jamie e la coppia Beth-Rip), dall’altro porta avanti un discorso importante che sta a cuore a Sheridan.
Le criticità rimangono nelle confusione (residua) tra i piani temporali scelti: il pre e il post morte di John Dutton. A questi si aggiunge una certa svogliatezza nelle scelte narrative sul come portare i personaggi alla resa dei conti.
Purtroppo nonostante un bel dialogo col figlio, l’utilità del personaggio di Kayce rimane sempre in discussione. Un personaggio che non mancherebbe sicuramente a nessuno nell’annunciato spin-off della serie.
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Un bell’episodio dove si respira un senso profondo che forse si era perso un po’ tra i mille intrighi politici delle ultime stagioni. Fa ben sperare per il finale.
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.