Tre episodi dalla fine di Yellowstone. Dove tutte le trame dovrebbero convergere verso un finale ma l’impressione è che di quel finale interessi il giusto a Sheridan poiché vorrebbe parlare di altro.
SUFFERING’S THE JOB
La morte di questo episodio (Colby) colpisce nonostante sia stata creata ad arte per il momento forse più bello dell’episodio: Teeter che rivela al pubblico il ritratto forse più vero del cowboy (moderno e non solo), quello della continuo stato di sofferenza nella vita.
Non è un caso che praticamente tutti i personaggi di Yellowstone vivano le loro esistenze con uno strato di sofferenza in sottofondo, che emerge sempre con forza e crudeltà. Le poche gioie che vivono sono sempre effimere e spesso “alterate” da atteggiamenti sempre al limite del tollerabile.
La famiglia Dutton, comprendendo tutto quello che vive nella tenuta di Yellowstone, è intrinsecamente disfunzionale. Le loro vite sono al limite del verosimile se si guardano solo le azioni che compiono (spesso riprovevoli), non tanto dissimili da quelli compiute da personaggi negativi. Quello che muove verso di loro una certa empatia è proprio questa tremenda sofferenza. Inevitabile. Sotto questa luce la morte di John (e in questo episodio di Colby) va vista come il vaso di Pandora dello stato reale del loro essere: alla deriva. Con la sua presenza, John ritardava soltanto quel momento: il crollo di quel mondo proiettando i personaggi verso un futuro diverso, forse più in linea per risolvere quella sofferenza.
LA VENDETTA A COSA SERVE
È evidente che tutti gli spettatori aspettano con bramosia il momento in cui Beth finirà Jamie vendicando suo padre e l’intera maledizione che incombe sulla sua famiglia. Peccato che quell’atto è già percepibile come inutile dalla stessa Beth che in questo episodio si scopre psicologa della sua famiglia. A supporto di Rip e a consolare Carter. Sognando una famiglia vera con loro due nonostante il suo scopo sia annientare Jamie e quello che rappresenta per lei.
Tutti i personaggi non sanno cosa accadrà e continuano a chiederselo lungo tutto l’episodio. La stessa cosa accade allo spettatore proprio perché quella vendetta di per sé non calmerebbe quel senso di smarrimento che rimarrà dopo. Ovviamente la sete di sangue, seminata lungo tutte le cinque stagioni, deve essere ripagata e il pubblico la vuole comunque. Bisognerà vedere cosa Sheridan ha deciso di fare con Beth, Kayce, Jamie e Rip. Finirà male…di sicuro. Probabilmente per tutti.
E QUINDI…
…perché un voto così basso per quest’episodio? Purtroppo il tutto, che potenzialmente sarebbe anche interessante (una trama già scritta che va avanti piena di tensione ma con un focus emotivo deviato verso tutt’altro), viene gestito con strani tempi narrativi, in un montaggio che non si capisce se sia voluto e vittima della riscrittura fatta dopo le dispute con Costner. Troppo staccate le due cose, anche in termini di intensità. I momenti dove i personaggi sono fermi e riflettono sono quelli che funzionano meglio mentre è la catastrofe narrativa quando si muovono. Al di là della dinamica dell’incidente che porta alla morte di Colby (a tratti un po’ forzata), se si guardano anche le scene con Jamie (riuscire ad eliminare i documenti compromettenti con la polizia che ti minaccia in casa) o all’immotivata dimostrazione di forza di Kayce (che scova un sicario come se fosse un dilettante), usando espedienti “nobili” : una modalità indiana di dimostrare di essere forte senza l’uso della violenza (ma puntando una pistola in faccia ad una bambina…). La “counting coup” appunto. Come si diceva, va bene prendersi delle licenze poetiche ma questa gestione della trama principale risulta forzata e anche stanca in termini creativi. Non basta nobilitarsi ricorrendo alla saggezza indiana.
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Un episodio che regala molti bei momenti ma legati un po’ senza una chiara direzione, dimostrando l’incostanza di Sheridan quando le cose si complicano.
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.