La penultima puntata, “Hero“, inizia nelle segrete stanze della dirigenza della Formula 1. Senna, però, è hero, eroe, non tanto per come fa valere il suo punto di vista davanti al presidente Jean-Marie Balestre. Tanto meno per come vince il mondiale buttando brutalmente fuori dalla pista il suo rivale Prost, “vendicandosi” dell’anno precedente. Quello è un tipico caso di due pasticci che non fanno una cosa giusta. Senna è eroe per migliaia di ragazzini, soprattutto brasiliani.
In effetti, si sta parlando di una figura diventata praticamente oggetto di culto, come Maradona a Napoli. Un aspetto del fenomeno è anche il fumetto Senninha, a cui si riferisce una maglietta indossata da Gabriel Leone nella serie. A proposito, si diceva che il protagonista dello show fosse “più vero del vero“: di certo sembra portatore di un’aura di gentilezza e umana simpatia non del tutto corrispondente all’originale. Non è solo questione di essere in uno show voluto dalla famiglia di Ayrton, che ha collaborato pienamente, ma che comunque non guasta per nulla.
PROBLEMI DI BUDGET (?)
Dopo aver conquistato due volte il titolo mondiale, al campione brasiliano resta il cruccio di non aver mai vinto un Gran Premio sul circuito di casa. Rimedia nel 1991 e qui, a parere di chi scrive, la serie prende una gran toppa. Quando c’è l’esultanza del vincitore sul podio, l’inquadratura si concentra quasi solo su di lui, in primo piano. Certo, occorre sottolineare come fosse felicissimo, ma molto provato a livello fisico e nervoso, anche perché aveva avuto un problema al cambio.
Si perde però l’opportunità di mostrare l’esultanza del pubblico. Chi ha visto, per esempio, i festeggiamenti dopo la vittoria di Schumacher a Monza nel 2000, capirà cosa si intende. Quei festeggiamenti fecero dire a Lucio Dalla: “Il gelido tedesco è diventato un meridionale“. La serie Netflix cerca di rimediare mostrando, con filmati d’epoca, l’esultanza dei tifosi quando Senna vinse il Gran Premio del Brasile per la seconda volta. Non è proprio la stessa cosa. Ha un retrogusto di problemi di budget. E sì che, alla fine dei titoli di coda, di infinita lunghezza, c’è pure un ringraziamento per le 14.446 comparse utilizzate durante le riprese.
LA SIGNORA CON LA FALCE
Quella che, come scrissero i giornali dell’epoca, girava a Imola in occasione del Gran Premio del 1994. Il senso di predestinazione di cui già si parlava in una precedente recensione, qui si tinge dei suoi toni più cupi. Prima c’è l’incidente, per fortuna non grave, di Rubens Barrichello. Poi c’è quello, stavolta mortale, di Roland Ratzenberger. Infine, lo schianto in cui Ayrton perde la vita.
Va dato atto comunque alla sceneggiatura di una certa coerenza e compattezza stilistica. In tutta la narrazione, infatti, hanno fatto capolino qua e là momenti che suonano subito come presagi infausti per chi conosce la storia. Due esempi: quando Xuxa bacia Ayrton a Capodanno, non lo bacia per il 1994. Inoltre, quando Senna, intervistato, parla di sentirsi favorito dal Cielo, Prost borbotta qualcosa di sarcastico sul Prescelto di Nostro Signore, che per questo si può permettere di infrangere le regole e i limiti.
UN DIGNITOSO PRODOTTO MEDIO
Insomma, non viene tutto spiegato semplicemente con i problemi tecnici e meccanici delle auto, complicati dai nuovi regolamenti di Formula 1 sull’uso dell’elettronica. Così come non viene spiegato bene lo stato di “trance agonistica” in cui Senna entra durante certe gare. Forse anche qui si sente l’influsso della famiglia di Ayrton, che certamente non riesce a spiegarsi con troppa semplicità la perdita di un famigliare, in giovane età. Lenisce il dolore, ma non lo risolve, il coltivarne la memoria anche attraverso una fondazione per far studiare i bambini e dare loro un’opportunità.
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Gabriel Leone si dimostra una scelta azzeccata, cosi come Matt Mella nel ruolo di Prost, anche per la somiglianza fisica. Pâmela Tomé somiglia sia alla vera Xuxa, sia, in modo inquietante, a Carol Alt. L’attrice e top model statunitense confessò una relazione con Senna dopo la morte del campione brasiliano. Altre scelte di casting, invece, sono state fatte senza troppo badare alla somiglianza, ma per fortuna in ruoli molto minori. Una su tutti, l’interprete del principe Ranieri di Monaco. La colonna sonora fa un buon lavoro, grazie anche a successoni d’epoca.
Ci sono parecchie sbavature nella coordinazione e conclusione delle varie sotto trame. Non scatta brutale l’effetto nostalgia, ma questo non è un male assoluto. Delle storie d’amore si capisce il meno possibile, sembra quasi una decisione programmatica. Anche le vittorie sportive non vanno molto oltre l’elenco compilatorio. Completata la visione, insomma la miniserie si rivela un dignitoso prodotto medio.
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Casalingoide piemontarda di mezza età, abita da sempre in campagna, ma non fatevi ingannare dai suoi modi stile Nonna Papera. Per lei recensire è come coltivare un orticello di prodotti bio (perché ci mette dentro tutto; le lezioni di inglese, greco e latino al liceo, i viaggi in giro per il mondo, i cartoni animati anni '70 - '80, l'oratorio, la fantascienza, anni di esperienza coi giornali locali, il suo spietato amore per James Spader ...) con finalità nutraceutica, perché guardare film e serie tv è cosa da fare con la stessa cura con cui si sceglie cosa mangiare (ad esempio, deve evitare di eccedere col prodotto italiano a cui è leggermente intollerante).