The ABC Murders 1×03 − Episode 3TEMPO DI LETTURA 5 min

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Dopo il palpabile calo di entusiasmo che in sole due puntate aveva contagiato casa RecenSerie, arrivati all’ultimo, terzo capitolo di questa miniserie, abbiamo dovuto trattenerci dallo scrivere una formale lettera di reclamo alla scempianeggiatrice Sarah Phelps. Non sarà stata colpa sua se sono stati tolti i baffi a Poirot, ma non è per questo che la povera Agatha Christie si starà rivoltando nella tomba.
Nello scorso episodio, i falsi indizi e false piste che giostravano inutilmente i personaggi (corredati da una regia noiosa e per niente accattivante) e i ripetuti, anzi, l’esasperatamente ripetuto flashback, di Poirot sembravano aver già dato abbastanza. Ci si era preparati quindi a ricredersi, arrivando al succo della storia nell’ultimo capitolo.
Il povero Mr. Cust era stato finalmente dotato della pazzia e della sofferenza da serial killer, un’aiutante misteriosa e sadica era comparsa a sorpresa, Poirot aveva scoperto che la scia di sangue seguiva la sua storia personale dal giorno in cui era arrivato in Inghilterra, pompando ulteriormente l’inspiegabilmente ostilità dell’ispettore Crome nel confronti del suo passato… rimaneva quindi solamente da rispondere a due domande, più una: “chi?”,“perché?”, e soprattutto, “che faceva Poirot quando viveva in Belgio?”. Tutto sarebbe stato rivelato con uno svisceramento di collegamenti da nostalgici del giallo all’inglese, ne eravamo certi. E invece… l’appetito omicida del serial killer era tanto debole quanto la voglia della sceneggiatrice di riscrivere questa storia, e il passato di Poirot era tanto inutile quanto l’autoflagellazione del signor Cust.
Non è nostra intenzione scrivere un articolo alla “10 differenze tra The ABC Murders e il romanzo di Aghata Christie” (ma se volete blastare consapevolmente vi consigliamo di leggere questo), oltretutto siamo abituati alle rivisitazioni e il nostro umile compito è quello di valorizzare il valorizzabile, ma qui ci hanno messo seriamente a dura prova.
Si può cominciare dal più plateale fallimento della serie: un prete? Sì, un p-r-e-t-e. Un prete che giustamente sfrutta il suo intuito per diventare un infallibile investigatore, dotato anche di competenze scientifiche. Praticamente un upgrade di Don Matteo, che sacrifica i propri voti per un peccato che non ha commesso (tentare di mettere in salvo dei civili), e che riscopre la propria vanità tingendosi barba e capelli di nero per non ostentare l’avanzo dell’età. Ah. Qualcuno mandi un telegramma a Crome per salvarlo dalla gastrite. Ciliegina sulla torta, tutto ciò non ha nulla a che fare con gli omicidi.
A questo punto, si può andare a pescare il salvabile nel valore del thriller. Ah, no. Dopo tre ore di visione, personaggi contorti e cambi di scena ingannevoli, si scopre che la rivisitazione del romanzo stava solo nell’appesantimento gratuito. Un uomo geloso del patrimonio del fratello, monta una messa in scena per ucciderlo e accaparrarsi la sua eredità, pianificando una serie di omicidi per far ricadere la colpa su un terzo innocente. La trama, tra le più classiche della narrativa poliziesca, andava benissimo così e com’era. Sarebbe stato più saggio valorizzarne la sua esemplarità storico-letteraria con delle scelte stilistiche accattivanti e senza stravolgimenti forzati (si veda, ad esempio, il successo degli ultimi Sherlock Holmes nei film di Guy Ritchie e nella serie tv di Steven Moffat e Mark Gattis).
Qui, invece, Sara Phelps ci regala almeno tre parentesi ulteriori rispetto al contenuto del romanzo, che si rivelano essere dei banali esercizi di sceneggiatura e non apportano, peraltro, alcuna utilità ai fini dello scioglimento della trama. Anzitutto, il già citato antefatto di Hercule Poirot, appesantito da una complessità metafisica del tutto estranea al personaggio originale. A seguire, il tormento del Sig. Cust e la sua storia d’amore con Lily, che non è chiaro se servissero più ad alimentare la falsa pista del killer donna, a empatizzare con i presunti assassini o a fornire loro un alibi per gli omicidi (tutti obiettivi mancati). Ed infine, l’ossessione di Franklin Clarke per il detective, senz’altro la cosa più forzata nella serie dopo la vocazione ecclesiastica di Poirot.
Mentre, infatti, il movente di Franklin risulta credibile, la spiegazione che la sua mania omicida abbia avuto origine nelle “cene con delitto” appare spropositata e inverosimile agli occhi del telespettatore. Ciò a causa della pessima scelta di relegare l’unico indizio chiave, la festa di compleanno di Hermione, ad un solo breve flashback a metà dell’episodio precedente, senza per giunta che il killer ne fosse parte rilevante. Sarebbe stato indubbiamente più interessante se gli autori avessero creato una base più solida per la mente del serial killer, ad esempio concedendo altri flashback del narcisismo di Poirot che (da buon uomo di chiesa) intrattiene gli ospiti lasciandosi sfuggire le regole del delitto perfetto.
In conclusione, questa serie aveva un grosso potenziale non solo per il cast ma anche perché l’attenzione al momento storico con le sue atmosfere xenofobe (che abbiamo apprezzato e approfondito nelle recensioni degli episodi precedenti) ben si prestava alla modernizzazione del romanzo e alla rivisitazione del personaggio di Poirot. Tuttavia, con un sospiro di rammarico, ci si trova a dover ringraziare la BBC per avere scelto di limitare la durata della serie a tre soli episodi. Che dire, per sole 250 pagine, a parità di tempo, leggete il libro!

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Attenzione al periodo storico
  • Padre Hercule Poirot
  • Serial killer assolutamente non credibile
  • Inutili le storie dei personaggi ai fini della trama

 

The ABC Murders è una serie che inganna e, nella sua breve durata, riesce a sprecare un ottimo potenziale nella maniera peggiore che, con una distribuzione BBC ed un cast hollywoodiano, si possa fare.

 

Episode Two – 1×02 ND milioni – ND rating
Episode Three – 1×03 ND milioni – ND rating

 

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