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Guardare The Blacklist è come andare in vacanza tutte le settimane in un posto diverso e, di conseguenza, visitare continuamente mete diverse. Le prime puntate si potrebbero paragonare alle più belle città del mondo (in base ai vari gusti), questa settima puntata invece ad una meta già visitata ed inspiegabilmente dimenticata. Si può dire senza remore che “Frederick Barnes” non ha quell’originalità presente invece nelle puntate precedenti, poiché questo nuovo caso da risolvere non ha nulla di adrenalinico e geniale. Uno scienziato che, per trovare una cura che possa salvare suo figlio, conduce esperimenti sulla massa: una buona idea che non viene raccontata e sfruttata al meglio. In più, inevitabilmente, si è costretti a fare il paragone con un’altra serie tv molto famosa … Fringe. Ci sono state alcune scene che erano molto simili a quest’altro telefilm, come quella del treno e della morte per soffocamento di tutti i passeggeri, il richiamo è più che evidente e non molto gradito.
Molto più interessante, invece, è stato vedere l’evoluzione dei personaggi dopo “Gina Zanetakos“. Troviamo i due Keen che cercano di superare l’accusa dell’una nei confronti dell’altro, l’interrogatorio dell’FBI e una probabile doppia / tripla / quadrupla identità di Tom. Il giovane maritino non è quel che sembra, ormai è chiaro a tutti, ma allora chi è? Nulla ci è dato sapere! Poi c’è Red che non vuole perdere Liz e in qualche modo la costringe a lavorare con per lui al caso. Infatti, nonostante l’addio nella precedente puntata, qui c’è la Keen che pronuncia le fatidiche parole che diventano musica per un megalomane come Red: “I need your help”. Tutti nell’udir queste parole si atteggerebbero da pavone in calore. La collaborazione ha di nuovo inizio, accompagnata dal cattivo umore della nostra profiler. Non a caso, alla fine, Red le chiederà di dirgli di andare via dato che la sua presenza sembra provocare così tanto disturbo: parole però che non verranno pronunciate. Il legame è instaurato e, da quel che sembra, è diventato anche saldo.
E poi c’è la casa. La casa è un emblema caratterizzato da diverse sfaccettature: può essere un semplice edificio, un qualcosa a cui ambire, una famiglia, luogo saturo di ricordi. Quante volte abbiamo detto “Mi sento come se fossi a casa mia”. La casa è sinonimo di sicurezza in quanto ti da un’identità, è il posto in cui ci si può rifugiare alla fine di una giornata più o meno frenetica. Tutte queste sono, probabilmente, le motivazioni che hanno spinto Red a distruggere quella casa appena comprata. La scena di lui vicino la finestra che ricorda una bimba giocare nel giardino retrostante è … non ci sono parole per esprimere la recitazione di Spader. Il suo viso così comunicativo, lo sguardo, quel sorriso appena accennato ricco di malinconia. Più volte è stata sottolineata la sua bravura, ma che importa ripetersi quando siamo a dei livelli così alti di recitazione che ormai le parole non possono più aiutare nelle spiegazioni. Quindi mi sottometto molto volentieri a quelle immagini molto più esplicative di qualsiasi mia descrizione.
L’esplosione della sua vecchia-nuova casa si accompagna a queste sue parole: “Ho passato ogni giorno cercando di dimenticarmi cos’è successo qui. Forse questo aiuterà”. Parole forti che trasudano dolore. L’unico neo rimane (e rimarrà fino a quando non si saprà la verità) quello di dover scoprire che Red sia il padre di Liz. Nonostante il tutto venga raccontato con maestria, questa possibile rivelazione sarebbe difficile da mandar giù perché troppo (assurdamente) scontata.
PRO:
- I personaggi e le loro reazioni dopo “Gina Zanetakos“
- L’esplosione della casa
- La scena di Red e dei suoi ricordi
CONTRO:
- Caso banale e per nulla adrenalinico
- Liz e il suo colpevolizzare Red
Nonostante quanto detto nei contro, la settima puntata ha totalizzato 10.28 milioni di telespettatori. Un grande pubblico per quello che ancora rimane un grande telefilm.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.