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The Good Fight 1×03 – The Schtup ListTEMPO DI LETTURA 4 min

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Dopo l’ottima season premiére, composta da un doppio episodio e andata in onda domenica 19 febbraio, i coniugi King lasciano respirare la loro nuova creatura, che può finalmente camminare con le proprie gambe.
“Inauguration” e “First Week” erano stati concepiti anche per svolgere una funzione introduttiva, sia per quanto riguarda i personaggi, che per quanto riguarda la trama, ed erano ancora legati, in maniera più o meno blanda, alla serie madre. Con questa nuova puntata, invece, i rimandi a The Good Wife si fanno sempre più radi, fino a diventare quasi inesistenti, se non per la presenza di un giudice già visto in passato e per alcuni parallelismi nei rapporti tra i characters principali. In questo modo Michelle e Robert King vogliono dimostrarci che The Good Fight può vivere di luce propria e, nonostante possa ricalcare la stessa struttura dell’opera precedente (lo scandalo che farà da fil rouge per la trama orizzontale), riesce a trovare la propria dimensione , dando il via alla sua corsa per diventare un altro legal drama di successo.
In “The Schtup List” il filone del caso legale viene affidato alla coppia Diane-Lucca che, sebbene gli screzi iniziali tra first e second chair, riesce a trovare una sintonia che potrebbe dare inizio a un buon rapporto professionale. Nella scorsa recensione si era sottolineato il giustificato timore di una ripetitività per quanto riguarda le varie trame verticali, ovvero i legal cases che occupano buona parte degli episodi. C’è da dire, però, che essendo un procedurale, non possiamo sicuramente aspettarci di non vedere i protagonisti alle prese con obiezioni, affidavit, patteggiamenti e sotterfugi dell’ultimo minuto. Forse non lo guarderemmo nemmeno se non fosse così, come non avremmo continuato a seguire The Good Wife. Quando l’essenza principale di un telefilm viene messa in secondo piano, per dare risalto a tematiche più superficiali e da cronaca rosa, la qualità ne risente. Grey’s Anatomy docet. Ben vengano, quindi, casi giuridici trattati nella maniera più realistica possibile, con i quali magari possiamo anche immedesimarci o provare empatia per una delle parti.
Durante il processo al dottor Picot, inoltre, viene introdotto un nuovo personaggio che si aggiungerà al cast dei regulars, ovvero Colin Morrello (interpretato da Justin Bartha), un avvocato di successo sul libro paga dell’ufficio del Procuratore di Stato. Colin fungerà da interesse amoroso principale per la nostra Lucca Quinn, alla quale, speriamo, verrà dato sempre più spazio per esprimersi.
Un’altra tematica importante di questo terzo episodio è senza dubbio il richiamo alla situazione politica degli Stati Uniti. Viene da pensare se i coniugi King abbiano dovuto letteralmente riscrivere le puntate alla luce del “colpo di scena” della vittoria di Donald Trump alla scorse elezioni presidenziali. In effetti si può evincere un velato attacco all’amministrazione del magnate nerwyorkese quando lo studio Reddick, Boseman & Kolstad viene minacciato di finire in bancarotta per delle motivazioni politiche. Il tutto si risolve positivamente e c’è addirittura spazio per una scenetta comica di Julius Cain, afroamericano, che ammette a denti stretti di aver votato per Trump. Non potevamo aspettarci niente di meno dal suo personaggio, conoscendone il lato conservatore e ambizioso.
Ultimo, ma non ultimo pilastro di questa terza puntata è l’evoluzione della trama principale della serie: lo scandalo che ha coinvolto la famiglia Rindell. Dopo il colpo di scena alla fine di “First Week”, gli intrighi si fanno sempre più serrati e nuove ombre vengono gettate sulle figure di Lenore, Henry e lo zio Jax. E’ davvero lo schema Ponzi il motivo principale di questa faida familiare oppure i Rindell celano ben altro dentro l’armadio? A farne le spese, per adesso, sembra solo essere la povera Maia, che cerca in tutti i modi di far luce e dare un senso all’inferno in cui si trova.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • The Good Fight funziona anche senza troppi rimandi a TGW, nonostante metà dei personaggi sia familiare al pubblico
  • Buona alchimia tra Christine Baranski e Cush Jumbo
  • Rappresentare l’attuale realtà politica statunitense serve a catturare l’attenzione dello spettatore
  • Sempre di scandali si tratta, ma non per questo la nostra curiosità si placa
  • La trama verticale può sembrare trita e ridondante, ma d’altronde si tratta di un legal drama. Lo guardiamo anche per questo
  • Dobbiamo ancora inquadrare bene i nuovi personaggi
  • Forse si vuole un po’ troppo calcare la mano e far assomigliare il rapporto tra Adrian e Barbara a quello tra Diane e Will

 

The Good Fight ha tutte le carte in regola per emergere e non venire stigmatizzato come mera copia di The Good Wife. Certo la struttura è la stessa e anche le dinamiche, ma la società insegna che gli scandali appassionano sempre. L’ottima recitazione del cast e la rappresentazione quasi reale dei casi legali fanno sì che il pubblico venga trasportato in una vera aula di tribunale a cercare di spuntare l’ennesima obiezione, o in un ufficio di un famoso studio legale, a districarsi tra complotti e compromessi. Ed è proprio questo che noi vogliamo in un legal drama con la L e la D maiuscole.

 

First Week 1×02 ND milioni – ND rating
The Schtup List 1×03 ND milioni – ND rating

 

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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.

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