The Good Fight 6×10 – The End Of EverythingTEMPO DI LETTURA 4 min

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The Good Fight 6x10 Series Finale RecensioneUn ulteriore pezzo di decennio scorso va a tramontare. Uno dei tanti show iniziati nell’era ante-Covid, ha attraversato lo sfasamento temporale del Covid ed è andato poi a salutare il pubblico.
The Good Fight ha rappresentato una delle tante espansioni di riusciti universi narrativi, a cavallo tra gli anni duemila e gli anni dieci. Quegli universi cui la storia principale, nel sentire degli autori, poteva dirsi conclusa, ma con un mondo circostante e personaggi secondari talmente riusciti che inevitabilmente avevano ancora tanto da raccontare.
Tutto questo è sfociato nella serialità attuale dove le serie o i franchise di maggior successo sono come delle fenici, immortali, in grado di rinascere dalle proprie ceneri. Le espansioni degli universi narrativi sono all’ordine del giorno e anche la più piccola parentesi, il personaggio più insignificante, ha qualcosa da raccontare.
Nel frattempo però Diane e The Good Fight salutano il pubblico, senza troppa auto-celebrazione, riconoscendo il loro ruolo marginale, ma soprattutto la discontinuità sempre portata in scena, forse al servizio di un altro proposito, che fosse politico, sociale o semplicemente nostalgico.

IL TRIANGOLO DI DIANE


Non ci si poteva esimere, nel finale di una serie, dallo sciogliere il nodo del più classico dei triangoli che ha visto coinvolta la protagonista. Non un triangolo portato avanti lungo le sei stagioni, ma un semplice e talvolta trascurato flirt contrapposto al matrimonio, solo in quest’ultima. Le divergenze con Kurt non sembrano riguardare solo la sua effettiva poca presenza, quanto piuttosto le differenze ideologiche, pesanti più che mai nel determinato contesto storico narrato.
Anche nella parte più romanzata di questo ultimo capitolo dello show, politica e attualità entrano in ballo. Kurt e il medico, in una simbolica scalata verso la protagonista mettono in campo le caratteristiche con cui i King hanno dipinto gran parte degli amori di Diane dai tempi di The Good Wife: tra i due infatti c’è cordialità, un parziale distacco, fratellanza.
Tutte caratteristiche che poi hanno ben definito lo stesso Kurt, colui che è sempre risultato, e anche qui risulta, come il suo vero grande amore, benché un repubblicano. In una stagione in cui appare in sordina, il marito della protagonista non lascia dubbi allo spettatore, fin dalla sua prima apparizione in questo episodio, su chi avrà la meglio. E pazienza se l’altro faceva delle cure a base di acidi.

RACCONTARE L’ATTUALE


Ogni volta che termina uno show, nell’immaginario collettivo rimane impressa l’ultima sequenza. Non tanto l’ultimo episodio o l’ultima stagione, talvolta proprio i fotogrammi finali. The Good Fight finisce con Trump che balla. L’ex Presidente è forse stato il filo d’unione di un po’ tutto lo show, avendo il suo mandato abbracciato gran parte delle stagioni. Se a questo si aggiunge che lo show ha voluto premere l’acceleratore sul piano politico molto di più rispetto alla sua serie madre, raccontando l’attualità quasi in simultanea (Trump, Covid, me tooblack lives matter…), il tratto distintivo della serie è presto individuato.
Trump mostrato alla fine è il simbolo delle conclusioni a cui arrivano i protagonisti nel finale. Diane si chiede a cosa serva il loro lavoro (quest’ultima stagione è anche un po’ quella della crisi di identità lavorativa della protagonista) visto che i piccoli passi portati avanti vengono sempre spazzati via da cataclismi sociali e politici fuori controllo. La risposta di Liz è quanto di più vero, reale e attuale, quasi scontato, si potesse pensare: la differenza della loro attività non va cercata nel grande ma nel piccolo. Ogni singola persona o vita migliorata è un successo. Quasi un monito allo spettatore, magari in crisi mistica di fronte all’ineluttabilità del destino dell’umanità, consapevole quindi che nel suo minuscolo vissuto può fare la differenza per pochi.
Il cinico, reale, attuale The Good Fight saluta quindi con un’amara speranza, con Trump che balla ma con la consapevolezza di tanta gente che è stata aiutata, che lo meritasse o meno.

COSA LASCIA THE GOOD FIGHT


The Good Fight si carica sul groppone un’eredità non semplice. Sarà difficile in futuro pensare ad un rewatch di questa serie, semplicemente perché è difficile pensare ad una storia da percorrere, da ricordare. Proprio la stretta attualità di cui si parlava, combinata con anni effettivamente difficili, ha creato discontinuità nell’avvicendamento delle stagioni. A questo occorre anche aggiungere la probabile rimodulazione delle trame e della loro scrittura per combinare l’insieme di eventi che si sono succeduti negli ultimi anni.
L’aspetto procedurale-legale è venuto inevitabilmente a mancare, mai del tutto cancellato, ma spesso e volentieri relegato in un angolo di episodio giusto per formalità.
Si spera che i King continuino la loro attività televisiva (cosa che con Evil sta già avvenendo) perché dimostrano di avere molto da raccontare, talvolta in maniera forsennata e confusionaria, è vero, ma le idee e la capacità di affrontare questioni molto delicate non è da tutti. In più hanno regalato al pubblico un personaggio del calibro di Diane Lockhart.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Scalata simbolica dei due uomini di Diane
  • Kurt che ha la meglio
  • L’attentato allo studio
  • Ri’chard su Reddick senior
  • La morale finale di Liz con tanto di carrellata di volti passati dello show
  • The Good Fight ha avuto dalla sua una gran carrellata di protagonisti (da Maia a Lucca), possibile che per il finale non abbia fatto capolino nessuno di loro?

 

Hahahahahahaha
(Diane molto spesso)

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

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