“If one more male writer I love reveals himself to be a heinous sleazebag, I’m going to do a bunch of murders, create a new Isle of Lesbos, and never look back.“
Chuck Palmer legge le divertenti e sagaci parole di Hannah riguardo a lui e all’affaire molestie che lo riguarda. L’uomo fin da subito cerca di sedurre, vezzeggiare, lusingare la collega; lo scrittore, presentatoci attraverso i premi ricevuti e i suoi libri, cerca di sminuire l’accaduto, difendendosi con le frasi che si utilizzano in queste circostanze. “American Bitch” è una citazione di uno dei testi di Philip Roth, intitolato poi “When She Was Good” (il libro che Chuck regala alla ragazza), romanziere che unisce Palmer e Hannah – nonostante secondo quest’ultima egli sia un misogino lo venera ugualmente.
Questo non è uno dei tanti episodi della sesta stagione di Girls, non è solo il terzo episodio dell’ultima stagione di questa serie, è anche e soprattutto una dichiarazione d’intenti, una dichiarazione politica, una disamina su vari argomenti, il successo, l’arte, l’ambizione, il rapporto uomo-donna-potere, il concetto di “consensuale” e “non consensuale” – tema caro alle femministe. Qui non c’è solo Hannah, il personaggio, la sua evoluzione, che si presenta e si mostra per quello che è e per quello che pensa, ma c’è anche e soprattutto Lena Dunham – lo sappiamo bene che l’ideatrice/la protagonista dello show è molto attiva politicamente, anche negli ultimi mesi si è schierata contro Trump, durante la celebre manifestazione delle donne.
“American Bitch” è un bottle episode in cui lo spettatore trova una situazione già vissuta, più o meno, da Hannah nella seconda stagione, nel quinto episodio, “One Trash Man”. In quella puntata la ragazza incontra per caso Joshua, un ricco uomo di mezza età e vive una passionale avventura. Lei, nonostante tutto, è bisognosa dell’affetto che solo un uomo può darle, è sì ribelle, femminista, contro, ma cade di fronte ai complimenti.
Ci sono sicuramente dei punti in comune tra “One Trash Man” e “American Bitch” – uno fra tutti, l’abbandono in modo diverso della protagonista a questi due uomini – ma anche punti che li differenziano: l’Hannah della seconda stagione è ancor più immatura di quella di oggi, una giovane che si lascia cullare dall’avvenenza di un uomo molto diverso da quelli a cui è abituata; l’Hannah di oggi è più consapevole, conscia di ciò che è, sicura di avere una voce e pronta a farla sentire. Nel primo caso la protagonista sa che quello sconosciuto potrebbe essere un pericolo ma cede comunque alle sue lusinghe, nel secondo entra ugualmente nell’appartamento di Palmer, invitata da lui per questioni lavorative. La ragazza è sicuramente tesa, agitata, innervosita dall’incontro con colui che è sempre stato uno dei suoi autori più amati – la vediamo guardarsi e riguardarsi, truccarsi di fronte allo specchio in ascensore, asciugarsi il sudore e accertarsi di non emanare cattivi odori -, ma sa di essere lì anche per le ragazze che hanno accusato Chuck. Si mostra intransigente, dura nei confronti dell’uomo almeno in un primo tempo (“Using your power and your influence to involve yourself sexually with college students in your book tour”), non nascondendo però la stima che prova per lui, a poco a poco si scioglie, cerca di far capire le sue ragioni (arriva a dire, scusandosi, che forse il suo è stato un giudizio affrettato) e racconta di sé.
“American Bitch” è una guerra silenziosa, una singolar tenzone tra la giovane scrittrice che ambisce a diventare ciò che Palmer è già, e lo scrittore già noto che gioca con chi ha di fronte fino alla scena della camera da letto in cui umilia la femminista. Per Hannah il fatto di aver ceduto alle sue lusinghe e aver toccato il membro di Chuck vuol dire aver perso ed essere stata fragile come le altre.
E’ uno scontro tra due linguaggi, tra due mondi, totalmente distanti. L’uomo capisce che l’unica maniera per comprare quell’intelligente penna è impietosirla (dice di non dormire la notte e di essere dimagrito molti chili a causa delle voci su di lui), ma soprattutto comprarla con i complimenti (“Hannah, you’re clearly bright”, la definisce “funny”, “smart”). Il personaggio, meravigliosamente interpretato da Matthew Rhys, è fastidioso e viscido, un bravo attore in grado di convincere della sua buona fede (“I’m not perfect, but I’m not saying. […] I’m a horny motherfucker with the impulse control of a toddler”), prima recita una parte e poi si smaschera nel finale. Finge di voler conoscere meglio Hannah, rispolvera alcuni luoghi comuni maschili e sminuisce l’accaduto – quelle donne hanno voluto praticargli del sesso orale di loro spontanea volontà – mentre mostra il suo mausoleo di celebrità (foto con scrittori famosi, l’immagine di Woody Allen, tipico guru di una certa intellighenzia).
Chuck, essendo un narcisista (lo testimonia la tazza con scritto “I love Chuck”), sa come la nostra narcisista ragioni, conosce le parole da usare e, a poco a poco, Hannah cala le difese, non capendo di cadere nella trappola e di diventare una vittima come le altre. Mentre l’uno si avvicina alla preda, l’altra si fa più comprensiva, mentre l’uno fa la vittima, l’altra crede che forse lo sia veramente, anche grazie alla lettura di un brano scritto da Chuck – e incredibilmente anche lo spettatore inizia a pensarlo. La giovane crede di aver dato inizio ad una caccia alle streghe al contrario in cui la strega è Chuck e lei è la cacciatrice. Questa sarebbe una grande colpa per la scrittrice e per la sua intelligenza.
“No. I’m talking about the part where you’re a very fucking famous writer and she’s working very hard to get just a little bit of what you have every day […]. She admires you. […] Then you unbuckle your pants. […] You got it wrong, it’s not so she has a story, it’s so she feels like she exists.“
Lo scontro a suon di parole parte dall’ingresso dell’appartamento fino ad arrivare in camera da letto e si rimane incastrati in questo discorso politico in cui sesso e potere, consenso e abuso di potere, convergono. E’ Lena Dunham a portare in campo questo tema, non Hannah: la giovane autrice spiega al suo interlocutore che Denise, la donna che l’ha accusato, ha ceduto alle sue avances prima di tutto per il potere (o meglio “the power imbalance”) che lui rappresenta, e non come l’uomo dice per avere una storia da raccontare. “Esistere” è questo ciò a cui ambiva Denise e a cui ambiva la piccola Hannah quando si faceva lodare dal suo professore delle medie; e lo spettatore resta ingabbiato in questo dialogo scritto con minuzia certosina, in cui le parole e i propri sentimenti diventano fondamentali, in cui ad essere protagonista è la zona grigia, quella tra il mondo di Chuck e quello di Hannah. Sesso e Potere, linguaggio e partecipazione (politica, sociale, culturale) sono spesso campi inscindibili e dunque la prevaricazione maschile in camera da letto diventa prevaricazione anche in tutti gli altri settori. Infatti quando la protagonista sbalordita assiste allo stupido scherzo/molestia di Chuck si sente umiliata e ferita, non solo perché si è lasciata fregare dal suo idolo, ma anche in quanto donna facente parte di un gruppo di donne (è “sororità” il sentimento per cui pur non conoscendo quelle donne è dalla loro parte). La scena successiva esplicita questo senso di spaesamento, quando esce dall’appartamento di Chuck, mentre tutte le altre donne vanno in una direzione, lei se ne va in quella opposta, ovvero verso di noi, come a dire che in un primo momento il sentimento che si prova è di solitudine.
Quello della Dunham è un discorso femminista che emerge in maniera ancor più forte tra le pieghe di Hannah, ma diventa anche dichiarazione artistica (“I want to write stories that make people feel less alone than I did. I want to make people laugh about the things in life that are painful”). La sua scrittura è il mezzo attraverso cui Dunham fa arrivare più forte il suo pensiero artistico, ideologico, politico.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Hostage Situation 6×02 | 0.7 milioni – 0.3 rating |
American Bitch 6×03 | 0.7 milioni – 0.3 rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.