The Handmaid’s Tale 6×05 – JanineTEMPO DI LETTURA 4 min

/
3
(3)

La forza di uno show come The Handmaid’s Tale è sempre stato presente nelle immagini, nella fotografia e dal particolare racconto distopico alla base di tutto. La società di Gilead era unica, i cittadini vivevano in quattro risicate pareti e anche solo immaginare qualcosa al di fuori sembrava impossibile. La prima stagione un po’ si è avventurata al di fuori di casa Waterford: qualche scena al supermercato, qualche ripresa per le strade della città e le celebri mura da cui facevano capolino tutte quelle sciagurate persone che avevano osato mettere in dubbio il controllo di Gilead.
Lo spettatore non aveva la percezione diretta del massiccio controllo al di fuori della casa in cui veniva tenuta in ostaggio Offred, ma l’immaginazione colmava questo gap: uno Stato militarizzato, forte e robusto a tal punto da mettere in ginocchio gli USA. Un movimento esacerbato dall’odio verso il credo non prettamente religioso; il disperato tentativo di ripopolare una nazione sull’orlo del tracollo. Elementi, come detto, non direttamente espressi o rappresentati, ma che si riuscivano ad immaginare grazie a piccole sequenze, frasi: il non detto riempiva il non visto e amplificava l’aura di Gilead.

DA DRAMMA A FARSA


Le stagioni sono poi trascorse e mano a mano i confini della storia si sono sempre più ampliati e sfilacciati. A tal punto che il dramma è diventata vera e propria farsa. Il Canada da terra promessa è diventata in una sola stagione un incubo da cui fuggire; gli spostamenti da e verso Gilead si sono moltiplicati e resi banali, tanto da non fare più nemmeno notizia; la solidità di Gilead sembra essere del tutto scomparsa lasciando dietro di sé un cumulo di cenere tanto che è lecito chiedersi come sia stata in grado di resistere tutto quel tempo.
Quest’ultimo punto è sintomatico della trasformazione e della modernizzazione che si sta cercando di dare a Gilead (grazie a Nick e Joseph), ma la costruzione è troppo macchiettistica. Si è passati da uno Stato totalitario, dove chiunque aveva paura di esagerare anche solo con una parola di troppo (Comandanti, Marte o Ancelle), ad una banale società machista dove è l’uomo a comandare senza vincoli di alcun tipo: immaginare dei bordelli a Gilead nelle prime stagioni sembra quasi impossibile. Una decostruzione che mina uno dei veri punti forti dello show: la paura. Se i confini della città non sembrano più invalicabili e, soprattutto, se la città non ha più le regole ferree di una volta… perché mai Gilead dovrebbe spaventare? È solo l’ennesimo spunto narrativo distopico, ma nulla di più.

ALTERNATIVE A CANADA E GILEAD ESISTONO?


E la paura non sembrano percepirla nemmeno i protagonisti. Dei continui viaggi dentro-fuori da Gilead si è già detto, ma occorre far menzione anche delle due guardie a cui Nick aveva sparato nello scorso episodio: una è morta, l’altra è in coma. Sorvolando sul fatto che in una situazione di vita o morte, forse sarebbe meglio assicurarsi subito di aver ucciso dei potenziali testimoni, la visita di Nick in ospedale dalla guardia sopravvissuta che si conclude in un nulla di fatto è lontana anni luce dalla spietata e brutale realtà delle prime stagioni.
Anche perché è quasi scontato che la guardia ad un certo punto riacquisti la memoria e la fortuna si presenti da Nick a chiedere il conto. In una Gilead sempre più allo sbando, Serena sembra aver trovato l’unico brav’uomo del Paese, oltretutto suo sostenitore per il progetto New Bethlehem. Tutte cose nuove sia per lei (abituata con Fred ad essere picchiata se esprimeva la propria opinione), sia per il pubblico non avvezzo a dei momenti felici per il personaggio interpretato da Yvonne Strahovski. Siamo a metà stagione e quindi tutto può ancora accadere, ma anche questo piccolo momento di felicità ha il sapore di qualcosa di nuovo.
Difficile definirlo un aspetto positivo, anche perché per ora New Bethlehem è un ectoplasma non formato totalmente all’interno della storia: dovrebbe rappresentare un ritrovo per i rifugiati in fuga dal Canada e prima ancora che sono fuggiti da Gilead… ma l’insediamento è sotto il controllo di quest’ultimo. La fregatura e il rischio sono talmente lapalissiani che viene da chiedersi dove sia il lato positivo nell’aderire al progetto New Bethlehem. In tutto il pianeta esistono solo Gilead e Canada? Ulteriori fronti e Paesi ai quali poter chiedere asilo non esistono?

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • New Bethlehem: possibile spunto per far ricongiungere Gilead con il resto del Mondo, ma è veramente poca cosa
  • Il dentro-fuori da Gilead ha ormai assunto dei contorni ridicoli
  • “Janine” è il titolo della puntata, ma al personaggio viene riservato pochissimo minutaggio… senza aggiungere nulla a quanto già detto in precedenza
  • Qualcuno che non vuole tornare a Gilead esiste?
  • Gilead completamente decostruito come paesaggio narrativo

 

Sì, la puntata si intitola “Janine”, personaggio noto dello show e già apparso nelle precedenti puntate. Era lecito attendersi qualcosa di più specifico? Forse. La puntata approfondisce la storia di Janine? Decisamente no. Motivo per cui non vale nemmeno la pena perdere tempo nella recensione scrivendo qualcosa riguardo ad un personaggio di cui si è mostrato pochissimo.
Poco importa in realtà a questo punto: ancora cinque episodi, tra primissimi piani e dentro-fuori da un Paese totalitario, e anche The Handmaid’s Tale potrà essere tranquillamente archiviato.

Quanto ti è piaciuta la puntata?

3

Nessun voto per ora

Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Precedente

The Handmaid’s Tale 6×04 – Promotion

Prossima

The Handmaid’s Tale 6×06 – Surprise