Che questa “coda” della stagione non fosse necessaria considerata l’immobilità della trama è già stato più volte scritto nelle precedenti recensioni. Eppure, proprio con l’ultimo episodio The Walking Dead si risolleva e mette in mostra ancora una volta l’innata capacità della serie di dipingere in maniera sapiente e ben definita il passato di un personaggio contrapponendolo ad un presente ben diverso considerata l’infezione mortale che ha distrutto la società come la si conosceva. Un espediente narrativo utilizzato in ogni singolo episodio di approfondimento, quindi niente di nuovo, ma che colpisce perché finalmente prende in esame un personaggio presente da molto tempo e per il quale si è dato ben poco background (se non qualche rapido frame e frase sparsa in quattro stagioni di presenza). Il titolo è eloquente e per una volta non tradisce le aspettative regalando al pubblico un episodio introspettivo dedicato a Negan che sì, alza il livello rispetto ai precedenti, ma non può rappresentare un buon finale di stagione come si sarebbe portati a credere.
EPISODI NON NECESSARI
Cartina al tornasole di questo fatto è sicuramente il crollo di ascolti: l’emorragia di The Walking Dead è stata progressiva e costante rendendo “A Certain Doom” il secondo episodio a scendere sotto i tre milioni di spettatori; un record negativo subito migliorato dagli episodi andati in onda da febbraio (tutti ampiamente sotto i tre milioni) e che trova in “Diverged” il punto più basso della serie, addirittura sotto i due milioni. “Here’s Negan” alza lievemente l’asticella, ma resta di fatto il peggior finale di stagione in termini di ascolti per quanto riguarda The Walking Dead. Sicuramente non la migliore chiusura in vista dell’undicesima (ed ultima) stagione che dovrebbe tornare, salvo sconvolgimenti, il 22 agosto di quest’anno.
Come detto, però, “Here’s Negan” non è un buon episodio nel complesso. La trama rimane nuovamente ferma immobile inanellando il sesto filler su sei episodi, in pratica due mesi buttati via; lo show si sofferma ancora una volta su di un singolo episodio circoscrivendo il tutto attorno ad esso per oltre quaranta minuti di puntata; non funziona mai troppo mostrare scene del passato con un determinato personaggio in pericolo che il pubblico sa essere ancora vivo nel presente, tutto risulta depotenziato e poco accattivante.
Ciò che salva la puntata è il soggetto stesso della narrazione, Negan. Un villain tramutatosi in antieroe fatto e finito che ha saputo mostrare il suo lato peggiore (andate a chiedere a Maggie cosa ne pensa), ma anche quello migliore (si veda il salvataggio di Judith o la morte di Alpha). Un personaggio complicato e complesso che tuttavia ha fin dall’inizio un punto fondamentale attorno al quale ruota: Lucille. Moglie e mazza da baseball dopo, Lucille rappresenta per Negan un elemento a cui fare ritorno nei momenti di necessità, una sorta di ancora di salvezza. Ma si tratta anche dell’arma con cui Negan infierisce sui corpi di Abraham e Glenn mentre il resto del gruppo non può far altro che osservare impotente. Un oggetto di giustizia e saggezza da un lato; un oggetto di morte e disperazione dall’altro: questa è Lucille e di questi elementi si compone anche l’animo di Negan.
NASCITA E MORTE DI LUCILLE
“Here’s Negan” è un affresco delicato, ma movimentato in stile The Walking Dead della vita di Negan prima e dopo il sopraggiungere dell’infezione. La lotta contro il cancro della moglie, le cure insufficienti, la sua disperata ricerca, l’immancabile contrattempo che sconvolge la storia e poi la dolorosa morte di Lucille con la sua rinascita sotto forma di oggetto di morte. La sequenza dell’incendio di casa con in sottofondo “You Are So Beautiful” di Joe Cocker, preceduta tra l’altro dalla creazione di bat-Lucille, rappresenta un passaggio struggente su cui The Walking Dead lesinava ormai da tempo. Un cerchio, quello del fuoco, che si chiude alla perfezione con il finale di puntata: Lucille, ritrovata da Negan là dove era stata vista l’ultima volta (ossia durante lo scontro con Rick) viene gettata nel fuoco di un camino, quasi a significare il desiderio del personaggio interpretato da Jeffrey Dean Morgan di lasciarsi alle spalle il passato. Un passato che purtroppo per alcuni rappresenta il presente (Maggie).
Questo episodio conclusivo, quindi, funziona finché rimane circoscritto al puro e semplice background che si intende approfondire di un personaggio, ma finisce per fallire miseramente nel momento in cui ci si ritrova a riflettere dell’utilità di questi oltre quaranta minuti nel lungo periodo: che peso potranno mai avere, in termini di utilità, questi ultimi sei episodi andati in onda da febbraio nella prossima stagione?
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Una luce illumina alle spalle Negan nel cupo buio della notte. Jeffrey Dean Morgan si lascia andare ad un monologo carico di humor nero, sproloqui, minacce e violenza, il tutto nascosto dietro il più falso dei sorrisi che la storia della televisione potrà mai conoscere. Lucille inizia a roteare in aria e poi il limpido rumore dell’osso umano che si infrange contro il duro legno della mazza armeggiata da Negan. Ancora, ancora e ancora. No, non si tratta di quell’egregia apertura di stagione che fu “The Day Will Come When You Won’t Be”, bensì di una sequenza di “Here’s Negan”, un episodio che gioca con i ricordi sia di Negan, sia del pubblico strizzando l’occhio a ciò che questo show ha saputo regalare. Peccato che questo serva soltanto a notare quanto poco di interessante sia rimasto da raccontare a The Walking Dead.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.