Dopo i tentativi di resuscitare la serialità di genere italiana con il fantasy e l’horror soprannaturale, Netflix ci riprova con un genere oggi molto inflazionato ma che sembra non dare segni di cedimento: il superhero-drama.
Zero è tratto dal romanzo Non ho mai avuto la mia età, dello scrittore Antonio Dikele Distefano, e narra le vicende di Omar (l’esordiente Giuseppe Dave Seke), un ragazzo italo-senegalese diviso fra il desiderio di fuggire all’estero, per coltivare i suoi sogni di fumettista, e la voglia di restare in Italia accanto a famiglia e affetti. E che deve gestire un ulteriore problema: la scoperta di poter diventare letteralmente invisibile.
IL “JEEG ROBOT” DI NETFLIX
Quello che è un piccolo passo per Netflix è un grande passo per l’Italia.
Se, infatti, ormai il pubblico è abituato alle storie di “super-eroi con super-problemi”, questa declinazione di temi e stilemi già noti del genere supereroistico in ambito italiano è ancora qualcosa di potenzialmente rivoluzionario.
Sono passati sei anni dall’uscita al cinema de “Lo Chiamavano Jeeg Robot”, film che ha riscritto le regole di questo genere riadattandole in chiave nostrana (fra l’altro uno degli autori di Zero è appunto Menotti, già sceneggiatore per il film di Gabriele Mainetti).
E, ancora una volta, proprio questo si rivela il mezzo ideale per raccontare l’alienazione e il disagio delle periferie italiane (qui rappresentate dal “Barrio”, nome fittizio per indicare il quartiere Barona di Milano). In questo caso si aggiunge anche il tema dei cosiddetti “italiani di seconda generazione”, i quali sono sempre stati “minoritari” nel panorama mediale italiano. Da questo punto di vista va elogiato il responsabile casting della serie nella scelta degli attori principali (quasi tutti esordienti). Tra questi, il già citato Giuseppe Dave Seke e Haroun Fall, interprete di Sharif, quello che sembra essere, a prima vista, la “nemesi” del protagonista.
IL “POTERE” DELL’INVISIBILITÀ
Zero sceglie saggiamente il tema dell’invisibilità (che qui assume, per ovvie ragioni, un significato più che simbolico) per raccontare il proprio contesto narrativo. Ma soprattutto gioca, fin da subito, la carta dell’“anti-eroe”: Omar infatti è prima di tutto un normale ragazzo di periferia, perennemente in bilico fra una realtà che gli va fin troppo stretta e sogni più grandi di lui.
Una condizione in cui chiunque si può tranquillamente riconoscere e che dona alla serie, un aspetto molto “glocale”, quindi adatta anche ad un pubblico potenzialmente internazionale.
Questa “normalità” di Omar rientra inoltre in una tendenza sempre più ricorrente all’interno del genere supereroistico: quella in cui il “super-potere” rappresenta più una maledizione che non un dono. Quello che vorrebbe Omar, infatti, è essere semplicemente un ragazzo normale come tutti, o almeno non essere più invisibile, soprattutto agli occhi di Anna (Beatrice Gannò), la ragazza di cui è inevitabilmente innamorato.
Tutti questi sono temi universali che favoriscono, non poco, l’empatia nei confronti di questo personaggio.
IL TRIONFO DELLA POP/TRAP ITALIANA
Dal punto di vista puramente tecnico questo “Episodio 1” rivela una buona regia e fotografia, nonché una certa cura per quanto riguarda gli effetti speciali (che per uno show del genere sono più che essenziali). Una nota a parte riguarda la colonna sonora, caratterizzata da una serie di brani che rappresentano il meglio del panorama musicale contemporaneo italiano per quanto riguarda il suo lato pop/trap.
Si passa infatti da tha Supreme a Mahmood, contribuendo così a settare l’aspetto “urban” della serie, sottolineando il contesto culturale in cui si svolge la narrazione, per cui le scelte musicali rappresentano ben più che una semplice “musichetta di sottofondo”.
Lo stesso Mahmood è anche l’autore della sigla ufficiale della serie, nonché “consulente musicale” per quanto riguarda i brani scelti nelle varie puntate.
Anche questo aspetto rappresenta un ulteriore indizio dell’estrema cura formale di questo show. Il quale sembra veramente intenzionato a fare le cose per bene e a distinguersi (in meglio) fra le altre serie italiane finora prodotte dalla piattaforma.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Un episodio pilota che non si perde troppo in chiacchiere. In pochi minuti la storia di Omar e del quartiere Barrio di Milano viene spiegata in maniera semplice ed esaustiva, abbastanza per creare un discreto hype per il seguito.
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!