Alla luce degli avvenimenti raccontati nei primi sei episodi, si può dire che Them si proponga di raccontare la progressiva discesa nella follia di una famiglia afroamericana nei difficili anni ‘50.
Sotto questo aspetto, “Day 7: Morning” ne è la massima espressione, mostrando ciascuno dei 4 componenti della famiglia Emory alle prese con la propria individuale follia, indotta tanto da avvenimenti concreti quanto da eventi paranormali.
“Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag. Cat in a bag.”
DISCESA NELLA FOLLIA
Ogni episodio ha in qualche modo mostrato le difficoltà della famiglia Emory, sia nell’integrarsi che nel gestire le misteriose entità che sembrano perseguitarli. Ora che però lo spettatore ha più chiaro come non solo Luck, ma tutta la famiglia abbia un qualche tipo di rapporto con esseri soprannaturali, la serie può focalizzarsi in modo più equo su ognuno dei componenti della stessa.
Per quasi la totalità dell’episodio, i personaggi protagonisti rimangono separati e combattono in solitaria le proprie battaglie: Luck e le sue preoccupanti visioni; Gracie e Miss Vera; Ruby e Doris; infine Henry e The Man With The Black Hat.
Poco spazio viene dato alle due figlie degli Emory, ma non per questo vengono dedicate loro scene meno d’impatto. La frase “Cat in a bag”, ormai tristemente nota al pubblico della serie, ripetutamente urlata dalla piccola Gracie rievoca sensazioni spiacevoli nello spettatore, reduce dallo spettacolo agghiacciante mostrato in “Covenant I.“. Altrettanto agghiacciante si rivela però il provino “immaginario” di Ruby: una macabra trasformazione progressiva, da danza vivace e spensierata a spettacolo di corpi contorti e spezzati. L’ultima scena di Ruby, intenta a danzare ed esibirsi da sola nella stanza vuoto è al tempo stesso inquietante e meravigliosa, riuscendo a incarnare perfettamente lo spirito della serie.
Molto più elaborata è però la porzione di trama dedicata a Henry Emory, la cui rabbia viene alimentata dal misterioso uomo col cappello. Nonostante il timore nei confronti della moglie, probabilmente quella di Henry è la manifestazione più palese di follia. Gli eventi recenti hanno temprato Henry, al punto che non si stupisce affatto nel vedere l’oscura entità accanto a lui e anzi ci dialoga e si fa manipolare, tanto che l’uomo si convince di dover uccidere e punire il proprio datore di lavoro. Qui The Man With The Black Hat rappresenta proprio le pulsioni di Henry che prendono il sopravvento sul suo raziocinio, una raffigurazione evidente della ragione che cede all’istinto animale.
LA FAMIGLIA BEAUMONT
Arnette: “What I did to my family was unholy. Evil. But something was pulling me, making me. I never told those policemen about him.”
Luck: “Him? “Him” who, Mrs. Beaumont?”
Arnette: “The man with the black hat.”
Le visioni di Lucky mostrate a inizio episodio e le sue derivate preoccupazioni riguardo l’incolumità delle figlie fanno da preambolo alla storyline a lei dedicata, incentrata sull’incontro con Arnette Beaumont.
Arnette rappresenta una sorta di possibile foreshadowing di Lucky, di ciò che potrebbe diventare continuando a vivere a Compton. Questo incontro non solo fa da monito a Lucky, spingendola ad attivarsi per scongiurare la possibilità di fare del male alla propria famiglia, ma porta anche a uno dei momenti più atroci e meglio realizzati dell’episodio. Il flashback di Arnette e del lento omicidio del marito e del figlio è assolutamente agghiacciante, eppure viene accompagnato da una musichetta allegra e spensierata. Questo contrasto eleva la sequenza, dandole carattere e particolarità, ma anche un certo significato: la musica rievoca il ritratto di una perfetta famiglia americana d’altri tempi, pur mostrando invece un brutale omicidio, compiuto in apparente accordo con le vittime.
Una dicotomia particolare, che potrebbe rimandare anche alla sofferenza, al marcio che si nascondeva sotto la superficie in quelle apparenti famiglie da “Mulino Bianco” nell’America degli anni ’50.
UN DIVERSO TIPO DI FOLLIA: BETTY WENDELL
“That’s right, Mama. We beat their asses.”
Parlando di apparenze e di marcio sotto la superficie, non si può non citare uno dei personaggi più interessanti della serie: Betty Wendell. Unico personaggio principale che può considerarsi tanto vittima quanto carnefice all’interno della società e che non è influenzato da esperienze soprannaturali.
In questo sesto episodio nello specifico, è possibile notare anche la sua discesa progressiva nel baratro della follia. Una follia però molto più psicologica che indotta da fenomeni paranormali, dovuta tanto alla frustrazione quanto alla costante repressione dei propri sentimenti per mantenere le apparenze. Il sorriso perennemente stampato sul volto della donna è un segno terrificante e innegabile della sua instabilità.
Non sarebbe sbagliato paragonare Betty ad una bomba a orologeria, in attesa di far esplodere all’esterno i sentimenti negativi a lungo imbottigliati dentro di lei e mascherati da quel falsissimo sorriso.
Una prima esplosione avviene proprio verso la fine dell’episodio, nel momento in cui, schiaffeggiata da Luck e perduto il confronto con lei, mette a soqquadro casa urlando e imprecando. Una scena che rende ben visibile il senso di perenne repressione a cui Betty si è sottoposta pur di integrarsi nella società. Finalmente la sua vera natura, nell’intimo e nella solitudine della propria abitazione, può venire alla luce, ma probabilmente la rabbia mostrata avrà ripercussioni anche sulla famiglia Emory, capro espiatorio per le sofferenze e insoddisfazioni della donna.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Seppur magari non interessante quanto altri episodi precedenti, “Day 7: Morning” è uno dei tasselli fondamentali della serie, utile a delineare perfettamente i bisogni, le paure e i tormenti di ciascuno dei protagonisti. Uno sguardo dettagliato e necessario prima di immergere la trama nel vivo dell’azione.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.