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Per Utopia ed i propri personaggi è arrivato il momento della verità, il momento di interfacciarsi con la crudeltà del mondo, dei “poteri forti” tanto spesso nominati anche nella realtà fuori dalla televisione. Non sembra poterci più essere spazio per l’ironia ed il facile black humor attorno al quale la serie era riuscita a destreggiarsi nelle precedenti puntate. La verità colpisce, la verità uccide: la famiglia di Ian ricoverata in condizione critiche; quella di Wilson massacrata silenziosamente nel secondo episodio; Grant dipinto al telegiornale come un killer spietato dopo il massacro a casa di Cara (un vero e proprio false flag). Becky, all’interno del team di Jessica Hyde, sembrerebbe essere l’unica ad essere stata risparmiata da questo vigoroso colpo basso da parte della Harvest e di Mr. Rabbit. Il dubbio, proprio per tale motivo, si insinua ed inizia a serpeggiare, sospinto dal dolore della perdita dei propri cari: Desmin Borges, esattamente come Adeel Akhtar nella versione inglese, inizia ad intraprendere quel percorso che presumibilmente lo porterà nella trasformazione definitiva, trasfigurandolo nel più cinico e feroce umano che si possa immaginare.
Quel “Useless piles of shit. Everywhere” rappresenta il primo passo di questo percorso di cui si è fatta menzione. Una semplice frase, dettata dal dolore e dalla frustrazione, ma che presumibilmente si sedimenterà nel cuore tradito di Wilson.
Discostandosi dal momento della verità, Utopia in questo quinto episodio regala anche l’incontro-scontro tra Jessica Hyde ed Arby, confuso da quanto raccontato nei fogli di Utopia che ha ritrovato (o forse psicologicamente ancora colpito dall’omicidio perpetrato a casa di Cara). Un presagio di debolezza umana che permette a Jessica e Grant di andarsene vivi e vegeti e, oltretutto, ben informati visto e considerato che Arby lascia a Jessica anche le ultime pagine del fumetto. Tra tutti i risvolti narrativi, forse questo è quello che ad ora risulta gestito peggio: lo scontro tra Jessica ed Arby era uno degli avvenimenti più attesi all’interno della serie e non sembra essere stato portato in scena nella maniera migliore. Non si sta criticando qui la brevità della sequenza action, tutt’altro: la messa in scena e la decisione di arrendersi e di trovare una via pacifica da parte di Arby risulta interessante e nel complesso ben gestita. Ma è la mancanza di motivazioni da parte di Arby a lasciare interdetti visto e considerato che, a differenza dell’Arby interpretato da Neil Maskell, Christopher Denham non ha mai mostrato veri segni di cedimento (fatta eccezione per il grido al termine della precedente puntata, ma si tratta di un caso veramente isolato).
Risulta antipatico il voler cercare paragoni per evidenziare alcuni difetti all’interno di un prodotto, tuttavia in certi casi risultano utili per evidenziare un certo tipo di mancanza abbastanza evidenti, come in questo caso riguardo l’involuzione estremamente approssimativa di Arby. Poteva essere gestita meglio, quindi, ma c’è ancora ampio spazio e tempo per correggere il tiro visto e considerato che mancano ancora tre episodi alla conclusione di questa stagione.
Una peculiarità che Utopia US sta riuscendo a sfruttare in maniera impeccabile è sicuramente l’intera sequenza del buon Michael Stearns, l’arma in più di questa serie che permette allo spettatore di vedere la vera faccia di quel male innominabile che il team di Jessica Hyde sta solo sperimentando per via indiretta. Michael viene raggirato in maniera teatralmente ineccepibile e con dovizia di particolari: il finto legame famigliare su cui Thomas Christie punta per intenerirlo; le gemelle e la somministrazione del virus; il sacrificio ultimo e, di conseguenza, la finta guarigione. Tutto talmente ben orchestrato da rendere il buon Michael ingranaggio inconsapevole di un meccanismo di distruzione (o dominio?) di massa. La realizzazione di questo suo ruolo, suo malgrado, arriva troppo tardi: nel preciso istante in cui i Christie (Kevin e Thomas) si schierano dalla sua parte durante le rimostranze alla FDA comprende che qualcosa non sta effettivamente andando come avrebbe dovuto (o come lui pensava). Il dubbio, esattamente come accaduto al team di Jessica Hyde, lo attanaglia o sembra gettarlo nello sconforto quando titubante si inginocchia sul palco esattamente come Kevin suggerisce a tutti di fare.
Quel “Useless piles of shit. Everywhere” rappresenta il primo passo di questo percorso di cui si è fatta menzione. Una semplice frase, dettata dal dolore e dalla frustrazione, ma che presumibilmente si sedimenterà nel cuore tradito di Wilson.
Discostandosi dal momento della verità, Utopia in questo quinto episodio regala anche l’incontro-scontro tra Jessica Hyde ed Arby, confuso da quanto raccontato nei fogli di Utopia che ha ritrovato (o forse psicologicamente ancora colpito dall’omicidio perpetrato a casa di Cara). Un presagio di debolezza umana che permette a Jessica e Grant di andarsene vivi e vegeti e, oltretutto, ben informati visto e considerato che Arby lascia a Jessica anche le ultime pagine del fumetto. Tra tutti i risvolti narrativi, forse questo è quello che ad ora risulta gestito peggio: lo scontro tra Jessica ed Arby era uno degli avvenimenti più attesi all’interno della serie e non sembra essere stato portato in scena nella maniera migliore. Non si sta criticando qui la brevità della sequenza action, tutt’altro: la messa in scena e la decisione di arrendersi e di trovare una via pacifica da parte di Arby risulta interessante e nel complesso ben gestita. Ma è la mancanza di motivazioni da parte di Arby a lasciare interdetti visto e considerato che, a differenza dell’Arby interpretato da Neil Maskell, Christopher Denham non ha mai mostrato veri segni di cedimento (fatta eccezione per il grido al termine della precedente puntata, ma si tratta di un caso veramente isolato).
Risulta antipatico il voler cercare paragoni per evidenziare alcuni difetti all’interno di un prodotto, tuttavia in certi casi risultano utili per evidenziare un certo tipo di mancanza abbastanza evidenti, come in questo caso riguardo l’involuzione estremamente approssimativa di Arby. Poteva essere gestita meglio, quindi, ma c’è ancora ampio spazio e tempo per correggere il tiro visto e considerato che mancano ancora tre episodi alla conclusione di questa stagione.
Una peculiarità che Utopia US sta riuscendo a sfruttare in maniera impeccabile è sicuramente l’intera sequenza del buon Michael Stearns, l’arma in più di questa serie che permette allo spettatore di vedere la vera faccia di quel male innominabile che il team di Jessica Hyde sta solo sperimentando per via indiretta. Michael viene raggirato in maniera teatralmente ineccepibile e con dovizia di particolari: il finto legame famigliare su cui Thomas Christie punta per intenerirlo; le gemelle e la somministrazione del virus; il sacrificio ultimo e, di conseguenza, la finta guarigione. Tutto talmente ben orchestrato da rendere il buon Michael ingranaggio inconsapevole di un meccanismo di distruzione (o dominio?) di massa. La realizzazione di questo suo ruolo, suo malgrado, arriva troppo tardi: nel preciso istante in cui i Christie (Kevin e Thomas) si schierano dalla sua parte durante le rimostranze alla FDA comprende che qualcosa non sta effettivamente andando come avrebbe dovuto (o come lui pensava). Il dubbio, esattamente come accaduto al team di Jessica Hyde, lo attanaglia o sembra gettarlo nello sconforto quando titubante si inginocchia sul palco esattamente come Kevin suggerisce a tutti di fare.
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Il dubbio, il dolore ed una dimostrazione di forza ineccepibile: Utopia continua con la propria narrazione martellante e claustrofobica. Qualche dettaglio da limare e migliorare, ma la storia risulta di sicuro gran interesse.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.