American Horror Story inizia con questi due curiosi episodi il suo nuovo ciclo intitolato ‘Death Valley’. Il tema del doppio ritorna prepotente anche all’interno della seconda parte stessa, alternando un passato fatto di scene in bianco e nero al technicolor, caratteristico del tempo presente.
TAKE ME TO YOUR LEADER
Fin dalle prime scene di ‘Death Valley’, ci si ritrova in un ambiente permeato di reminiscenze sci-fy ben incastrate e conosciute, rivelandosi un esercizio di stile visivamente convincente.
American Horror Story ha già giocato con gli alieni nell’ultimissima parte di Asylum, ma questa volta gli incontri ravvicinati diventano il fulcro di questa parte di stagione. Non si tratta di alieni benevoli come quelli che hanno guarito la mente di Sister Jude: questi alieni hanno fin da subito fini malvagi. Lo si evince dalla primissima scena ad Albuquerque, New Mexico, anni ‘50, dove una madre cucina canticchiando Dean Martin e il figlio gioca in giardino. Improvvisamente, le luci tremano, il disco salta e va a ritroso, il figlio scompare in un cono di luce bianca, la casa trema e l’orologio impazzisce. Quando il marito torna a casa quella sera, trova sua moglie, sospesa a metri da terra, gli occhi bianchi e vacui. Improvvisamente, con un ‘POP!’ retrò in perfetto stile fantascientifico kitsch anni ‘50, la sua testa esplode come un palloncino.
L’intero concept dell’episodio (diretto abilmente da Max Winkler) gioca proprio su questa contrapposizione tra orrido e comico-kitsch, riprendendo volutamente lo stile degli anni d’oro del cinema di fantascienza in bianco e nero. A questi elementi si aggiunge anche una caratterizzazione storica, avendo scelto di inserire riferimenti ben specifici a personaggi di rilievo storico come il presidente Eisenhower.
Questo stile di ripresa old school si oppone alle sequenze moderne che vedono protagonisti i quattro ragazzi, il loro viaggio nella natura senza smartphones e il conseguente rapimento alieno.
La sceneggiatura, scritta a sei mani da Brad Falchuk, Kristen Reidel e Manny Coto, è ben studiata e concepita.
I ventenni di oggigiorno sono credibili nella loro incoerenza nel voler tentare di rinunciare alla tecnologia della quale non riescono proprio a farne a meno, privi di esperienza del mondo reale e ossessionati da loro stessi. La loro condizione è ben controbilanciata dalla condizione di Ike Eisenhower, capo militare in grado di essere testimone di eventi agghiaccianti senza perdere la calma, a differenze dei ragazzi protagonisti della storyline del presente.
INSIDE
È il 1963. Dieci anni sono trascorsi ormai dal primo incontro tra l’ex presidente Eisenhower e l’entità aliena. Tocca ora al presidente Kennedy trattare con lei, anche se deve affrontare gli strascichi di un patto segreto stretto anni prima per il quale 5000 americani vengono consegnati agli alieni ogni anno per esperimenti legati essenzialmente alla riproduzione. In cambio, gli americani ricevono tecnologie che li renderanno superiori in campo militare. Proprio Kennedy, volendo rivelare tutta la verità, viene zittito e ucciso nello storico attentato.
Ebbene sí: Ryan Murphy ci casca di nuovo e di sua spontanea volontà decide di mescolare storia e finzione all’interno di American Horror Story, manipolando eventi reali in funzione delle sue esigenze narrative.
Sfruttando l’hubris tipica degli umani, gli alieni ottengono ciò che vogliono al fine di perpetuare la loro specie: in pieno stile ‘La Guerra dei Mondi’: infatti, il solo dna della specie aliena non potrebbe sopravvivere sulla Terra a causa di parassiti e virus, per questo necessitano di creare una specie ibrida più evoluta.
Il bianco e nero si rivela essere efficace anche in questo nuovo episodio, così come la contrapposizione al technicolor del presente. Tuttavia, la nota che un po’ stona è la quantità di informazioni mischiate in un calderone che sembra un po’ troppo ricolmo, considerando che in una sola puntata si passa dall’assassinio di JFK a un set degno di un videoclip di Lady Gaga pieno di donne e uomini vestiti di bianco e in dolce attesa.
L’idea dell’’alternare due piani temporali funziona, soprattutto perché c’è una continuità (gli accordi del passato presi con il Presidente valgono ancora al giorno d’oggi), ma si ha la sensazione che qualcosa di terribile stia per accadere per quanto riguarda la scelte narrative a venire. Il problema di Murphy è sempre lo stesso e ne è stato un esempio chiarissimo il finale di ‘Red Tide’: l’idea è accattivante ma finisce sempre per rovinarsi nei deliri onnipotenti degli epiloghi.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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L’equilibrio tra retrò e ultramoderno sarà cruciale per l’esito di ‘Death Valley’, in quanto è questa contrapposizione che è il fulcro della seconda parte di ‘Double Feature’. È difficile non restare affascinati dalle scene in bianco e nero, più che altro perchè replica sapientemente elementi amati dai veri nostalgici della Golden Age del cinema americano. La parte moderna dovrà tenere il passo senza cadere in clichès già visti altrove nel panorama seriale attuale.Il rischio, tipico delle creature di Ryan Murphy, é quello di mettere troppa carne sul fuoco e di bruciare tutto quanto. La magia dell’episodio 7 inizia a svanire nell’episodio 8, più confusionario e pasticciato. L’ardua sentenza andrà agli ultimi episodi di ‘Death Valley’, che saranno anche gli ultimi di ‘Double Feature’: considerando che Murphy aveva stuzzicato i fan menzionando un collegamento tra le due parti di questa stagione, sembra attualmente forzato pensare a qualsiasi link tra le due storie, così diverse e apparentemente inconciliabili.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.