Hellbound conclude la sua prima stagione con un importante cliff-hanger che spiana la strada per un ipotetico secondo ciclo.
Trainato dal successo di Squid Game, il viaggio nell’incubo del fanatismo religioso di Yeon Sang-oh ha avuto i suoi alti e bassi, colpendo positivamente per la fotografia, le ambientazioni e la sua ambiguità, ma perdendosi un po’ troppo verso il finale.
Hellbound è sicuramente un prodotto di qualità dove la tematica della religione come “oppio dei popoli” è declinato in salsa horror-distopica, anche se non manca un pizzico di esasperazione recitativa, tipica delle serie coreane.
Nel complesso, Hellbound rimane un prodotto godibile e di effetto, con una morale di fondo che può scatenare dibattiti da qui all’eternità. Il numero ridotto di episodi, inoltre, permette alla storyline di svolgersi pienamente, senza risultare troppo ripetitiva.
LA MENZOGNA DELLA RELIGIONE
La linfa vitale di Hellbound è la visione negativa della religione, quando essa diventa solo uno strumento per soggiogare i più poveri ed i più deboli.
La Nuova Verità, infatti, viene dipinta come un’organizzazione subdola e manipolatrice che riesce a scalare le vette del potere grazie ad una menzogna. La paura del castigo divino e della condanna all’inferno, dunque, si trasformano in veri e propri mezzi per controllare la massa e piegarla al proprio volere.
La setta creata da Jeong Jin-soo si fa portavoce di tutte quelle volte in cui la religione ha mietuto le sue vittime in nome della pace, spacciando la volontà di Dio come giustificazione per barbarie e crudeltà.
Il piccolo balzo nel futuro di “Episodio 3”, mostra, infatti, quanto l’idea sbagliata e distorta di Dio e della religione possano sfociare in caos, violenza e sottomissione.
AIUTAMI, AVVOCATO MIN HYE-JIN. SEI LA MIA UNICA SPERANZA!
La sconvolgente condanna del neonato, figlio di Bae Young-jae e di sua moglie So-hyun, mette in pericolo l’egemonia de La Nuova Verità che si vede minacciata e decide di contrattaccare.
L’unica speranza per il mondo è conoscere la verità riguardo la setta, così da liberarsi definitivamente di un regime totalitario e dittatoriale. La rediviva avvocato Hye-jin decide di utilizzare gli stessi strumenti de La Nuova Verità e vuole trasmettere in diretta la condanna del neonato.
La scelta di punire un essere innocente, come un bimbo appena nato, può essere vista come una duplice valenza: serve sia per screditare i precetti e le regole imposte dall’organizzazione, sia per trasmettere, seppur velatamente, un’immagine di un Dio malevolo, egoista e vendicativo.
Quale Dio compassionevole, infatti, condannerebbe all’inferno un essere senza peccato? Un Dio che, probabilmente, non si interessa delle proprie creature o, meglio, un Dio che non esiste.
UN MESSIA, UN SACRIFICIO E UNA SCENA ALLA TERMINATOR
Hellbound si congeda dal suo pubblico con un episodio dal grande impatto visivo ed emotivo, ma per nulla risolutivo. Le domande sorte durante la visione delle puntate precedenti, infatti, non trovano una risposta ed i dubbi, anche dopo la scena finale, continuano a moltiplicarsi.
Lo show nato letteralmente dalla penna di Yeon Sang-oh è un inno contro l’estremismo religioso e l’ipocrisia di un dogma che schiaccia e punisce, invece di sollevare e perdonare.
Il taglio horror-distopico dato alla serie è stato molto apprezzato, così come la fotografia, le ambientazioni cupe, l’atmosfera alla Black Mirror ed il ritmo sostenuto di alcune sequenze. Più debole, invece, è stata la parentesi relativa al leader della Punta di Freccia, in questa puntata spacciato addirittura per il Messia (un altro modo de La Nuova Verità di manipolare qualcuno). Inoltre, del detective delle prime tre puntate si sono perse definitivamente le tracce.
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Nonostante qualche piccola sbavatura, Hellbound consacra la Corea del Sud a maestra degli horror distopici.
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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.