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Il Divin Codino

Roberto Baggio raccontato attraverso gli occhi disincantati di Lamartire e trasmesso al pubblico come fosse un diamante pregiato.

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Biopic che racconta la storia di Roberto Baggio partendo dal campo di calcio di Vicenza, fino a quello di Brescia. In mezzo l’infausto Mondiale del 1994 dove l’errore dal dischetto di Baggio decretò la sconfitta in finale contro il Brasile.
La pellicola di Lamartire non si focalizza solo sulle partite prendendo in esame anche l’elemento famigliare e quello religioso per riportare allo spettatore una rappresentazione più completa ed umana di un fuoriclasse del pallone.

 

Per poter descrivere accuratamente Roberto “Roby” Baggio si potrebbero richiamare all’attenzione migliaia di retroscena: dalla sciarpa della Fiorentina stretta in mano all’Artemio Franchi di Firenze dopo il cambio chiamato da Gigi Maifredi (allora allenatore della Juventus) per il rigore non voluto tirare proprio da Baggio contro la sua ex squadra, ai vari retroscena comici con Mazzone dopo l’approdo del Divin Codino a Brescia, passando per i numerosi infortuni che hanno costellato una carriera fatta di alti e di bassi, ma condita da un genio inavvicinabile. Per riassumere, utilizzando le parole di Antonio Zavatteri (che interpreta Arrigo Sacchi): “Baggio per noi è come Maradona per l’Argentina. È fondamentale”.
Ma per raccontare un calciatore, un numero 10 per la precisione, come Baggio più che le parole forse servono i gol, i dribbling. E lui, nel suo percorso che lo ha portato da Vicenza fino ad USA ’94, di goal e dribbling ne ha fatti a bizzeffe.
Per raccontarlo, forse, basta sceglierne solo alcuni che però sono stati solo in parte inseriti all’interno del biopic. Occorre forse fare, a questo punto, un piccolo passo indietro e provare a raccontare Baggio attraverso dei video-ricordi.

NAPOLI-FIORENTINA 1-1


È il 10 maggio 1987. Il Napoli di Maradona si è laureato Campione d’Italia e al San Paolo si presenta la Fiorentina tra le cui fila milita un ventenne che a causa di una serie di infortuni (tra cui uno al legamento crociato anteriore ed uno al menisco) ha racimolato poche presenze essendo saltuariamente indisponibile da quasi due anni: Roberto Baggio. A volte il destino regala degli incroci senza precedenti: lì dove El Pibe de Oro celebra la vittoria del primo scudetto del Napoli inizia, di fatto, il percorso calcistico in Serie A di Baggio.
Sotto di un gol, la Fiorentina reagisce e al 39’ Diaz viene atterrato al limite dell’area di rigore. Sul pallone, per calciare la punizione, si presentano il giovane ragazzo di cui sopra e l’allora capitano, Antognoni. Quest’ultimo poco dopo si allontana lasciando la totale responsabilità della punizione ai piedi di Baggio. Piedi che, ovviamente, non tradiscono l’attesa: una parabola lenta, semi nascosta al portiere dalla barriera e che beffardamente si infila a fil di palo ricordando proprie le punizioni del numero 10 argentino. Un primo goal in Serie A che conferma Baggio per quello che è: un predestinato.

ITALIA-CECOSLOVACCHIA 2-0


1990, terza partita dell’Italia ai Mondiali. È la prima partita giocata da Baggio, in panchina durante i primi due match. Sarà in questa partita che il ragazzo di Caldogno segnerà il gol più bello di quel Mondiale. Schillaci prende palla nella metà campo dell’Italia e contrastato da due avversari perde palla. Il pallone è recuperato da Giannini che scarica il pallone sulla sinistra dove, quasi stesse attendendo il momento di mettersi in luce davanti agli occhi del mondo, Baggio raccoglie la sfera. Il ragazzo si fa lentamente avanti in cerca di uno squarcio nel centrocampo avversario e cerca una triangolazione con Giannini verso cui scarica il pallone. A questo punto Baggio accelera il passo. Recupera il passaggio di ritorno di Giannini, ignora completamente due avversari che inutilmente tentano di fermarlo (uno addirittura in scivolata), converge verso l’area di rigore puntando dritto verso la porta senza alcun tipo di ostacolo tra lui ed il gol.
Arrivato a tu per tu con l’ultimo difensore finta di corpo verso la sinistra mandando in confusione il centrale e rientrando successivamente sul destro spiazzando il portiere con (l’ennesima) traiettoria beffarda, di controtempo mentre il portiere accennava una timida uscita. Pizzulcommentando il gol, precisa che si tratta di “un pezzo da antologia calcistica”. E così è anche oggi, ad oltre trent’anni di distanza.

JUVENTUS-BRESCIA 1-1


1° aprile 2001. La Juventus si gioca al Delle Alpi la possibilità di restare in vetta alla Serie A, ma riceve in visita il Brescia dell’ormai ex Roberto Baggio che, la leggenda narra, non perda mai contro una propria ex squadra. Una leggenda che sembra destinata ad infrangersi perché, in vantaggio dalla mezz’ora i bianconeri sembrano essere in controllo della situazione e mancano poco meno di cinque minuti al termine. Poi, ad un tratto, la magia che non ci si aspetta. Oppure, sarebbe meglio dire, la predestinazione torna a far visita al suo figlio prediletto.
Pirlo raccoglie un pallone vagante dopo un contrasto nel cerchio di centrocampo e trotterella per alcuni metri, alza lo sguardo guardando verso la porta protetta da Edwin Van Der Sar giusto il tempo per dare il là ad uno dei suoi lanci propiziatori. La palla vaga dolcemente in aria fino all’area di rigore della Juventus dove, ad accoglierla, c’è il destro di Baggio che con una leggiadria quasi soprannaturale addomestica il pallone con un primo tocco magico, si porta avanti il pallone per circa un metro facendo sedere Van Der Sar per poi scaricare di piatto sinistro a porta sguarnita. 1-1 e la Roma ringrazia mettendosi in testa alla classifica, dove resterà fino al termine del campionato.

LA NASCITA DI UN PREDESTINATO


Questo e molto altro è stato Roberto Baggio. Anche se forse il ricordo che è rimasto del Divin Codino nell’immaginario collettivo è quel famoso rigore ad USA ’94 dove l’Italia allenata da Arrigo Sacchi si ritroverà sconfitta dopo una cavalcata tutt’altro che perfetta. Il biopic di Letizia Lamartire parte proprio da questo rigore, mischiando passato e futuro di Baggio in una opening evocativa che richiama i fantasmi, ma anche i fasti di un inizio carriera che parlava di un predestinato del pallone come lo erano stati Maradona e Pelé prima di lui. Un campione dentro al campo che riesce a farsi apprezzare da qualsiasi tifoseria per il suo modo di fare, per la leggiadria con cui sposta il pallone da un piede all’altro disorientando il portiere. Un campione che era un piacere andare a vedere allo stadio, ma che era un dispiacere vedere con la maglia avversaria indosso.
Il film segue cronologicamente la vita di Baggio passando dal campo del Vicenza in cui ha esordito giovanissimo e mettendo fin da subito in chiaro una cosa: la vita di Baggio è stata costellata di grandi giocate, ma anche di grandi infortuni. Il primo, forse il più grave (unitamente a quello che lo terrà lontano da Corea-Giappone ’02), arriva poco dopo la firma con la Fiorentina. Contro il Rimini, allenato da un giovane Sacchi, Baggio rincorre un avversario per fare pressione e sottrargli il pallone. Poi, una fitta di dolore rapida e prolungata lo costringe a terra quasi privo di fiato: il legamento crociato anteriore è andato e così, nella sua mente, anche il pensiero di poter finalmente salire in Serie A per dimostrare chi è veramente.
Proprio in seguito a questo infortunio Baggio si avvicinerà alla fede buddista che rappresenterà il pilone portante sia per la sua ripresa, sia per la costruzione della sua figura (a tratti paragonabile a quella di un santo) agli occhi degli appassionati di calcio. La disperazione per l’infortunio e la progressiva ripresa fisica vengono portate in scena con grande dedizione di particolari da parte della regia e con un’ottima interpretazione di Andrea Arcangeli. L’unica pecca, che riguarda in realtà l’intero film, è la presenza di numerosi dialoghi apatici e privi di verve e/o sentimenti, unitamente a personaggi secondari che passano dal macchiettistico al fondamentale nello spazio di un paio di sequenze (su tutti, probabilmente, Andrea Pennacchi che interpreta Florindo Baggio, il padre).

Tu per noi sei come Maradona per l’Argentina: sei fondamentale.

USA’ 94


Il grosso del biopic è incentrato sui Mondiali del 1994 dove vengono prese in considerazione tutte le partite del girone, l’ansia per il ripescaggio e la seguente cavalcata verso la tragica finale contro il Brasile. L’analisi delle partite è rapida, ma accurata nella loro ricreazione video e lo spaccato dei Mondiali permette alla storia di introdurre il secondo pilone fondamentale per Baggio dopo il buddismo, ossia la famiglia. Sì, perché mentre sul campo (e a volte anche fuori) il rapporto con gli allenatori si consumava spesso e volentieri in maniera violenta e burrascosa, fuori dal campo il giocatore veniva osannato, reso un’icona di un gioco, di un tempo, che oggi sembrano talmente lontani da causare dolore riguardando partite ed highlight. Baggio è un campione nato dal popolo e di proprietà del popolo e la pellicola di Lamartire lo sottolinea vistosamente: emblematica, da questo punto di vista, la chiusura del film quando alla tv viene rilasciata la lista dei convocati dal ct Trapattoni per i mondiali e a nessuno sembra interessare dal momento che l’unico nome importante, quello di Baggio, risulta essere tra quelli esclusi. Poi, il bagno di folla di un campione a cui tutta Italia (e tutto il mondo), indipendentemente dalla sponda calcistica, ha sempre profondamente apprezzato ed idolatrato. Un predestinato, per l’appunto.
Nel 2000 Baggio approderà, dopo un’estate passata da disoccupato, nel Brescia di Gino Corioni, allenato da Carlo Mazzone, un allenatore con cui entra fin da subito in sintonia tanto da far inserire al Pallone d’Oro 1993 una clausola molto specifica: se Mazzone fosse stato esonerato, Baggio sarebbe stato svincolato contrattualmente. Una dichiarazione d’amore ed una sinergia, tra i due, che viene ottimamente messa in scena sia da Arcangeli, sia da Martufello (che interpreta l’allenatore di Roma).

Sogni tutta la vita di giocare la finale del mondiale contro il Brasile. Poi, quando ti capita per davvero, l’arbitro fischia la fine e a te la partita sembra di non averla nemmeno giocata. Zero a zero, dice il tabellone. Ma tu non ti ricordi niente, come se il cervello non avesse registrato nulla. Iniziano i supplementari, ma passano anche quelli in un lampo. Il tempo è finito in un buco nero. Dopo un istante, anche i rigori sono precipitati in un buco nero.
Il tempo è stato risucchiato via. Te non capisci dove sei, cosa succede. E tutto quello che sai è scritto lassù. Poi, tutto ad un tratto, il buco nero che ha inghiottito il tempo lo risputa fuori. Quel che era velocissimo diventa lento, quasi fermo. Improvvisamente, ogni secondo sembra durare una vita. E quando il tempo decide di impazzire, il presente e il passato si confondono.


Il Divin Codino, in conclusione, rappresenta un ottimo biopic dedito nel racconto sia del calciatore (con particolare focus ad USA ’94), sia dell’uomo (vita privata ed infortuni vari), raccontando anche chi e cosa girasse attorno a lui (famiglia, allenatori, fede religiosa). Il tutto ruotando attorno al chiodo fisso per Baggio: vincere la Coppa del Mondo di calcio, uno spettro a cui il calciatore (e l’uomo) cerca di dare la caccia senza alcun successo.
Un film che finisce per assomigliare alla moltitudine di biopic sportivi prodotti e distribuiti negli anni, mancando di un vero messaggio chiaro ed identificatore terminando la propria narrazione senza inventiva, l’elemento caratteristico per antonomasia di Roberto Baggio. Una piccola crepa che inficia, anche solo in parte, un prodotto godibile e capace di riportare alla mente sia bellissimi ricordi, sia terribili fantasmi.

 

TITOLO ORIGINALE: Il Divin Codino
REGIA: Letizia Lamartire
SCENEGGIATURA: Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo
INTERPRETI: Andrea Arcangeli, Valentina Bellè, Andrea Pennacchi, Antonio Zavatteri, Martufello 
DISTRIBUZIONE: Netflix
DURATA: 92′
DATA DI USCITA: 26 maggio 2021

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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