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Inside No. 9 ha la capacità, prima di incuriosire lo spettatore per trama e colpo di scena, di stuzzicare la voglia di sapere in che modo gli autori organizzeranno la modalità bottle episode. Subentra inoltre il dubbio se quanto sta per essere visto soddisferà la sete di originalità dello spettatore appassionato dello show britannico.
“Thinking Out Loud” è, in questo senso, il prototipo del virtuosismo stilistico e del bisogno di dimostrare che si hanno ancora idee e conigli nel cilindro.
L’episodio si svolge in luoghi apparentemente differenti, ma tutti connessi da un tabellone pieno di cartellini con nomi, verosimilmente dentro uno stesso posto recante l’ormai classico numero 9. L’insieme di figure apparentemente sconnesse sono la scusa per sciorinare monologhi di primo acchitto incomprensibili, permettere a Pemberton e Shaersmith di mettere in mostra la loro dote di continui trasformisti sfornando nuovi personaggi (Pemberton che interpreta un pluriomicida con l’accento statunitense del sud è la ciliegina sulla torta). Se i monologhi proiettano lo spettatore in luoghi differenti (solo apparentemente, come mostrerà poi il finale), la dimensione dell’episodio bottiglia è salvo, proprio grazie alla formula della compilation di soliloqui che garantiscono un buon intimismo di fondo.
In attesa del finale, l’unica cosa che rimane, oltre a godersi l’intensità dei piccoli quadretti -magistralmente realizzati grazie ad una grande varietà di riprese video: video per appuntamenti, ripresa video, ripresa in carcere, diretta social, videodiario, virtuosismi sitlistici da apprezzare – è quella di tentare collegamenti tra i personaggi che compaiono.
Alcuni elementi causali sembrano ricorrere: una moglie scomparsa, una madre mai conosciuta, degli omicidi, il nome Angel della ragazza che fa le dirette e pronunciato dal tizio che si confessa in video. L’esigua durata dell’episodio però spegne presto la velleità di intuizione del pubblico che preferisce farsi coccolare dalla creatività di Pemberton e Shaersmith. Dopo una divisione per compartimenti stagni delle sequenze video, le situazioni iniziano a sovrapporsi, fino ad arrivare all’irreale momento in cui un pluriomicida della Louisiana si trova nella casa di una influencer britannica. Quello rappresenta il clic che spinge a comprendere l’irrealtà della situazione, fino alla rivelazione finale.
Come al solito c’è di mezzo un omicidio, come al solito (e come da pochissimo) c’è di mezzo una vendetta. Sicuramente interessantissimo è l’aspetto psicologico che irrompe, con una personalità frastagliata che si trova ad affrontare, processare e reagire ad un trauma.
Inside No.9 dimostra per l’ennesima volta di riuscire a creare un intero universo narrativo all’interno di scarsi 30 minuti. Quello che quotatissimi show realizzano in tante stagioni, la serie inglese liquida in pochissimo. Grazie ad una raffinata e sottile scrittura, personaggi con mezz’ora di vita acquisiscono un immenso spessore e colpi di scena tanto ben studiati quanto attesi riescono comunque a sovvertire le aspettative e a stupire.
“Thinking Out Loud” è, in questo senso, il prototipo del virtuosismo stilistico e del bisogno di dimostrare che si hanno ancora idee e conigli nel cilindro.
L’episodio si svolge in luoghi apparentemente differenti, ma tutti connessi da un tabellone pieno di cartellini con nomi, verosimilmente dentro uno stesso posto recante l’ormai classico numero 9. L’insieme di figure apparentemente sconnesse sono la scusa per sciorinare monologhi di primo acchitto incomprensibili, permettere a Pemberton e Shaersmith di mettere in mostra la loro dote di continui trasformisti sfornando nuovi personaggi (Pemberton che interpreta un pluriomicida con l’accento statunitense del sud è la ciliegina sulla torta). Se i monologhi proiettano lo spettatore in luoghi differenti (solo apparentemente, come mostrerà poi il finale), la dimensione dell’episodio bottiglia è salvo, proprio grazie alla formula della compilation di soliloqui che garantiscono un buon intimismo di fondo.
In attesa del finale, l’unica cosa che rimane, oltre a godersi l’intensità dei piccoli quadretti -magistralmente realizzati grazie ad una grande varietà di riprese video: video per appuntamenti, ripresa video, ripresa in carcere, diretta social, videodiario, virtuosismi sitlistici da apprezzare – è quella di tentare collegamenti tra i personaggi che compaiono.
Alcuni elementi causali sembrano ricorrere: una moglie scomparsa, una madre mai conosciuta, degli omicidi, il nome Angel della ragazza che fa le dirette e pronunciato dal tizio che si confessa in video. L’esigua durata dell’episodio però spegne presto la velleità di intuizione del pubblico che preferisce farsi coccolare dalla creatività di Pemberton e Shaersmith. Dopo una divisione per compartimenti stagni delle sequenze video, le situazioni iniziano a sovrapporsi, fino ad arrivare all’irreale momento in cui un pluriomicida della Louisiana si trova nella casa di una influencer britannica. Quello rappresenta il clic che spinge a comprendere l’irrealtà della situazione, fino alla rivelazione finale.
Come al solito c’è di mezzo un omicidio, come al solito (e come da pochissimo) c’è di mezzo una vendetta. Sicuramente interessantissimo è l’aspetto psicologico che irrompe, con una personalità frastagliata che si trova ad affrontare, processare e reagire ad un trauma.
Inside No.9 dimostra per l’ennesima volta di riuscire a creare un intero universo narrativo all’interno di scarsi 30 minuti. Quello che quotatissimi show realizzano in tante stagioni, la serie inglese liquida in pochissimo. Grazie ad una raffinata e sottile scrittura, personaggi con mezz’ora di vita acquisiscono un immenso spessore e colpi di scena tanto ben studiati quanto attesi riescono comunque a sovvertire le aspettative e a stupire.
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Anche soltanto trovarsi, al penultimo episodio della quinta stagione ad apprezzare così tanto l’originalità di un episodio è un valore aggiunto. Una serie che fa di uno schema precostituito il suo DNA creativo è senz’altro soggetta facilmente a ripetitività. A quanto pare non è il caso di Inside No.9 che, grazie a sottili variazioni sul tema, a colpi di scena che non sono sempre tali, a costruzioni introspettive, a divertimenti stilistici, riesce sempre e comunque a solleticare la curiosità dello spettatore e a intrattenerlo per una mezz’ora senza la necessità di fuochi d’artificio scenici, ma avvicinando di molto un prodotto televisivo a un tipo di realizzazione teatrale.
Misdirection 5×04 | ND milioni – ND rating |
Thinking Out Loud 5×05 | ND milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.