Un giovane insegnante del Bhutan, Ugyen (Sherab Dorji) vorrebbe sottrarsi ai suoi doveri nei confronti del governo sognando invece una carriera da cantante in Australia. In tutta risposta, i suoi superiori lo penalizzano mandandolo ad insegnare, per il suo ultimo anno di servizio obbligatorio prima di poter emigrare altrove, nella più remota scuola del mondo, in un villaggio chiamato Lunana. Il ragazzo, abituato ad uno stile di vita decisamente più moderno, si ritrova così a dover insegnare in una classe di bambini curiosi e desiderosi di imparare, senza nemmeno disporre di una lavagna o qualsivoglia strumento didattico considerato “normale” nell’ottica di un normale processo di insegnamento, e perfino condividendo la classe con uno degli yak presenti nel villaggio. Ugyen imparerà così a vivere senza i comfort della società contemporanea, tirando avanti, invece, soltanto grazie all’aiuto dei pochi abitanti del villaggio e all’affetto e all’ammirazione dei pochi alunni della sua classe, nati tra le montagne buthanesi e completamente all’oscuro di ciò che accade oltre i confini della valle. |
Rilasciato per la prima volta nel 2019 al BFI London Film Festival di Londra e dal 31 marzo 2022 lanciato anche in alcune sale italiane, Lunana: Il Villaggio Alla Fine Del Mondo è il film d’esordio del regista, e in questo caso anche ideatore, Pawo Choyning Dorji, nonché primo lungometraggio completamente realizzato in Bhutan ad essere candidato (nella categoria Migliore Film Internazionale) agli Academy Awards.
La pellicola si configura come il classico viaggio formativo a tutto tondo, dove insegnante e studente imparano a conoscere se stessi e il mondo che li circonda nello stesso momento, all’interno di un rapporto di scambio reciproco che porterà il giovane maestro a riflettere profondamente su quanto la ricerca della felicità passi in primis attraverso i rapporti umani che stringiamo e la capacità di saper apprezzare le piccole gioie che ci offre la vita ogni giorno.
Un film che trae tutta la sua forza dalla semplicità, dall’importanza dedicata al messaggio di fondo e soprattutto dall’innocenza delle interpretazioni attoriali. In Lunana (termine che in lingua dzongkha significa letteralmente “valle oscura”), infatti, un po’ com’era stato per Nomadland, la stragrande maggioranza degli interpreti in scena sono qui al loro esordio e senza alcuna esperienza pregressa alle loro spalle. Gli abitanti del paese sono realmente montanari, molti dei quali non avevano mai visto un film o una macchine da presa, e per poter trasportare le attrezzature necessarie per le riprese all’interno dello sperduto paese di Lunana, situato lungo i ghiacciai dell’Himalaya al confine tra Bhutan e Tibet a 4.800 metri di quota, sono stati utilizzati più di una cinquantina di muli per un viaggio della durata di otto giorni.
Un’impresa costata appena 300.000 dollari e che, nella sua assoluta purezza, mostra in maniera definitiva quanto l’aspetto economico sia sempre e comunque subordinato all’importanza del messaggio che si vuole trasmettere.
The bond between a yak and his herder is so sacred. It’s as close as family. When they’re alive, he yaks benefit us so much. Whenever the village needed meat, they would gather all the yaks, they would throw a lasso in the air, whichever yak the lasso landed on, that yak would be slaughtered. It was the most heartbreaking moment for the village.
UNO YAK NELLA CLASSE
Lunana: A Yak In The Classroom (questo il titolo originale), è una malinconica e nostalgica storia di ricerca della felicità, una finestra sull’età della spensieratezza che vuole mostrare quanto la ricchezza materiale valga veramente poco nel cammino che conduce l’uomo verso la conquista del suo personale appagamento. Case gelide fatte di legno, niente gas o beni di prima necessità, elettricità che dipende dalla quantità di luce catturata dai pannelli solari, all’interno di una valle letteralmente oscura, e nessun segno di civiltà nel raggio di chilometri e chilometri. Uno scenario quasi orrorifico per coloro i quali si trovano ad essere completamente e definitivamente soggiogati dallo stile di vita occidentale, eppure sulle facce di questi piccoli alunni desiderosi di imparare sempre qualcosa di nuovo, le uniche emozioni ravvisabili sono felicità ed ammirazione.
Una felicità che in primis nasce dalla totale ignoranza nei confronti di ciò che accade nel mondo esterno, quella proverbiale “beata ignoranza” che qui assume tutt’altro significato una volta scontratasi con il personaggio di Ugyen, portatore di questa “conoscenza”, eppure visibilmente cambiato da questo ritorno alle origini; un ritorno all’umiltà di chi non ha mai incrociato il suo cammino con l’uomo del 21esimo secolo, con il dirompente modello capitalistico che oramai ha fagocitato gran parte della società contemporanea e con nessuna forma di progresso tecnologico che vada oltre il semplice pannello solare.
COS’È LA FELICITÀ?
C’è molta devozione nei confronti del maestro. I bambini, desiderosi di apprendere gli insegnamenti di colui che ha visto il mondo al di fuori dei confini della valle, lo trattano quasi come si trovassero al cospetto di un’entità superiore. Allo stesso modo gli abitanti, che in una sorta di atto di fede decidono di affidare a questo ragazzo portatore della cultura il destino dei loro bambini, assecondano ogni sua decisione, trattandolo da re – e facendolo mangiare addirittura in “preziose” scodelle di legno destinate ad ospiti di una certa importanza – mostrando tutta la genuinità e la bontà d’animo che oggiogiorno, purtroppo, l’essere umano sembra aver perso quasi del tutto.
Una piccola oasi di pace e serenità che farà riflettere il giovane insegnante riguardo il suo futuro e le sue reali ambizioni, e che inevitabilmente lascerà un segno molto profondo all’interno della sua coscienza.
E Ugyen, ammaliato dalla totale ammirazione che i bambini e tutti gli abitanti manifestano per lui, si ritrova così a dover fare i conti con se stesso, le sue ambizioni e i suoi sogni di una vita lontana dal Bhutan. Uno scontro all’ultimo sangue con il suo stesso ego, che lo porta a domandarsi quale sia il pezzo mancante che non gli permette di agguantare la tanto agognata felicità. Non si tratta di beni materiali o della musica che tanto ama. Non si tratta nemmeno del sogno di cantare di fronte ad un pubblico in adorazione. Tutto si riduce ad un puro e semplice viaggio spirituale: esattamente come l’interruttore della multipresa a cui l’iPod di Ugyen è attaccato fin dal suo arrivo a Lunana, anche il ragazzo sembra ritornare in vita inaspettatamente, con lo stesso sfarfallio del debole neon rosso, scoprendo l’importanza dei rapporti umani (quelli sinceri), ma soprattutto la bontà e la generosità come cure al progressivo processo di auto-annichilimento dell’essere umano contemporaneo.
Lunana: A Yak In The Classroom è certamente un prodotto confezionato con il cuore. Un progetto estremamente impegnativo, ispirato dalla purezza delle terre e delle persone di Lunana, all’interno del quale il regista è riuscito addirittura a coinvolgerne i reali abitanti, dando loro la possibilità di vivere questo fantastico viaggio alla ricerca della felicità in prima persona, e ricevendo in cambio un’esperienza autentica che sovrasta i confini della mera esperienza cinematografica. Una pellicola ambiziosa nelle intenzioni ma semplice nella messa in scena, che tratta temi importanti come ricerca della felicità e senso di appartenenza; temi universali in cui tutti possono immedesimarsi, indipendentemente dal proprio background culturale o estrazione sociale.
TITOLO ORIGINALE: Lunana: A Yak In The Classroom REGIA: Pawo Choyning Dorji SCENEGGIATURA: Pawo Choyning Dorji INTERPRETI: Sherab Dorji, Ugyen Norbu Lhendup, Kelden Lhamo Gurung, Kunzang Wangdi, Tshering Dorji, Sonam Tashi Choden, Pem Zam, Tsheri Zom DISTRIBUZIONE: Films Boutique DURATA: 109′ ORIGINE: Bhutan, 2019 DATA DI USCITA: 05/10/2019 (Londra), 31/03/2022 (Italia) |