L’incipit di questo season (series?) finale non è male: quando il marito viene trascinato sotto il letto e brutalmente squartato da un mostro, la protagonista di “The Thing Under The Bed” si ritrova a dover affrontare una realtà in cui la gente crede che sia una pazza omicida. Questo incipit, crudo e diretto, dà il via a un episodio che, sebbene non sia assolutamente un capolavoro, riesce almeno a riportare in scena una componente horror che ultimamente era sembrata svanire dalla serie (ad esempio in “Clone” e in “Leprechaun“).
L’episodio, l’ennesimo scritto dal defunto Manny Coto (viene da domandarsi quanti altri script postumi abbia lasciato a questo punto), si muove tra tinte horror e un’indagine dai risvolti quasi fantascientifici. La vedova, disperata, inizia a cercare spiegazioni e si imbatte in una serie di casi simili al suo, che suggeriscono che il mostro sotto il letto non sia semplicemente un demone, ma qualcosa di molto più complesso. Ed è qui che l’episodio si incaglia un po’ perchè la rivelazione di un legame tra il mostro e una ragazza in coma con poteri psichici sembra uscire direttamente dal Sottosopra di Stranger Things, solo con un tocco più sadico e malvagio, e una certa frettolosità rappresentata dai 34 minuti della puntata che, ovviamente, non garantiscono alcun tipo di profondità narrativa ma al tempo stesso sono anche un vantaggio perchè a livello narrativo “The Thing Under The Bed” funziona solo a tratti.
La durata ridotta (35 minuti) è un vantaggio perché non lascia spazio a troppe divagazioni o inutili riempitivi a cui si sarebbe assistito in qualsiasi film o serie tv, ma allo stesso tempo non dà abbastanza respiro alla storia che sembra in qualche modo raffazzonata alla bene e meglio. La componente horror c’è, e questo è sicuramente un punto a favore rispetto ad altre puntate della serie ma l’episodio non si fa mai prendere troppo sul serio e non riesce a spingersi oltre il minimo sindacale. L’atmosfera c’è, ma manca quel qualcosa che la renda davvero incisiva: le scene più spaventose sono efficaci sul momento, ma non lasciano il segno.
EH VABBÈ
Ormai si sà che American Horror Stories non finisce mai con un lieto fine (che forse è anche il motivo per cui si continua a guardare questo guilty pleasure), quindi, sapendo questo, non sarà una sorpresa scoprire che la protagonista farà una brutta fine e che invece la ragazza apparentemente innocua e vittima si riveli essere il fulcro di tutto. La cosa che piace e sorprende in positivo è il lato sadico della ragazza-villain che è piuttosto interessante, ma non viene sviluppato a sufficienza (causa minutaggio e sceneggiatura), lasciando che il colpo di scena finale – la figura di un mostro riflessa nella finestra della stanza d’ospedale – sembri più un tentativo di chiudere frettolosamente la trama che un vero momento di climax.
Dal punto di vista visivo, il design del mostro è interessante, anche se non particolarmente innovativo, mentre la regia si limita a fare il suo lavoro senza mai provare a osare. Le interpretazioni sono ok, ma nulla di eccezionale, e la protagonista riesce a tenere in piedi la narrazione anche quando questa inizia a scricchiolare sotto il peso delle troppe influenze esterne. È chiaro che Manny Coto abbia cercato di bilanciare elementi horror con un tocco di mistero sovrannaturale, ma il risultato è un episodio che, pur essendo guardabile, manca di un’identità propria e ricorda fin troppo Stranger Things, da cui ha preso sicuramente ispirazione.
Forse la cosa più frustrante è che “The Thing Under The Bed” aveva del potenziale. La connessione tra la ragazza in coma e il mostro poteva essere esplorata più a fondo, approfondendo il tema del legame psichico o la corruzione della mente, invece di appoggiarsi a cliché già visti e rivisti. Anche l’idea di un’entità sadica che manipola gli eventi attraverso un mostro assassino che vive sotto l letto poteva portare a qualcosa di più originale, ma viene lasciata in superficie.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“The Thing Under The Bed” è un episodio a malapena sufficiente. Non brilla, ma nemmeno crolla del tutto, restituendo un’esperienza di visione dimenticabile ma non fastidiosa. La componente horror lo rende più digeribile rispetto ad altri episodi della terza stagione, ma non basta a risollevarlo dallo status di filler. Si guarda, si apprezza quel poco che offre, e si dimentica quasi subito dopo.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.