Arriva un grande classico della narrativa horror legata all’Irlanda: il leprecauno. Stavolta declinato ovviamente il salsa horror ma sempre legato alla passione smodata per l’accumulo di ricchezza sotto forma di oro. Fosse anche sfruttando le caratteristiche di una banca.
LA RAPINA
Volendo analizzare la verosimiglianza di episodi come questi, appare chiaro che la rapina organizzata sembra essere troppo facile da organizzare e stupida da essere solo considerata. Quindi si sorvolerà su questo cercando di vedere cosa questo episodio offre di interessante (o meno) rispetto alle aspettative che può nutrire un fan dell’horror.
Come prima cosa, l’uso dei leprecauni in chiave vampiresca, stremati dalla mancanza, nella loro storia recente, di prede che uccidere. Questo perché sempre meno persone, preda della cupidigia, rubano l’oro di altri, soprattutto degli accumulatori seriali per eccellenza di questo metallo.
Un po’ con quanto visto in American Gods (serie e romanzo), gli antichi dei e, in questo caso, gli spiriti del folklore soffrono l’era moderna, così priva della stretta relazione tra desiderio e realizzazione dello stesso attraverso lo stretto rapporto con la natura fisica del tutto. In poche parole: chi oggi ruba l’oro di un leprecauno per cupidigia. Infatti, pozzi che potrebbero essere antiche dimore da violare, oggi vengono semplicemente ignorati.
UNA RAZZA IN VIA D’ESTINZIONE
Questo popolo si nutre dell’avidità umana ed esserne privati li porta a morire lentamente, letteralmente depauperati della loro linfa vitale. Lo stesso sembra valere anche per chi, come la moglie del bravo ragazzo (interpretata da Jessica Barden, quella di The End of the F***ing World), vive con tremendo dolore la sua condizione di essere per metà umana e per metà leprecauna. Veder cadere vittima il suo amato marito nonché futuro padre in quella maledizione di sangue, necessaria ma dolorosa per la propria sopravvivenza, conferma l’amara conclusione della vicenda, tipica del franchise. Finale triste e necessario, dove tutti gli autori della rapina ne finiscono vittima e chi rimane non può far altro che godere del risultato, piangendo per la disperazione.
ECSTACY OF GOLD
Il leitmotiv della seconda parte della 3° stagione di American Horror Stories sembra declinarsi in chiave lettura del contemporaneo. È evidente come l’ambientazione in una cittadina della provincia, attraversata da una tremenda crisi occupazionale, stia lì a dire quanto oggi sia complicato sbarcare il lunario, mettendo in piedi un parallelismo con altri tempi dove la necessità di poter campare decentemente non sia cambiata molto nella storia umana, visto lo stato necessità (e la rivalsa contro il mondo ostile) che muove il gruppo di amici.
Sulla freddezza del contemporaneo c’è poco altro da dire rispetto a quanto detto sopra ma è sicuramente da apprezzare la scelta di “modernizzare” figure mitologiche come quelle del leprecauno perchè, con tutti i cambiamenti che ci sono stati rispetto ai secoli precedenti, l’adattamento in chiave odierna piace e piace soprattutto anche il modo in cui vengono fatti passare quasi per vittime di un mondo moderno che li ha quasi sterminati. Quindi prede e non predatori. Un buon tema e una discreta realizzazione.
Anche qui, come nell’episodio “Clone” di questa stagione, sarebbe stato meglio avere qualche minuto in più per addentrarsi meglio nella psicologia dei personaggi per esplorare ulteriori lati della vicenda. Le interpretazioni sono abbastanza buone e credibili, così come è perfettamente credibile anche la resa scenica della cittadina, triste e anonima quel tanto necessario per renderla comunque inquietante nelle inquadrature.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Altro episodio che merita di passare la forca, particolarmente pesante per ogni cosa che abbia il marchio di AHS su di sé. L’episodio si lascia guardare per il suo tentativo di dirci qualcosa di più della solita rivisitazione della leggenda.
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.