“X” trasporta in un ospedale spettrale in bianco e nero, immerso in un’atmosfera retrò che fa subito intuire che nulla sia come sembra. La fotografia sgranata e i toni monocromatici evocano gli anni ’50 o ’60, amplificando il senso di isolamento di questa struttura senza tempo, dove un killer sembra poter essere dietro ogni angolo o in ogni corridoio.
Questa scelta visiva, inizialmente spiazzante, risulta una mossa vincente sia per lo stile che per la narrazione dell’episodio. Ciò che sembra un omaggio ai vecchi film horror si rivela un’espediente efficace per aumentare la tensione e l’inquietudine, scelta che era stata anche adottata di recente dallo speciale Marvel Werewolf By Night – Licantropus con un altrettanto ottimo risultato.
A far da perno a tutta la storia è il personaggio dell’infermiera Claire Michaels, interpretata da Mia Isaac che, pur non essendo ancora un’attrice affermata (ha partecipato solo a The Perfect Couple e Black Cake), qui dimostra un talento naturale che sa conquistare lo schermo. La sua interpretazione è particolarmente azzeccata per questo tipo di racconto: la sua Claire ha un’aria innocente e compassionevole che la rende il perfetto contrasto alla realtà sinistra in cui si trova immersa. La Isaac riesce a dare al personaggio un’intensità sottile, alternando espressioni di curiosità, sospetto e, infine, orrore man mano che scopre la verità.
UNA PIACEVOLISSIMA SORPRESA IN BIANCO E NERO
L’episodio inizia con l’arrivo di una donna (poi rivelatasi essere chiamata Alice Taylor) che sembra uscita direttamente da un incubo in stile The Ring: bocca e occhi spalancati, sporca, scalza e chiaramente non in sé; un’immagine che colpisce per la sua innaturalezza e mette subito a disagio. Alice è dipinta come una minaccia, qualcuno da cui istintivamente tenersi alla larga e qui sta la genialità della scrittura: con un’ottima manipolazione delle aspettative, gli sceneggiatori Brad Falchuk, (il compianto) Manny Cotto e Austin Elliott ribaltano i ruoli e i punti di vista, portando lo spettatore a scoprire che Alice non è il mostro della storia, bensì la una vittima di un crudele esperimento perpetrato nell’ospedale.
Con una progressione sottile ma efficace, si svela l’orrore nascosto dietro i corridoi dell’ospedale: Alice è solo una delle tante vittime di un progetto segreto chiamato “X”.
Specialmente in comparazione con gli altri episodi, a migliorare il tutto è proprio l’aggiunta di supporting character che interagiscono con la protagonista e, in particolare, un personaggio chiave che accentua il lato horror dell’episodio è il direttore dell’ospedale, interpretato da Henry Winkler. L’attore, famoso per il ruolo di Fonzie in Happy Days ma vincitore di un Emmy per Barry, si presenta qui in una veste completamente diversa e molto più cupa nella seconda parte della puntata. Da personaggio calmo, sicuro di sé e, soprattutto, convincente nel suo ruolo di medico anziano e gentile, Winkler riesce a trasformare il volto bonario di un tempo in un’espressione glaciale e minacciosa, incarnando l’idea di un’autorità corrotta e senza scrupoli che si ritiene al di sopra della morale comune.
NO, PER UNA VOLTA NON È UNA STORIA BANALE
“X” brilla soprattutto per la capacità di creare un cambiamento graduale nella percezione dello spettatore. Da un lato, ci si trova ad empatizzare con Claire, dall’altro si simpatizza per Alice, che passa da possibile minaccia a vittima silenziosa. Questo cambio di prospettiva è gestito benissimo, facendo sì che lo spettatore attraversi le stesse emozioni e paure di Claire mentre le verità sull’ospedale emergono lentamente.
La trama di “X” va oltre il semplice horror e (anche se gli sceneggiatori di AHS ci provano sempre senza riuscirci) porta ad una riflessione sul tema della medicina e dell’etica, ovviamente con i tempi e con i modi di un AHS. Ma c’è chiaramente più di qualche riferimento a situazioni in stile Dr. Death che hanno ispirato la sceneggiatura dell’episodio.
Rispetto ad altri episodi di American Horror Stories, “X” si distingue per la profondità della narrazione che non si limita a spaventare, ma costruisce un racconto che oscilla tra horror psicologico e (si osa dire) critica sociale. Gli sceneggiatori riescono a tenere alta la tensione dall’inizio alla fine, senza cadere in facili jump scares o soluzioni prevedibili. Al contrario, si basano su un crescendo di orrore psicologico e situazioni claustrofobiche che culminano in un happy ending che non è un happy ending.
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“X” rappresenta una delle punte più alte di questa serie, riuscendo a unire intrattenimento e spessore tematico. American Horror Stories è sempre stata una serie di alti e bassi, con episodi che spaziano dal geniale al dimenticabile. Ma con “X”, finalmente si torna a respirare quella paura densa e opprimente che caratterizza i migliori capitoli della saga. È un episodio che merita di essere visto non solo per l’atmosfera e la trama, ma anche per la riflessione che lascia allo spettatore.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.