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Boris 4×04 – Il Set Dei MiracoliTEMPO DI LETTURA 6 min

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Boris-4x04E chiudi su Lazzaro basito…
Eh, se non è basito Lazzaro, chi cazzo è basito?
Lazzaro… F4. Quanto mi mancava

E sì, dannatamente vero, quanto ci mancava Boris. Al quarto episodio, il tanto atteso ritorno della fuori serie italiana, vero e proprio unicum nella produzione audiovisiva nazionale, continua a non deludere, continuando a puntare sulle qualità (che ironia) che l’hanno resa così celebre. La sua capacità di elevare la lezione della grande commedia all’italiana, ossia il mostrare il “peggio” dell’italianità in una veste tanto divertente quanto cinica (pratica ormai caduta purtroppo in disuso, perché nel frattempo è cresciuta di molto la nostra permalosità), non sembra essersi affatto snaturata, né dal passare degli anni, né dalla tragica assenza dell’indimenticata (e sicuramente onorata) penna di Mattia Torre, né tantomeno dal cambio di “piattaforma”. E allora, la grande paura che aleggiava all’annuncio del revival, visti i numerosi precedenti in questo tipo di operazioni a dir poco insoddisfacenti, può dirsi completamente dissolta. Ciò che più rincuora nel veder riportata in scena una serie tanto cult, di cui le formidabili citazioni sono ormai diventate di uso comune nel gergo italico, sta tutta in auto-riferimenti come quella riportata su Lazzaro e l’immortale “F4“, ovvero non mere riproposizioni senz’anima ed eseguite solo per strizzare l’occhio ai fan, ma che invece arrivano nel momento giusto, con tempi comici indiscutibilmente perfetti. Ciò che più allieta, invece, è lo sguardo ancora così attento e puntuale all’evoluzione culturale, quanto produttiva ed economica, dell’industria cinematografica in questi anni di latitanza, mantenendo sempre il focus sul luogo in cui tutte le direttive dall’alto, le pretenziose e spesso “fumose” spinte esterne, si concentrano vorticosamente per diventare qualcosa di davvero concreto: il set.

T’A FACCIO ALLA FIGUEROA!


D’altronde, lo dice il titolo stesso, il focus è tutto sul “Set Dei Miracoli” e forse mai come in quest’episodio, in questa quarta stagione, tutti vengono coinvolti, dagli assistenti ai figurati, speciali e non. Chi è stato su un set, in Italia, ancor di più a Roma, si è spesso trovato a ironizzare su come Boris fosse più un documentario che un’opera di finzione. Ma certo, un conto è prendere spunto da situazioni realmente vissute, seppur in maniera così incredibilmente aderente, un altro è poi portare queste esperienze in scena. La peculiarità pressoché unica della serie, infatti, è non essersi mai limitata esclusivamente al “fa ridere perché è vero”, ma nell’andare ben oltre, a partire dalla scrittura di battute e caratterizzazioni sempre memorabili, a prescindere dal loro effettivo minutaggio. Esempio su tutti è proprio quello legato alla figura di Tatti Barletta, un po’ il “mistero dell’ananas” di Boris, una gag ricorrente su di un personaggio che ancora non si era mai visto. Edoardo Pesce ci scuserà, ma è giusto celebrare il fatto che la “vera faccia demmerdaha finalmente un volto. Ed ecco che l’attore che non aveva potuto partecipare a Gli Occhi Del Cuore, perché si trovava a Firenze, finalmente recita con la troupe più “italiana” della televisione nazionale, per di più nello scomodo ruolo di Giuda, proprio lui che ai tempi li aveva “traditi”, con tanto di un irresistibile scontro con l’operatore afflitto da discutibili tic.
L’episodio è terreno, uno dei tanti, per concedere l’ennesima occasione di rivalsa alle professionalità del nostro cinema, in cui nessuno vuole lavorare perché “sono tutte brutte persone”, per citare Alfredo, per poi in realtà lavorarci eccome. Perché dietro comportamenti discutibili e nervi continuamente a fior di pelle, c’è anche e soprattutto un infinito mestiere. E allora ecco che Biascica, capo elettricista di un reparto spesso sottovalutato, a partire dal nome “proletario” da noi attribuitogli (ma che, invece, ha spesso regalato in seguito grandi “d.o.p.”), monta su una fotografia “alla Figueroa” (d.o.p. messicano dei più prolifici ed onorati, specie nei Festival) da far sentir male il “radical chic” Lorenzo dal letto di casa sua o, meglio, ancor di più se possibile.

SENNÒ, CE SE ‘INCLUDONO’ A NOI?


Ciò su cui si concentra questa stagione, in particolare, è infatti proprio su questo incrocio di professionalità e, soprattutto, mentalità con l’estero, il quale grazie all’avvento delle piattaforme streaming, da Netflix ad Amazon, ha aumentato di molto le produzioni in territorio nazionale. E quindi se da un lato si concretizza la dipendenza economica verso industrie, specie quella americana, che per forza di cose ha molte più disponibilità, dall’altro si attua lo scontro culturale con un modo di fare (e, di conseguenza, di pensare) decisamente diverso, che per il proprio tornaconto asseconda e apparentemente si adatta, ma che nel profondo lotta e resiste. In questo contesto, si fa quindi puntuale il ritorno di Caterina, la figlia di Mazinga, ossia simbolo del nepotismo imperante nella nostra di “industria”, accompagnata poi da un avvocato temuto e rispettato (da Lopez in primis) proprio per le sue torbide affiliazioni (e qui a dir poco geniale l’idea di dargli il volto del presentatore e giornalista d’inchiesta Andrea Purgatori). In questo campo si gioca la rivisitazione, di Proiettiana memoria, dei diktat esteri sull’inclusivity, con un “qua s’includiamo noi” che diventa il motto della “resistenza”. E se “Gli Occhi Del Cuore” prendeva in giro “Un medico in famiglia” e derivati, andando però in onda sul diretto competitor della tv di stato, il via cavo (pur avendo nel cast uno dei protagonisti di quella stessa serie), stavolta la “parodia” va in scena proprio su una delle piattaforme più potenti di tutte, perciò, di conseguenza, l’efficacia si fa ancor più incisiva.
Altro ritorno, altrettanto coerente e inserito nel focus stagionale, è quello di Karin, con il suo MeToo al contrario, in cui è l’attrice a proporre del sesso orale al regista per avere la parte. Non può che essere lei, da sempre consapevole delle (deprecabili) regole del gioco (“la devi dà“), legata indissolubilmente a quel mondo, in cui aveva imparato a sguazzare con assoluta dimestichezza, che invece ora si trova quasi spaesato davanti al cambiamento. Ma l’ennesima e cinica lezione di Boris è che le regole saranno sì cambiate, ma solo di facciata. E quindi Duccio asessuato, completamente ignaro di appartenere ad una minoranza, diventa improvvisamente la salvezza del progetto. Così come la caccia ad un’altra minoranza, stavolta quella etnica, si consuma in una disperata accoglienza, per ben due volte, degna del più autentico Messia. Non è il tanto discusso e ormai saturo concetto di “politicamente corretto” ad essere preso in giro (certo, anche quello), ma appunto le intenzioni, decisamente meno virtuose, che ci sono dietro. Come “Gli Occhi Del Cuore” prendeva in giro la fiction istituzionale, che alle spalle del rassicurante sistema di valori nazionali vedeva agire condotte della peggior specie, così accade anche per “La vita di Gesù”, semplicemente seguendone di nuovi e dove, a partire ancora una volta dallo stesso soggetto, nulla è mai lasciato al caso. In pieno stile Boris, chiaramente enfatizzato, caricaturale, eppure meravigliosamente quanto spietatamente vero e reale.

René: “Come hai fatto in queste settimane a fare la fotografia?
Duccio: “Come ho fatto a fare la fotografia? E me lo chiedi tu? Ma con gli occhi del cuore…

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • F4
  • Finalmente Tatti Barletta
  • La continuità col passato, ma attualizzata con rinnovato cinismo 
  • Karin, la nostra Weinstein 
  • La cecità “con gli occhi del cuore” di Duccio 
  • La rivalsa dei mestieranti 
  • Il ballo di René…
  • … forse un po’ troppo quello di Biascica 
  • Il finale, per quanto spiritoso (“su questo set non ci si scaccola“), forse poco brillante. Sarà che siamo abituati troppo bene

 

Cambiano le stagioni, cambiano le produzioni, cambiano soprattutto i valori, ma Boris è sempre Boris.

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