La pellicola semi-autobiografica in bianco e nero, narra l’infanzia del regista Branagh, interpretato da Jude Hill, nella città di Belfast con sottofondo il conflitto nordirlandese. |
Agosto 1969. L’Irlanda Del Nord è attraversata dai disordini legati al conflitto locale tra cattolici e protestanti. Un elemento narrativo divisivo che viene mostrato attraverso la semplicità e la naturalezza degli occhi di un bambino di nove anni, Buddy, interpretato da Jude Hill. Si tratta di una pellicola breve in un cinema che ormai cerca di tenere incollato lo spettatore per circa centoventi minuti di intrattenimento e suspense. I novanta minuti circa di Belfast sono una boccata d’aria fresca da questo punto di vista e avvicinano la pellicola di Branagh a Jojo Rabbit di Taika Waititi: una tematica seria e potenzialmente fulcro narrativo di un drama viene tassello dopo tassello ricostruita in ottica più fanciullesca e leggera.
Vai. Vai, adesso. Non ti voltare. Ti voglio bene, figliolo.
Kenneth Branagh all’età di nove anni aveva dovuto lasciare Belfast per fuggire dal conflitto nordirlandese, proprio per questo motivo la pellicola ha un chiaro intento autobiografico dal momento che la semplicità della città viene ampiamente mostrata quasi Branagh volesse raccontare allo spettatore i suoi ricordi d’infanzia, cercando di fargli provare le sue stesse emozioni e sentimenti sia negli avvenimenti positivi, sia in quelli negativi. Anni fa il regista ha sottolineato: “I feel Irish. I don’t think you can take Belfast out of the boy”. Ed è a Belfast che Branagh fa ritorno. Ma si tratta di un ritorno dolceamaro.
Interessante notare come la pellicola tenda a sottolineare la presenza del bianco e nero solamente all’interno del quartiere di Belfast in cui Buddy vive. Ad inizio film, infatti, della città viene fatta una rapida carrellata di video e immagini tutte a colori, ma quando viene attraversato il muro dietro il quale sorgono le case del vicinato di Buddy tutto muta in una cupa assenza di colore. Un fattore che viene mostrato nuovamente più avanti nel film quando, al cinema e al teatro, sul palco tutto è a colori mentre il pubblico pagante rimane bloccato nella sua grigia essenza. Un espediente che sembra voler sottolineare il senso di malinconia del regista all’interno della sua città, mentre tutti quegli elementi esterni (geograficamente o per intrattenimento) vengono mostrati carichi di gioia (i colori), lontani dalla piatta esistenza del quartiere.
Ma si tratta di una lettura della scelta registica, perché in realtà la pellicola mostra con accurata leggerezza la vita di Buddy facendo attenzione a dedicare poche e centellinate scene agli scontri cattolici-protestanti veri e propri. Spesso e volentieri, infatti, gli scontri fanno da semplice sfondo e da contesto narrativo, venendo mostrati e raccontati attraverso i vari telegiornali (o radiogiornali) e tramite il passa parola degli adulti che, in presenza dei bambini, riducono il numero di informazioni da condividere.
Buddy: “Papà, pensi che io e quella ragazza abbiamo un futuro?”
Pa’: “Beh, perché diamine no?”
Buddy: “Lo sai che è cattolica?”
Pa’: “Quella ragazza può essere una praticante indù o una battista del sud o un anticristo vegetariano, ma se è gentile ed è giusta e voi due vi rispettate, lei e la sua gente sono i benvenuti a casa nostra ogni giorno della settimana. D’accordo? Intendiamoci, questo significa che io e te dobbiamo iniziare a confessarci?
Buddy: “Probabilmente.”
Pa’: “Allora siamo nei guai.”
Belfast è una pellicola malinconica, romantica, divertente, drammatica ed emozionante.
Malinconica perché Belfast ci viene mostrata attraverso gli occhi del regista e del piccolo Buddy che, ancorato ad una realtà che conosce, si ritrova a doversi allontanare non per motivi a lui comprensibili, ma per scelta dei suoi genitori. La reazione infantile di Buddy che batte i piedi a terra e grida la sua volontà di non lasciare Belfast è legata all’incomprensione del pericolo e alla paura della distanza.
Romantica perché in un contesto tanto drammatico, i genitori di Buddy (Caitríona Balfe e Jamie Dornan) cercano di far sopravvivere il loro matrimonio nonostante l’uomo sia costretto ad assentarsi per lunghi periodi per lavorare in Inghilterra e la donna si ritrovi a crescere i figli in totale solitudine dovendo fare bello e cattivo tempo in caso di necessità. Ma anche Buddy ha la propria storia d’amore, i propri desideri e le proprie ambizioni, proprio per questo motivo l’allontanamento da Belfast viene visto di cattivo occhio dal giovane.
A fare da collante all’interno della famiglia, poi, ci sono i nonni paterni (Judi Dench e Ciarán Hinds) che aumentano il carico di romanticismo all’interno del film ma che vengono anche sapientemente sfruttati nei vari divertissement con Buddy.
Divertente, quindi, ma non solo per gli interventi a tratti scorbutici (ma buoni) di “Granny” e “Pop”, bensì per il personaggio di Buddy (interpretato da Jude Hill) e per il surrealismo con cui la tematica degli scontri armati viene affrontata. Buddy è una versione nordirlandese di Jojo e Belfast cerca di catturare i lati migliori della pellicola di Waititi riuscendoci senza troppa fatica e regalando allo spettatore sequenze simpatiche e leggere, alternate ad altre di caratura ben differente.
Una pellicola drammatica, non solo per il contesto storico e sociale raccontato ma anche per la narrazione della fuga obbligata dalla propria città natia. Un aspetto toccante che investe un’intera famiglia e soprattutto Buddy, quel buffo bambino con cui lo spettatore entra in empatia fin da subito ritrovandosi a gioire per le conquiste (seppur piccole, come quelle scolastiche) e dispiacersi per le sconfitte (come la “rapina” conclusasi in malo modo).
Per tutti questi elementi, Belfast è una pellicola emozionante che è in grado di incollare allo schermo lo spettatore senza la necessità di colpi di scena o di drammi volutamente enfatizzati: l’oggetto narrativo è la complicata decisione di una famiglia di fuggire dalla propria città natale andando incontro ad incognite e problemi futuri, lasciandosi alle spalle il passato cercando di guardare con fiducia ad un futuro difficilmente realizzabile a Belfast.
Pop: “Non dovrebbe essere un problema, figliolo. Sono sposato con tua nonna da 50 anni. Non ho mai capito una parola che ha detto. E se loro non ti capiscono, allora non ascoltano, e questo è un problema loro. Sai, quando ero a Leicester, dicevano la stessa cosa di me. Quindi ho messo su un diverso dannato accento ogni giorno solo per irritarli. Non hanno mai saputo chi ero. Ma io lo sapevo e sono l’unico che deve saperlo. Tu sai chi sei, vero?”
Buddy: “Sì, nonno.”
Pop: “Sei Buddy di Belfast 15, dove ti conoscono tutti e tuo nonno si prende cura di te. E tua mamma si prende cura di te; tuo padre si prende cura di te; tua nonna si prende cura di te; tuo fratello si prende cura di te; e tutta la famiglia si prende cura di te. E ovunque tu vada e qualunque cosa diventi, sarà sempre la verità. E quel pensiero ti terrà al sicuro. Ti renderà felice. Lo ricorderai per me?”
Buddy: “Sì, nonno. Sì.”
Pop: “Bravo ragazzo. Ora, dimenticati quello che vogliono tuo padre e tua madre. Tu cosa vuoi?”
Buddy: “Voglio che veniate anche tu e mia nonna.”
Branagh regala al pubblico un film a tutto tondo, capace di far ridere e far piangere in un banale cambio sequenza. Molte sono le somiglianze con Jojo Rabbit, già richiamate all’interno della recensione, ma si tratta di un film che non si nutre e non vive alle spalle della pellicola di Waititi avendo una propria e ben definita dimensione. Probabile vincitore degli Oscar? Non ci sarebbe nulla di che stupirsi, anche se ad oggi sembra non essere il titolo più quotato tra quelli in lizza.
TITOLO ORIGINALE: Belfast REGIA: Kenneth Branagh SCENEGGIATURA: Kenneth Branagh INTERPRETI: Caitríona Balfe, Judi Dench, Jamie Dornan, Ciarán Hinds, Jude Hill, Colin Morgan DISTRIBUZIONE: Universal Pictures DURATA: 97′ ORIGINE: UK, 2021 DATA DI USCITA: 21 gennaio 2022 (Irlanda e UK), 3 marzo 2022 (Italia) |