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Recensione Il Potere Del Cane
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Il Potere Del Cane

Un western atipico che demolisce il mito della virilità, tema caro ad uno dei generi più maschili e americani fin dalle origini del cinema.

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Phil e George Burbank sono proprietari di un ranch nel Montana. I due fratelli sono agli antipodi: uno è gentile ed aperto alle novità dell’epoca; l’altro è rude e manipolatore. Tra i due non scorre buon sangue, ma la situazione degenera quando George si sposa. 

La regista Jane Campion è stata lontana dalla macchina da presa per dodici anni. È infatti del 2009 il suo ultimo lungometraggio dal titolo Bright Star. È un nome che è mancato nel panorama cinematografico dove si è guadagnata il titolo di prima donna ad aver vinto la Palma d’Oro a Cannes grazie al suo film del 1993, Lezioni Di Piano.
Campion torna in grande stile con l’adattamento dell’omonimo romanzo di Thomas Savage, un western che si fonde con tonalità più cupe tipiche del thriller.
Il film è stato presentato durante la 78esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – durante la quale si è aggiudicato il Leone d’Argento per la miglior regia – ed è stato distribuito in selezionate sale cinematografiche dal 17 novembre, per poi uscire su Netflix dal 1 dicembre.
Così come molti altre pellicole, le riprese de Il Potere Del Cane hanno subito un forte ritardo per colpa della pandemia di Covid-19, ma non è l’unica difficoltà che il film ha incontrato ancor prima dell’uscita. Il cast originale ha subito un cambiamento netto: ad interpretare George doveva essere Paul Dano che ha declinato l’offerta poiché era impegnato con le riprese di The Batman. Anche Elizabeth Moss ha dovuto rifiutare in quanto era impegnata sul set di Handmaid’s Tale.
Sebbene entrambi sarebbero stati sicuramente all’altezza del ruolo, in Il Potere Del Cane nessun attore ha mancato le aspettative.

IN UN RANCH DEL MONTANA


1925. Phil (Benedict Cumberbatch) e George Burbank (Jesse Plemons) sono i proprietari terrieri del ranch più grande della vallata, nel bel mezzo di una brughiera del Montana. I due sono ai poli opposti. George è un uomo di mondo che ha abbracciato pienamente la tecnologia dell’epoca. Non disdegna spostarsi con la macchina piuttosto che con il cavallo,  crede nell’evoluzione e nel progresso, porta abiti eleganti e frequenta compagnie altolocate. L’uomo è impacciato e di buon cuore e, all’interno del ranch, ricopre un ruolo amministrativo che lo porta spesso in città.
Phil, al contrario, è un cowboy rude, maleducato e manipolatore. Le sue conversazioni si concentrano solamente su un sul suo mentore, morto anni prima, o su cattiverie misogine e omofobe che dispensa ben volentieri.
L’unica persona che sembra avere a cuore, oltre a Bronco Henry, è suo fratello. Ma i due sono troppo diversi per andare d’accordo e George lo evita continuamente.
L’orgoglio di Phil cede ulteriormente quando George sposa Rose (Kirsten Dust), una vedova che gestisce una locanda del luogo. L’uomo inizia una lenta quanto inesorabile battaglia mentale con la donna, manipolandola e portandola alla disperazione.
Quando in casa si aggiunge il figlio di lei, Peter (Kodi Smit-McPhee), Phil intraprende un nuovo gioco di manipolazione con il ragazzo fingendosi suo amico per avvicinarsi a lui e far crollare definitivamente Rose.

UN WESTERN CHE INDAGA LA MASCOLINITÀ TOSSICA


Campion parte da un canovaccio tipico del western, rivisitandolo completamente man mano che i tasselli vanno al loro posto. L’ultimo atto, quello più intenso tra i tre, rassomiglia più ad un thriller per la tensione narrativa che impermea lo schermo.
Benedict Cumberbatch è perfetto nel ruolo di cowboy rude, manipolatore e maschilista. Un personaggio negativo che mal cela un segreto che non ha mai rivelato a nessuno, se non a Bronco Henry.
Il fantasma del suo mentore aleggia fin dalle prime scene. Una presenza ben delineata anche se il personaggio viene solo descritto dallo stesso Phil, che proclama le sue gesta a chiunque voglia ascoltarlo.
Phil è troppo diverso da chiunque lo circonda per stringere un vero legame. Gli altri mandriani parlano e scherzano con lui, ma nessuno gli è davvero affezionato. Campion cattura la sua solitudine isolandolo, il più delle volte. Lasciandolo solo nel mezzo dell’inquadratura.
Finché non arriva Peter. Il ragazzo viene preso di mira da Phil perché serve al tavolo con una divisa pulita ed ordinata, e ha disposto dei fiori di carta fatti da lui sul tavolo. Un comportamento che Phil associa all’omosessualità, dei gesti da condannare e deridere. Ma è proprio Peter che conduce il gioco, sfruttando a suo favore la mascolinità tossica che imprigiona Phil.

IL RITORNO IN GRANDE STILE DI JANE CAMPION


Non è difficile capire perché il Leone d’Argento per la miglior regia sia stato vinto da Jane Campion. La vera forza del Il Potere Del Cane è proprio nella regia, magistrale e al servizio della storia in ogni inquadratura.
Dalla casa che rassomiglia più ad un labirinto dopo che Rose fa il suo arrivo. Un labirinto dal quale non può sfuggire e in cui Phil la trova sempre. Alla vallata, immensa e solitaria che non comunica libertà. Al contrario, anche se le panoramiche e i piani lunghi sono molto spesso utilizzati, la sensazione data è claustrofobica. Di abbandono e declino.
La maestria di Campion si manifesta specialmente nel rapporto allievo e maestro. Così come ci si immagina fosse stata la dinamica tra Bronco Henry e il suo allievo Phil, questa si riversa nell’avvicinamento dell’uomo e Peter.
Una tensione, come già accennato, da manuale del genere thriller. Ma anche una tensione sessuale crescente tra i due.
Campion ha utilizzato gli stilemi di uno dei generi più classici e caratterizzati da personaggi maschili da sempre considerati, da molti, il massimo raggiungimento del machismo. Ma, in realtà, rinchiusi nella gabbia della mascolinità tossica.
L’archetipo del cowboy eroico tanto caro nel cinema statunitense viene gradualmente demolito. La regista, a poco a poco, dissacra il mito della virilità rivoluzionando il genere con una maggiore introspezione.


L’ultima opera della regista Jane Campion è un film di ampio respiro. Una regia notevole supportata da una scrittura altrettanto valida e dalle prove recitative che vedono tutto il cast principale impegnati in ruoli complessi, ma che supportano brillantemente.

TITOLO ORIGINALE: The Power Of The Dog
REGIA: Jane Campion
SCENEGGIATURA: Jane Campion

INTERPRETI: Benedict Cumberbatch, Kodi Smit-McPhee, Kirsten Dust, Jesse Plemons
DISTRIBUZIONE: Lucky Red, Netflix
DURATA: 126′
ORIGINE: USA, 2021
DATA DI USCITA: 01/12/2021

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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